I MILLE ANNI
DELL' IMPERO
BIZANTINO

TRA INTRIGHI
COMPLOTTI E
COLPI DI STATO
ALLA CORTE DI BISANZIO

MICHELE DUCAS-PUGLIA

 

CAPITOLO QUARTO

 

SOMMARIO:IL FASCINO DI GIUSTINIANO E TEODORA; LA NASCITA; TEATRO E SPETTACOLI HARD; L'INCONTRO CON GIUSTINIANO; TEODORA E GIUSTINIANO; LA RIVOLTA DI NIKA; "PORFIRIO" LA BALENA; VIOLENZE E CRUDELTA'; LO SPIRITO SODALE CON DONNE E PROSTITUTE; VERSO LA FINE.

 

IL FASCINO DI GIUSTINIANO E TEODORA


Ambedue di umili origini, raggiunsero il massimo della fama e della scala sociale.
Da una parte Giustiniano, considerato avido, démone, tiranno, malvagio e ingenuo ad un tempo, falso, imbroglione, tenebroso nell'ira, campione di doppiezza, perfetto nel dissimulare un'opinione, bugiardo, capace di piangere, non di piacere o di dolore, ma per la sua grande abilità d'adeguarsi alle esigenze immediate, sanguinario e predatore di ricchezze altrui.
Dall'altra, Teodora, prostituta, dedita a tutti i tipi di bassezze, che aveva condotto una vita dissoluta e senza freni. Era giunta al massimo dell'abiezione e della degradazione, fino al punto in cui, chi la conosceva, incontrandola, la evitava per la vergogna che gliene sarebbe derivata, nel mostrare un sia pur minimo legame di conoscenza... ma anche per non esser preso dalla tentazione di possederla, tanto era il desiderio che riusciva a provocare negli uomini.
Tutto il male che, su ambedue i personaggi, si è potuto scrivere, è servito solo a edificare la fama del loro fascino e della loro grandezza. Con la conseguenza che i loro nomi non destano alcun raccapriccio per le atrocità, brutture o infamie compiute. Al contrario, il loro carisma ha superato i secoli, suscitando solo straordinaria ammirazione.

 

LA NASCITA


Nata intorno al 502, Teodora era piccola di statura (anche se nelle rappresentazioni iconografiche appare della stessa altezza delle dame, perché l'imperatrice non poteva essere raffigurata diversamente), elegante nella persona, magra, ben proporzionata, dai lineamenti delicati, dalla carnagione pallida. Aveva grandi occhi, neri e mobili, uno sguardo intenso, sopracciglia, che tendeva ad aggrottare, folte e nere com'erano folti e neri i suoi capelli.
Era figlia d'arte, nel senso che il padre, Acacio, era guardiano d'animali al circo e addomesticava gli orsi (secondo altri guidava i cocchi nelle corse). Morì di malattia lasciando la moglie e tre figlie, Còmito, Teodora e Anastasia, la prima delle quali, alla morte del padre, non aveva ancora raggiunto i sette anni.
La moglie lavorava anch'essa nel circo. Non potendo da sola mantenere le figlie, si unì con un uomo che lavorava nel circo, e avrebbe dovuto occuparsi di lei e delle figlie. Furono però ambedue licenziati. La madre, dovette quindi attendere che le figlie superassero la pubertà, per poterle mandare sulla scena, essendo tutte e tre piuttosto belle. Nel frattempo andavano avanti cercando di sopravvivere.
Còmito spiccava già sulle altre cortigiane. Teodora, vestita con una tunica corta, come uno schiavetto, la seguiva, facendole tutti i servizi e portando sulla testa lo sgabello, che serviva a Còmito per sedersi.
Teodora accompagnava la sorella a teatro e pur non avendo ancora raggiunto la maturità sessuale, aveva ugualmente rapporti con uomini di bassa estrazione, normalmente schiavi, durante l'attesa dei loro padroni, ch'erano a teatro. Costoro passavano il tempo con la bambina, in accoppiamenti contro natura. Giunta all'età della pubertà e sviluppatasi, divenne una vera e propria <meretrice, di quelle>, scrive Procopio <che una volta si chiamavano da marciapiede; ciò perché non aveva nessun'arte, non era flautista, né artista e neppure conosceva la danza, ma dava il suo bel frutto a chi capitava, utilizzando unicamente il suo corpo>.

