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I MILLE ANNI |
Giustino era uno
di quei tanti giovani che dalle più sperdute province dell'Impero,
si recavano a Bisanzio in cerca di lavoro e di fortuna, per cambiare
la loro misera esistenza.
Per la sua forza e il fisico atletico, fu arruolato nell'esercito.
Ne percorse tutti i gradi, fino a diventare senatore e capo della
guardia di Palazzo (che equivaleva a quella di comandante generale
dell'esercito). Questa carica, alla morte dell'imperatore Anastasio
Dicoro (aveva un'occhio azzurro e uno nero), gli permise, con
l'appoggio dell'esercito, d'impossessarsi della carica imperiale
(518-527).
Era letteralmente analfabeta, tanto che per apporre la sua firma,
un suo consigliere escogitò il sistema di un pezzo di legno,
dove in negativo erano incise le parole LEGI (ho letto). Così
Giustino con una penna seguendo le lettere incise (ma gli dovevano
accompagnare la mano), firmava i documenti.
Giustino, oltre ad essere analfabeta, era un uomo rozzo, non sapeva
esprimersi, e non sarebbe stato in grado di governare se non avesse
avuto come questore, Proclo, che, con fedeltà e diligenza,
amministrava l'impero. Giustino aveva però una grande qualità:
l'acume dell'intelletto che gli faceva avere una visione generale
di tutte le cose. Senza questa qualità non sarebbe riuscito,
da solo, a raggiungere le cariche e il trono.
Giustino aveva preso
a Corte, quando aveva raggiunto l'età di vent'anni, il
nipote Giustiniano (figlio della sorella), che sarebbe stato erede
dei suoi beni, e solo di quelli, perché Giustino non aveva
alcuna intenzione di farlo diventare suo successore. Ma Giustiniano,
riuscì ugualmente a raggiungere quella carica.
Giustino, si era liberato di possibili rivali, facendo uccidere
l'eunuco Amanzio, che pur aveva parteggiato per lui quando era
stato eletto imperatore. Senza alcuna gratitudine, Giustino lo
aveva accusato, di essere a capo di una congiura. Si trattava
proprio della congiura che lo aveva portato al trono!
Fece uccidere anche il generale goto Vitaliano, accolto a corte
come amico e favorito, suo e del nipote. Sette mesi prima che
Vitaliano fosse ucciso, lo aveva insignito dei titoli di console
e generale.
Vitaliano fu pugnalato in un agguato tesogli quando si era recato
a pranzo nel sacro Palazzo. Dopodiché furono uccisi tutti
i suoi congiunti, e Giustiniano non si fece scrupolo d'impadronirsi
di tutte le sue ricchezze.
Dopo l'uccisione di Vitaliano, Giustiniano prese il suo posto
come comandante generale degli eserciti orientali. Egli però,
non abbandonò la capitale per seguire l'esercito, ma preferì
rimanere a Corte, da dove più facilmente poteva preparare
il terreno per il suo futuro.
Per prima cosa Giustiniano, cercò di guadagnarsi il favore
della Chiesa, con l'intollerante e inflessibile ortodossia mostrata
nella controversia tra nestoriani e manichei.
Mostrò poi, pompa e magnificenza nei pubblici spettacoli,
considerati sacri dal popolo bizantino, per accattivarsene i favori.
In uno di questi spettacoli, erano apparsi venti leoni e trenta
leopardi, e, con gli aurighi vittoriosi, si era mostrato generoso
dando loro in omaggio numerose pariglie di cavalli con ricche
bardature.
A Corte era lui a ricevere le ambascerie straniere e coltivare
i rapporti col senato, del quale si mostrava amico.
Quando lo zio Giustino si accorse di avere poco tempo da vivere
(aveva una coscia incancrenita), furono gli stessi senatori a
sollecitare l'imperatore ad associarsi il nipote, ma Giustino,
egoisticamente attaccato al potere, suggerì di cercare
un candidato più vecchio.