 

TEATRO E SPETTACOLI HARD


Teodora era entrata a far parte di una compagnia di mimi, partecipando ai loro spettacoli. Faceva da spalla alle loro trivialità, dedicandosi alla pantomima e alle battute salaci, in cui riusciva tanto bene, da ottenere successo. Eccelleva nello stesso tempo in spudoratezza, senza mai tirarsi indietro, quando, nel gioco della finzione scenica, doveva farsi prendere a schiaffi sulle guance. Ridendo a crepapelle, gonfiava le guance e con mosse comiche, si lamentava per le percosse ricevute. E tutto il teatro rideva!
Nei rapporti con gli uomini, entusiasmava gli amanti del momento ed era sempre piena di scherzi. Durante i rapporti, aveva tanta fantasia nel cercare nuovi modi di far l'amore, da riuscire a coinvolgere coloro che cercavano quel genere di piaceri, e, costoro, morbosamente, si legavano a lei.
Quando incontrava qualcuno, specie se si trattava di ragazzi, era sempre lei a prendere l'iniziativa del primo approccio con ancheggiamenti e sorrisi.
Succube d'ogni genere di lussuria, quando si recava ai festini portava con sé una torma di ragazzi, tutti in pieno vigore fisico, ed era lei a vivacizzare la festa, salendo su un triclinio e mostrandosi in tutta la sua nudità.
Finita la festa faceva l'amore con tutti, lasciandosi andare ad ogni specie di lascivia. E, non ancora soddisfatta, finiva per accoppiarsi con i servi, come aveva fatto una volta, partecipando ad un banchetto. In quest'occasione, aveva portato con sé, dieci giovani, serviti da trenta servi. A dire di Procopio, <la carità dispensata da Teodora ...era stata universale>.
Faceva l'amore in tutti i modi possibili, e soleva dire, che se la natura avesse concesso orifizi ai suoi seni, avrebbe utilizzato volentieri anche quelli.
Procopio, nel raccontare le esibizioni di Teodora in teatro, si mostra scandalizzato. Nei tempi attuali potremmo considerare Teodora una spogliarellista <hard>.
Gli storici sono stati molto parchi nel tramandare notizie di simili spettacoli. In ogni caso, Teodora sarebbe da considerare una delle prime spogliarelliste della storia.
A teatro, infatti, non aveva alcuna difficoltà a spogliarsi, mostrando il suo corpo con la massima naturalezza. Si esibiva, tenendo soltanto il perizoma, che le copriva il sesso e l'inguine. Ciò, non perché si vergognasse a tenere scoperte le parti intime, ma soltanto perché era vietato esibirsi in pubblico, completamente nudi.
Il suo numero preferito e di gran successo, era quello di giacere supina per terra e, stando in questa posizione, farsi spandere dei chicchi sul sesso; comparivano quindi delle oche, che beccavano i chicchi.
Era molto brava a far sussultare i glutei e, col suo corpo elastico e snodato riusciva a fare qualsiasi tipo d'esercizio, come quello di piegarsi fino ad avvicinare il viso al suo sesso.
Questo suo modo di vivere non le consentiva di avere un uomo fisso. Solo una volta si era legata, per un certo tempo, ad Ecébolo di Tiro, governatore della Pentapoli di Libia, che l'aveva presa con sé portandola nella città d'Apollonia. Ecébolo era più vecchio di lei e Teodora non si manteneva fedele, concedendosi delle libertà. Ecébolo finì per mandarla via.
Teodora aveva sperperato tutti i suoi averi, e in queste condizioni si mise in viaggio per tornare a Bisanzio, affrontandone tutti i pericoli, e senza altre risorse che il proprio corpo. Nelle varie tappe, frequentando bettole e taverne, riusciva a procurarsi vitto e alloggio e trovare mercanti che la portavano da un posto all'altro. Era come se il diavolo non sopportasse che qualsiasi luogo rimanesse ignaro di quanto Teodora fosse sfrenata>. Alla fine, giunse a Costantinopoli.

 

L'INCONTRO CON GIUSTINIANO


Partendo da Costantinopoli nel 517, Teodora vi era tornata intorno al 520/21. Teodora era stata sempre molto accorta ad evitare che giungessero frutti indesiderati, e, qualche volta era ricorsa all'aborto. Aveva però avuto ugualmente un incidente di percorso; un figlio maschio, indicato col nome di Giovanni. Il padre lo porterà via con sé. Teodora poco per volta, cancellerà il loro ricordo.
Dalla esperienza di questo viaggio, era tornata completamente cambiata. Con questo suo ritorno, si può dire, era iniziato un nuovo periodo della sua vita. Conduceva, infatti, una vita ritirata, vivendo in solitudine.
Una sua amica danzatrice, di nome Macedonia, era andata a visitarla, trovandola sola, avvilita e sgomenta, per essere stata abbandonata da Ecébolo, aver perso tutto il danaro, e non avere i mezzi per vivere.
Macedonia la rincuorò, dicendole, che la fortuna l'avrebbe aiutata, e avrebbe avuto tantissimo denaro.
Così confortata, Teodora, le aveva raccontato di aver fatto un sogno che le prediceva <che sarebbe andata a letto con il capo dei démoni e sarebbe diventata la sua legittima moglie, e da quel momento sarebbe diventata padrona d'ogni ricchezza>.
Il capo dei démoni si presenterà nella persona di Giustiniano. Non si sa bene in quale occasione si fossero incontrarti. Pare, fosse stata Macedonia, informatrice diretta di Giustiniano (l'impero era disseminato d'informatori), a metterla in contatto con Giustiniano. Sta di fatto che l'incontro (525) era stato fatale per ambedue.
Giustiniano, più vecchio di lei di vent'anni, era stato conquistato dal fascino di Teodora. Egli la prese subito con sé, nonostante la disapprovazione della moglie di Giustino, Lupicina-Eufemia, che, sebbene rozza, era una donna dalla moralità irreprensibile, e non accettava di prendere per nipote una prostituta. Anche la madre di Giustino, Vigilanzia si era mostrata contraria.
Giustiniano non volle sentir ragioni e concesse a Teodora il titolo di <patrizia>, titolo riservato normalmente ai familiari dell'imperatore.
Stando a Corte, Teodora in poco tempo riuscì a raggiungere una notevole posizione economica e di potere. Giustiniano n'era perdutamente innamorato e le concedeva qualsiasi favore, accomunandola anche negli affari di Stato. Lei, per naturale talento, aveva tutti i numeri per coprire quel suo nuovo ruolo, mostrandosi all'altezza della situazione.
Ambedue erano del partito dei Veneti (o Azzurri, v. più avanti e Cap. III), con la conseguenza che, la cosa pubblica finì nelle mani degli estremisti degli Azzurri, ch'erano appoggiati dalla Corte.
In quell'epoca, l'impero stava attraversando un periodo di crisi, per le continue sommosse che scoppiavano tra le fazioni degli Azzurri e dei Verdi.
Giustiniano si era ammalato, tanto da esser ritenuto in fin di vita. Gli estremisti ne approfittarono, per uccidere un personaggio molto in vista di nome Ipazio (da non confondere con l'omonimo nipote dell'imperatore Anastasio che troveremo nella rivolta di Nika).
L'imperatore, era riuscito a superare la malattia e guarito improvvisamente, aveva ripreso le redini del potere.
Aveva dato incarico al prefetto Teòdoto, soprannominato <Zucchino>, di punire tutti coloro che erano coinvolti nell'uccisione d'Ipazio.
Teòdoto riuscì ad individuare i responsabili, che dovevano essere condannati a morte. Alcuni riuscirono a fuggire. Ma, Giustiniano, ritenne di salvare i condannati, mirando, inopinatamente, a far incolpare Teòdoto, che fece accusare d'essere un mago e avvelenatore.
Non avendo prove contro di lui, fece torturare alcuni suoi familiari obbligandoli a calunniarlo. Nessuno a Corte, ritenne intromettersi in questa faccenda, per salvare Teòdoto, temendo di doverne poi pagare le conseguenze. L'unico a farlo fu il questore Proclo il quale, pur sapendo che avrebbe subito delle ritorsioni, sostenne con coraggio, che Teòdoto era innocente e non meritava la morte.
La reazione dell'imperatore non si fece attendere. Teòdoto fu trasferito a Gerusalemme. Dopo qualche tempo, Teòdoto, venne a sapere ch'erano stati inviati alcuni sicari, per ucciderlo. Si salvò andando a rifugiarsi nel Tempio, dove visse fino alla sua morte.
A Corte vivevano ancora l'imperatore Giustino e la moglie, d'umili natali e d'origine barbara, che, come abbiamo visto, si chiamava Lupicina. Costei, quando era stata presa da Giustino, aveva cambiato, o le era stato fatto cambiare, il nome (cambiamento che era normale per chi entrava a far parte della famiglia imperiale, e si convertiva al cristianesimo), in Eufemia. Dopo non molto tempo costei venne a morte.
Giustino era rimasto solo e vecchio (aveva raggiunto gli ottant'anni), e non era più in grado di occuparsi degli affari di Stato. A Corte nessuno più si curava di lui, anche se ufficialmente l'imperatore era ancora lui.
Giustiniano aveva preso le redini del potere, era, da tutti temuto e assecondato, il Senato gli aveva concesso la carica di <nobilissimus>, la più alta, subito dopo quella dell'imperatore.
Giustiniano era tanto preso da Teodora, che voleva farne la sua sposa, ma Teodora stessa si era mostrata contraria e aveva fatto delle resistenze. Vi era anche un divieto, opposto da una legge che vietava ai senatori di sposare donne di teatro o di dubbia moralità o d'origine servile.
Giustiniano però fece fare una nuova legge (De nuptiis) che abrogando la precedente consentiva a lui e a tutti gli altri senatori, di poter fare quel genere di matrimonio. Egli quindi sposò (525) Teodora dando inizio alla scalata alla vetta del potere, alla dignità imperiale.
Avendo ottenuto la disponibilità dei senatori, si fece acclamare co-imperatore, accanto allo zio. Quattro mesi dopo l'imperatore Giustino moriva (527), e tutto l'impero passò nelle mani di Giustiniano e Teodora.