Il senato però, ritenne di offrire a Giustiniano il titolo
di <nobilissimo>, ch'era la più alta carica, dopo
quella dell'imperatore e, con questa nomina, Giustino si convinse
ad incoronare il nipote, e, alla presenza del senato e del patriarca
gli pose sulla testa il diadema imperiale (527). Giustiniano aveva
circa quarantacinque anni. Quattro mesi dopo Giustino moriva.
Giustiniano sentiva
forte l'idea della grandezza dell'impero romano, e a questo ideale
cercò di improntare il lungo periodo (trentotto anni, 527-565)
del suo regno.
Quando salì al trono, l'Impero, in tutti i suoi aspetti,
civili, religiosi, militari e territoriali era in stato di disfacimento.
La Chiesa era divisa da discordie ed eresie, l'amministrazione
statale, oltre ad essere corrotta, versava nel caos, la legislazione
era farraginosa, l'economia stremata, il territorio, in parte
occupato, in parte minacciato nei confini. All'interno, le fazioni
suscitavano continue rivolte, le arti erano in decadenza.
Giustiniano aveva una visione ampia delle cose ed era un pianificatore.
Per prima cosa, dette sicurezza all'impero, riconquistando parte
dei vari territori perduti (Italia e Spagna), assicurando i confini
minacciati dai persiani.
In campo religioso, volle riaffermare l'idea che gli imperatori
bizantini erano i rappresentanti di Dio in terra, creatori e interpreti
della legge, anzi, essi stessi, personificazione della legge.
Con la conseguenza che la monarchia universale che essi rappresentavano
(che racchiudeva in sé il potere politico), doveva considerarsi
d'origine divina. Per questo, chi si presentava davanti all'imperatore
(e all'imperatrice) doveva prostrarsi in adorazione e baciare
il piede o la caviglia.
Con queste premesse, Giustiniano mise in atto la persecuzione
di pagani ed ebrei, combattendo aspramente i movimenti scismatici
ed ereticali monofisiti, nestoriani, manichei e montanisti, Fece
soppressi, in Egitto, i culti di Ammone e distrutti i santuari
dove persistevano gli antichi culti di Iside e Osiride e Priapo.
Non furono colpiti invece i monofisiti, certamente per intervento
dell'imperatrice che era monofisita.
Con una vasta opera normativa e riformatrice, provvide a riordinare
la pubblica amministrazione che versava nell'anarchia e nella
corruzione.
Nel campo civile furono intraprese grandi opere pubbliche, e opere
artistiche, che comportarono grandi spese. Alle città di
Cartagine e Antiochia distrutte da guerre e terremoti (526), dette
generosamente denaro per la loro ricostruzione.
Nella sola Costantinopoli, furono costruite ben venticinque chiese
in onore di Cristo, dei Santi e delle Vergine e dei santi Apostoli
(pianta a croce quadrata, alla quale aveva partecipato Teodora),
tutte ornate di marmi e d'oro.
La chiesa di s. Sofia fu ricostruita (537) con profusione di marmi
e d'oro (v. in Schegge, Bisanzio città d'Oro), e resa più
splendida di prima. L'incendio della grande chiesa, infatti, aveva
suggerito la sostituzione di tutte le parti in legno dell'armatura
dell'edificio, con blocchi di pietra e laterizi coperti da rivestimento
in marmo.
Anche in altre parti dell'impero, furono costruite chiese, come
ad Efeso, la chiesa di s. Giovanni, fatta sullo stesso modello
di quella (a croce quadrata), dei santi Apostoli di Costantinopoli.
A Gerusalemme fu costruita una chiesa dedicata alla Vergine, elevata
in un luogo scabro e infossato, in una valle che non offriva né
terreno, né materiali, e richiese un lavoro immane. Si
cominciò con l'alzare il piano del terreno. Da una vicina
cava, furono portati i blocchi di pietra che, uno per volta, erano
caricati su un carro speciale tirato da quaranta buoi e si dovettero
allargare le strade per il passaggio di questo straordinario carico.