 

 TEODORA E GIUSTINIANO


Teodora e Giustiniano erano in sintonia e agivano all'unisono e per tutta la vita non fecero mai nulla separatamente. Tra l'altro, davano l'impressione che tra di loro vi fossero divergenze d'opinione, ma pare lo facessero a bella posta, per raggiungere i loro scopi ed evitare di creare forti reazioni.
Erano, infatti, riusciti a disgregare gli estremisti, in quanto da una parte l'imperatrice fingeva di parteggiare per gli Azzurri (v. Cap. III, par. Azzurri e Verdi), che avevano così via libera nei confronti degli oppositori, contro i quali erano commessi ogni genere di reati e violenze.
Giustiniano, dal suo canto, dava l'impressione di sdegnarsene, opponendosi apertamente alla moglie e spesso, scambiandosi i ruoli, lui procedeva alla punizione degli Azzurri e lei se ne inquietava, mostrandosi contrariata, per essersi dovuta piegare ai voleri dell'imperatore.
Fu così che gli estremisti furono ridotti alla ragione. Molti di costoro erano tra gl'intimi dell'imperatore, il quale lasciava che commettessero violenze e soprusi nell'amministrazione della cosa pubblica. Nel momento in cui si rendeva conto che costoro erano riusciti ad accumulare ricchezze, uno scontro con l'imperatrice li faceva cadere in disgrazia. L'imperatrice quindi prendeva subito misure spietate nei loro confronti, con la conseguenza che lei finiva per appropriarsi dei loro beni.
Con questi sistemi, mentre nell'intimità ambedue erano d'accordo, in pubblico fingevano di litigare, riuscendo così a dividere i sudditi e consolidare il loro potere.

 

LA RIVOLTA DI NIKA


L' 11 gennaio del 532 era una domenica e all'ippodromo si svolgevano i giochi alla presenza dell'imperatore. L'ippodromo era il luogo dove i rappresentanti del popolo manifestavano i loro sentimenti e le loro richieste all'imperatore e un araldo faceva da tramite.
Nello stadio quel giorno c'erano centocinquantamila spettatori. L'atmosfera era surriscaldata, in quanto, in precedenza, in città, v'erano stati dei disordini e alcuni agitatori, delle due fazioni, erano stati arrestati ed erano in attesa dell' esecuzione capitale.
Alla tribuna imperiale apparvero le guardie, nelle loro sfavillanti armature, seguite dai senatori, dai generali, dagli ambasciatori e dai rappresentanti dei partiti, infine l'imperatore.
La folla era minacciosa, si udivano parole scandite in coro. Giustiniano aveva ordinato all'araldo di chiedere al popolo cosa volesse. Il portavoce dei Verdi (v. Cap. III, par. Azzurri e Verdi), dopo essersi alzato e aver pronunciato alcune formule di rito, aveva lamentato che si stavano subendo tutte le ingiustizie possibili e immaginabili. Dopo un battibecco, l'imperatore, persa la calma, li redarguisce: <Tacete una buona volta, giudei, manichei e samaritani!>. I Verdi, agitando i paletti dello steccato, rivolgendosi ai cattolici urlano: <La madre di Dio ci assiste>. Gli Azzurri intervengono e cacciano i Verdi dall'ippodromo.
Il giorno dopo vi era l'esecuzione di quelli ch'erano stati in precedenza arrestati per i torbidi, appartenenti alle due fazioni. Tre di essi dovevano essere impiccati, quattro decapitati.
L'esecuzione per i decapitati fu eseguita senza problemi. Per i tre impiccati, invece, dopo la prima impiccagione, per le due successive la corda si ruppe ed essi caddero per terra.
Fu chiesta rumorosamente la grazia, come avveniva normalmente in questi casi, ma il carnefice, riprese il suo lavoro con indifferenza Anche questa volta però, la corda si ruppe. La folla, spinta da un monaco, prese i due condannati e li portò a rifugiarsi in una chiesa.
Dopo due giorni, all'ippodromo riprendono le corse. Invece delle solite acclamazioni si sente un grido, mai udito prima: <Viva i Verdi e gli Azzurri>. Era evidente che le due fazioni si erano alleate per contrastare le imposizioni che provenivano dall'alto.
Le corse terminarono in un tumulto. Tutti urlavano <nika, nika!> (vittoria, vittoria). Era la rivolta. I rivoltosi andarono a liberare i prigionieri politici, poi andarono ad appiccare il fuoco al palazzo imperiale e alla chiesa di santa Sofia.
Il giorno successivo i tumulti non erano ancora sedati. Giustiniano per calmare gli animi depose i due odiati ministri (Triboniano e Giovanni il Cappadoce), gli uomini più odiati del momento.
Era troppo tardi. La deposizione non fu sufficiente a sedare la rivolta, tanto che l'imperatore dovette chiedere l'intervento dell'esercito rivolgendosi ai generali, Belisario e Mundo, che per caso si trovavano nella capitale.
Le strade di Bisanzio erano strette e tortuose e non consentivano l'intervento della cavalleria o dell'esercito. Il combattimento avvenne con un corpo a corpo, per le strade, col risultato che interi quartieri furono ridotti in rovina.
La sera del diciassette gennaio i senatori, che non riscuotevano la fiducia dell'imperatore, dovettero abbandonare il palazzo imperiale. Il giorno dopo l'imperatore convocò il popolo all'ippodromo e umilmente si mostrò disposto a trattare, ma le sue offerte non furono accettate.
I suoi avversari ritennero giunto il momento di nominare Ipazio, nipote dell'imperatore Anastasio, che fu acclamato dalla folla. Non essendovi un diadema da mettergli sul capo, gli fu messa una collana d'oro.
Giustiniano a Corte, stava discutendo con i suoi consiglieri, sulla decisione da prendere (se abbandonare la città o resistere), quando si presentò l'imperatrice che si era resa conto della situazione e delle incertezze dell'imperatore.
Teodora rivolgendosi all'imperatore, disse: <Lasciamo da parte il fatto che una donna non dovrebbe permettersi di dare consigli ad uomini e mostrarsi coraggiosa in mezzo a gente che trema di paura. Mi pare che in questo momento non sia il caso di sottilizzare, su quali siano o non siano le buone regole di comportamento. Penso che nel momento in cui si stia correndo un gravissimo pericolo, ognuno possa decidere come meglio crede. Quanto a me, il mio parere è che proprio in questo momento la fuga sia assolutamente inopportuna, anche se porta alla salvezza della vita. Ogni essere vivente è destinato, prima o poi, a morire, e chi è sul trono non può evitare la morte, abdicando vergognosamente. Che io non debba vedermi strappare di dosso questa porpora, ed essere viva il giorno in cui quelli che incontrerò non mi chiameranno più regina. Se tu, imperatore, hai in mente di metterti in salvo, nessuno te lo può impedire. Abbiamo ricchezze e laggiù c'è il mare con le navi. Bada però, se una volta al sicuro, sarai felice o non preferirai essere morto piuttosto che salvo. Quanto a me, approvo il vecchio detto che la porpora è uno splendido sudario >.
Con queste parole (anche se non furono proprio quelle dette dall'imperatrice, il loro contenuto può essere ritenuto esatto nda.), degne di una regina, l'imperatrice era riuscita ad infondere coraggio nei presenti, ma la situazione era grave e non si sapeva bene cosa decidere.
Ipazio intanto era giunto all' ippodromo e, nel palco imperiale si era seduto sul trono. I soldati non parteggiavano per nessuna delle due parti, in attesa degli sviluppi della situazione, Quando giunse Belisario che gridava di aprire la porta, nessuno dei soldati si mosse. Bellisario quindi pensò che l'unica soluzione sarebbe stata quella di caricare la folla assiepata nel circo.
Sguainando la spada si gettò sulla folla, seguito dai suoi miliziani. I popolani, che non erano disposti in ordine, quando videro i soldati, che indossavano le corazze, con le spade sguainate e stavano per caricarli, si diedero alla fuga.
Anche Mundo che era nei pressi, si lanciò nel circo. I partigiani d'Ipazio furono massacrati. Due nipoti di Giustiniano, Boraide e Giusto, tirarono giù dal trono Ipazio portandolo via.
La rivolta fu così sedata, ma il bilancio di quattro giorni di rivolta furibonda, fu disastroso, con gran parte della città ridotta in cenere. Molte chiese (tra le quali s. Sofia), bagni, teatri e palazzi erano stati distrutti. I morti furono circa tremila.