Ma, l'opera per la quale, solo per essa, Giustiniano avrebbe meritato
l'immortalità, era stata quella di aver riunito tutto il
patrimonio della tradizione giuridica romana, nella più
grande raccolta di tutti i tempi. Il Corpus Juris, detto giustinianeo,
che, superando i secoli ha costituito la base del diritto moderno
di tanti paesi europei che avevano recepito nel loro diritto,
il diritto romano-giustinianeo.
Giustiniano era partito dalla raccolta di codici precedenti (Gregoriano,
Ermogeniano e Teodosiano) e con l'aiuto del suo ministro della
giustizia Triboniano, e di una commissione formata dai migliori
docenti di diritto e avvocati dell'epoca, tutta l'attività
legislativa precedente e contemporanea fu coordinata con l'adattamento
dell'antico diritto alle esigenze del momento. Al Corpus Juris
fu aggiunto il Digesto (o Pandette), costituito da una raccolta
di giurisprudenza più ristretta del Corpus, e le Novellae,
costituite dalle nuove leggi che venivano man mano promulgate.
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Non v'è dubbio
che Giustiniano sia stato un despota e tiranno e, provenendo da
famiglia povera, sia stato preso dall'avidità delle ricchezze.
Queste ricchezze però non le aveva accumulate per sé,
ma le aveva, se vogliamo, dilapidate, per dare splendore all'impero
e alla sua Corte.
L'imperatore non aveva lasciato tesori nascosti, come aveva supposto
Procopio, che riteneva questa sua supposizione (delle ricchezze
accumulate per sé), avrebbe potuto avere una risposta solo
alla morte dell'imperatore.
La risposta venuta dopo la morte dell'imperatore, era contraria
all'ipotesi di Procopio, nel senso che Giustiniano non aveva lasciato
nulla dei tesori che si supponeva avesse accumulato.
E, non v'è dubbio che nel legiferare, riformare e combattere
contro la pubblica amministrazione (che in tutti i tempi è
stata gelosa custode dei propri privilegi e, contro la quale,
la mano non è mai pesante), abbia usato metodi duri e prevaricatori
seminando, evidentemente lo scontento. Ma, questi sistemi gli
avevano consentito di raggiungere risultati positivi.
Procopio, che era stato lo storico del tempo di Giustiniano e
Teodora, mentre nelle <Guerre> si era mostrato condiscendente
sull'opera del sovrano, nelle <Storie segrete>, potendosi
esprimere più liberamente (<non sarei potuto sfuggire
alla pletora di spie>), si scaglia contro l'imperatore (e,
come vedremo, ancor più contro l'imperatrice), contestando
non solo i metodi, ma la validità dei risultati che Giustiniano
era riuscito a raggiungere.
Nella religione,
argomento su cui si era mostrato sensibilissimo, Giustiniano,
seguendo con fanatismo la rigida osservanza del cristianesimo
ortodosso, si dette alla persecuzione delle sette eresiarche,
prima fra tutte, l'arianesimo.
Queste sette erano ricchissime. Oltre ad aver accumulato in misura
incalcolabile oggetti d'oro e d'argento, ornati di pietre preziose,
avevano beni immobili costituiti da case, feudi e grandi estensioni
di terre in tutto il paese, oltre ad ogni altra ricchezza possibile
e immaginabile. Ricchezze che nessun imperatore, aveva mai pensato
di toccare. Giustiniano fu il primo a confiscare quei tesori.
Le confische suscitarono ribellioni sedate nel sangue. Avvenne
anche che i montanisti stanziati in Frigia, si chiusero nelle
loro chiese e si autoeliminarono, appiccandosi il fuoco.
Per i samaritani della Palestina fu emanato uguale editto, e anche
la Palestina fu presto in subbuglio. Molti di costoro per non
subire persecuzioni, si fecero passare per cristiani, altri si
convertirono alla religione dei manichei o a quella dei politeisti.
Molti altri decisero di armarsi, dandosi un capo, da essi eletto
imperatore, col nome di Giuliano, ma furono tutti massacrati.