 

"PORFIRIO" LA BALENA


Teodora amava soggiornare, nella maggior parte dell'anno, nei palazzi sulle coste litoranee della Propontide e del Bosforo, particolarmente nel palazzo d'Hereum (sulle coste della Propontide), che Giustiniano aveva fatto costruire per lei.
Qui Teodora, circondata da ancelle ed eunuchi, conduceva una vita dedita al riposo e alle cure del corpo. Si alzava piuttosto presto, entrava nel bagno e vi rimaneva per parecchio tempo. Uscita dall'acqua, faceva colazione e tornava a riposare. A pranzo e cena assaggiava ogni sorta di cibo e poi si concedeva lunghi sonni.
Nei famosi e decantati giardini dell'Hereum, tra fontane e flutti marini, svettavano le <ninfe del bosco>, le ancelle del seguito dell'imperatrice.
Le <ninfe del bosco> erano però spaventate da <Porfirio>. Si trattava di una balena (lunga mt. 13.50 larga mt. 4.50) finita nel Mar Nero, dove, per lungo tempo, aveva seminato terrore. Porfirio compariva e scompariva davanti alle coste di Bisanzio e aveva fatto naufragare alcune imbarcazioni e spaventato non pochi navigatori.
Un bel giorno, la balena, inseguendo un branco di delfini, di cui ne avrebbe divorati alcuni, era andata ad arenarsi alla foce del fiume Sangario (Sakarya).
Accorsi gli abitanti di Bisanzio, la colpirono con asce senza riuscire ad ucciderla. Alla fine la sollevarono con le corde e la caricarono su carri, portandola via. Tutti i partecipanti se la divisero in parti uguali. Alcuni preferirono mangiarne la carne fresca, altri la fecero essiccare, per conservarla.

 

VENDETTE E CRUDELTA'


Essere diventata imperatrice non aveva affinato o addolcito gli istinti e l' animo di Teodora, che spesso tradivano le sue origini. Nella sua personalità prevaleva lo spirito autoritario e vendicativo, non disgiunti da una buona dose di crudeltà.
Sebbene fosse stata in perfetta sintonia con Giustiniano, gli aveva tenuto nascosti i suoi sentimenti religiosi, fingendo d'essere ortodossa, come Giustiniano, mentre in realtà era monofisita (v in Schede: Scismi in Oriente ecc.). Aveva inoltre tenuto l'imperatore all'oscuro dei nascondigli bui e segreti, che avevano accesso dai suoi appartamenti, che lei utilizzava per i suoi scopi. Nessuno li conosceva, all'infuori del capo eunuco, suo fedele servitore, incaricato di risolvere con discrezione ogni sorta di problemi.
Non aveva mai rivelato a Giustiniano di aver avuto un figlio. Costui, dopo aver saputo dal padre morente chi era la madre, si era presentato a Corte. Ai maestri di camera, aveva detto di essere il figlio dell'imperatrice e desiderava vedere la madre! Costoro annunciarono all'imperatrice <l'arrivo del figlio Giovanni>.
Teodora ne fu allarmata e temendo che venisse a saperlo l'imperatore, dopo aver fatto introdurre il figlio alla sua presenza, lo affidò al capo eunuco. Da quel momento, di Giovanni non si seppe più nulla.
Procopio confessa di non saper dire <in che modo quel poveretto fosse stato fatto sparire dal mondo dei vivi! Fatto sta>, aggiunge lo storico, <che nessuno è riuscito più a vederlo, fino ad oggi (cioè al momento in cui scriveva nda.), neanche dopo la scomparsa della sovrana>.
Teodora era ritenuta responsabile dell'assassinio della regina dei goti, Amalasunta, secondo la versione di Procopio, che è l'unico storico che parla della vicenda, anche in maniera circostanziata, e non risultano altre versioni.
Amalasunta era bella (anzi, è definita <bellissima>), colta e di carattere virile. Aveva fatto sapere d'avere intenzione di rifugiarsi a Bisanzio. Teodora aveva tutti i motivi per esserne gelosa, potendo Amalasunta diventare una sua rivale. Nel timore della <leggerezza del marito>, riuscì a convincere Giustiniano a mandare come ambasciatore il rétore Pietro di Tessalonica, che godeva la sua fiducia. A Pietro Teodora avrebbe dato incarico, promettendogli grandi ricompense, di suggerire a Teodato di eliminare Amalasunta.
Amalasunta era l'unica figlia di Teodorico, che alla sua morte (534) aveva designato come re dei goti il figlio di questa, Atalarico, di otto anni. Atalarico morirà di consunzione, per cui Amalasunta farà chiamare un suo cugino, Teodato, unico esponente della schiatta di Teodorico. Costui, appena designato, senza preoccuparsi dei legami di parentela con Amalasunta, la fece prelevare dal palazzo di Ravenna e rinchiudere nel castello dell'isola di Bolsena. Qui Amalasunta fu strangolata nel bagno (535).
Oltre a curarsi degli affari di Stato, Teodora, quand'era in vena di comicità, in ricordo dei vecchi tempi, non si faceva scrupolo di umiliare qualche malcapitato, specie se patrizio.
Era accaduto proprio ad un patrizio, che non era in grado di pagare i debiti, in quanto, a sua volta, non riusciva ad ottenere, dai propri debitori, il pagamento dei suoi crediti. Per risolvere il problema, aveva chiesto udienza all'imperatrice.
Teodora, in ricordo dei tempi del teatro ed anche per umiliare la casta alla quale non apparteneva, aveva pensato di divertirsi a spese del patrizi e aveva preparato i suoi eunuchi. Nel momento in cui il patrizio era stato introdotto alla sua presenza e aveva supplicato il suo intervento, l'imperatrice aveva cantilenato il suo nome, ed il coro degli eunuchi aveva risposto <com'è grossa la tua ernia> (l'ernia in greco è kelé ed ha assonanza con koilé, buco, giocandosi sull'equivoco!).
Il patrizio, ignaro, aveva ripreso a supplicare, ma gli sberleffi continuavano. Capita l'antifona, dopo essersi inchinato, andò via.

 

LO SPIRITO SODALE CON DONNE E PROSTITUTE
VERSO LA FINE


In città vi era gran corruzione e rilassatezza di costumi, sui quali lo spirito moralizzatore della sovrana non aveva alcun effetto, perché, quando le mogli tradivano i mariti, l'imperatrice parteggiava per le mogli.
Con questo spirito Teodora interveniva anche nella vita privata delle persone, a volte per soddisfare suoi personali capricci, o per spirito protettivo, che aveva particolarmente nei confronti delle prostitute.
L'imperatrice si mostrava clemente con le adultere, accusate dai mariti e le sue ritorsioni avvenivano nei confronti di costoro, quando non riuscivano a provare (come accade normalmente in questi casi) le loro accuse.
Essi erano arrestati, fustigati e costretti a pagare il doppio della dote. Altre volte, l'imperatrice faceva in modo che, ribaltate le accuse, fossero i mariti ad essere accusati. Le conseguenze furono che i mariti evitavano di denunciare le mogli.
Teodora amava anche combinare o scombinare matrimoni, contro la stessa volontà degli interessati, facendo in modo che patrizi sposassero delle plebee, o viceversa.
A Bisanzio c'erano due sorelle, non solo figlie di magistrati, ma appartenenti a famiglia che per nobiltà risaliva ai primi membri del senato. Costoro erano rimaste vedove e, pur avendo dei pretendenti nobili, le costrinse ad accoppiarsi con due bifolchi e straccioni, che le due sorelle rifiutarono, rifugiandosi nella chiesa di s. Sofia. Ma l'imperatrice fece tali pressioni che esse dovettero cedere. In seguito Teodora, forse presa da scrupoli, gratificò i due, innalzaldoli ad alte cariche dello Stato.
Un altro caso era stato quello di un funzionario di Corte di nome Saturnino, che stava per sposare una sua cugina, una ragazza fine e perbene. Prima del matrimonio, l'imperatrice gli impose di sposare Crisomallo, una ballerina ed ex prostituta, che viveva a Corte presso di lei. E non era l'unica ad essere stata chiamata a Corte (si conoscono i nomi di altre due, un'altra Crisomallo e Indaro).
Saturnino, ignaro dei precedenti, non avendola trovata vergine, si era confidato con un intimo. Teodora però era venuta a conoscere l'indiscrezione e, fattolo prelevare, lo aveva accusato di <avere la puzza sotto il naso, e di darsi delle arie, del tutto inopportune>. Era stato fatto sollevare da terra, come si faceva con gli scolari, e frustare, perché imparasse a tenere la bocca chiusa!
Teodora aveva in odio un nipote di Giustiniano, di nome Germano, che aveva dei figli. Nessuno osava sposarli, per non urtare la sensibilità dell'imperatrice.
Il generale Bellisario aveva pensato di far sposare una figlia diciottenne di Germano, al figlio del gen. Vitaliano, Giovanni, mandandolo a Costantinopoli dall'Italia.
Teodora cercò di impedire in tutti i modi queste nozze, fino a minacciare esplicitamente Giovanni, il quale decise di rinunciare al matrimonio e tornarsene in Italia.
Bellisario era molto ricco e aveva una figlia, Giovannina, che l'imperatrice voleva far sposare ad un suo nipote, Anastasio, in modo che alla morte dei genitori la ragazza avrebbe ereditato l'immensa fortuna del padre.
Bellisario però non era d'accordo. Teodora fece in modo che il nipote violentasse la sfortunata ragazza e convivesse con lei. Col tempo la ragazza si era innamorata d'Anastasio. Nel frattempo però l'imperatrice moriva, e la madre della ragazza, Antonina, non volendo avere per genero un nipote di Teodora, la costrinse a lasciare Anastasio e sposare un altro uomo.
Teodora era anche permalosa e non permetteva che si parlasse male di lei. Il palazzo e la città (e l'impero, come abbiamo visto in altra parte) erano pieni di spie e guai ad esprimere giudizi o parlar male dell'imperatrice, che n'era subito informata.
I provvedimenti erano presi immediatamente. Il sistema adottato era quello di risolvere il caso con discrezione e senza testimoni: convocava il malcapitato e il suo capo eunuco provvedeva a farlo sparire o farlo accompagnare incappucciato in esilio, ai margini dell'impero.
Un appartenente ai Pràsini (Azzurri), di nome Basiano, l'aveva oltraggiata. Venutane a conoscenza, l'imperatrice, che avrebbe potuto farlo accusare d'oltraggio, lo fece invece accusare di pederastia, che era il reato più grave, per il quale era comminata (istituita, come abbiamo visto, da Giustiniano), la pena della castrazione. Il malcapitato fu, infatti, torturato e castrato.
Un altro appartenente ai Pràsini, Diogene, fu più fortunato. Era un giovane spiritoso, amato da tutti e dallo stesso sovrano. Teodora decise di accusarlo d'avere rapporti con uomini, inducendo due dei suoi servitori ad accusarlo. Le accuse dei due non furono molto convincenti. Uno dei due, Teodoro, fu torturato con un nerbo di bue messo attorno agli orecchi, che gli veniva stretto fin quasi a fargli strizzare gli occhi dalle orbite. Teodoro però resistette. Diogene fu assolto perché l'accusa non fu provata... e l'intera città festeggiò l'avvenimento.
Poco si sa delle avventure erotiche dell'imperatrice, che probabilmente si concedeva delle libertà, facendo sparire i malcapitati nelle segrete dei suoi appartamenti.
Si sa però che si era innamorata d'Aerobindo, un barbaro, giovane e bello, che serviva a corte. Non si sa bene, invece, fino a che punto si fossero spinti i rapporti tra i due. Sta di fatto che, un bel giorno, senza un motivo apparente, Teodora lo fece sottoporre a tortura, dopodiché d'Aerobindo non si seppe più nulla.
Quelle che potevano sembrare forme di beneficenza da parte di Teodora, erano solo capricci. Aveva, infatti, a cuore le condizioni delle prostitute, e faceva distribuire danaro per alleviare il loro tenore di vita. Ma i suoi sforzi non servivano molto a risolvere la situazione, in quanto il numero delle prostitute a Bisanzio era enorme.
Esse erano reclutate dai lenoni, che si recavano in tutte le campagne dell'impero dove i contadini, oberati dalle tasse, cedevano le seconde figlie per avere una bocca in meno da sfamare e alleviare le loro misere condizioni. Il contratto delle prostitute prevedeva la cessione di tutto il guadagno al proprietario del locale, che provvedeva alle loro necessità.
Sulle coste del Bosforo, Teodora aveva fatto adibire un magnifico palazzo a monastero. Vi aveva fatto portare cinquecento prostitute prese dalle strade e dai postriboli di Costantinopoli. Questa nuova vita, però, non piaceva a quelle ragazze, abituate a vivere liberamente. Molte di loro finirono per scappare, altre preferirono togliersi la vita, buttandosi in mare.
Teodora, riuscì a tener vivo l'amore di Giustiniano fino alla fine. Dal rapporto con Giustiniano aveva avuto una sola bambina, morta in tenera età.
Il destino non le aveva concesso ancora molto da vivere. Un cancro allo stomaco la consumò nel giro di un mese. Era l'11 giugno del 548.
Nei quarantotto anni in cui era vissuta, aveva conosciuto tutte le possibili sfumature che la vita possa offrire. Dal nero della miseria all'oro della ricchezza e dello splendore.

 

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