I cristiani invece, proprietari di terre, furono costretti a pagare
pesanti tributi. Contro i così detti Greci (che erano i
Gentili, vale a dire i laici, i Romani erano i bizantini- ortodossi)
furono esercitate torture fisiche e confische.
Fu condotta una campagna moralizzatrice, e per prima fu perseguitata
la pederastia, punita anche in assenza di qualsiasi denuncia,
essendo sufficiente la semplice accusa da parte di uno schiavo
o di un ragazzo. Essa fu punita con la castrazione e il malcapitato
era portato in giro per la città su un cammello, nudo,
per mostrare la menomazione che gli era stata inferta.
Furono perseguitati gli astrologi, presi a legnate sulla schiena
e portati in giro sul dorso del cammello. <Era brava gente>
commenta lo storico, <erano vecchi ai quali non si poteva imputare
nulla, se non il desiderio d'essere esperti nella scienza degli
astri>.
I benestanti, prosegue Procopio, erano depredati delle loro ricchezze,
aggiungendo: <Erano molti quelli che espatriavano, come se
la patria fosse preda di nemici>.
Costantinopoli presentava
una singolarità, nell'espressione della dialettica del
popolo, alla quale faceva capo tutto ciò che la coinvolgeva,
sia dal punto di vista sportivo che politico e non solo. Il popolo
era quindi diviso in due associazioni (in effetti erano vere e
proprie fazioni), dette degli Azzurri o Veneti e dei Verdi o Pràsini,
che passavano come sportive, ma la partecipazione allo sport era
soltanto la loro parte esteriore, in quanto erano un misto di
associazioni sportive, partiti politici, movimenti ideologici,
organizzazioni corporative, in cui faceva la sua parte anche la
religione.
Gli Azzurri erano ortodossi e fungevano anche da milizia. Partecipavano
anche alla costruzione delle mura della città. I loro capi
erano nominati dal governo.
Altra peculiarità presentata da Costantinopoli, era che
il Senato, il quale aveva una bellissima sede con palazzo e antistante
piazza con porticato (v. Bisanzio città d'oro), non si
riuniva però in questa sede, ma all'ippodromo, come all'ippodromo
(o circo) si riunivano le due fazioni, che qui incontravano l'imperatore
e gli parlavano o gli facevano le loro rimostranze attraverso
i loro portavoce, i quali esponevano all'araldo imperiale e attraverso
questo l'imperatore rispondeva dalla sua fastosa tribuna.
Le due fazioni erano di antica origine, inizialmente dei Rossi
e Bianchi, e dovevano il nome ai colori portati dai guidatori,
alle corse, dei carri o bighe, che entusiasmavano i bizantini
(ciò avveniva anche a Roma, anzi la provenienza dei colori
era romana).
Inizialmente le corse erano tra due carri, appunto Rossi e Bianchi,
che poi diventarono quattro con i Verdi e Azzurri.
Le corse in una giornata (dalla mattina al tramonto), si ripetevano
per venticinque volte, in tutto cento carri, che mettevano a dura
prova non solo i guidatori e i cavalli ma anche gli spettatori.
I quattro colori furono riconosciuti come segni distintivi di
quattro partiti, che in base ad interpretazioni successive furono
collegati alle quattro stagioni o agli elementi naturali.
A Costantinopoli, come abbiamo visto, le fazioni erano distinte
in due raggruppamenti di Azzurri e Verdi. La rivalità per
ragioni sportive era presto diventata odio irrazionale per tutte
le altre ragioni, e ogni motivo dava occasione di zuffe, ma anche
di uccisioni e manifestazioni di ferocia. Di sportivo le due fazioni
avevano solo l'accanimento a veder vincere nelle gare i propri
colori, la rivalità dalle zuffe si tramutava in disordini.
Nel periodo del regno di Giustiniano, che era ortodosso, tra gli
Azzurri avevano preso il sopravvento le frange estremiste, più
fanaticamente devote all'ortodossia di Giustiniano. Esse mostravano
la massima arroganza, in quanto, godevano del favore imperiale.
Giustiniano per sedare i disordini, agiva contro i Verdi.
Questi estremisti, nel modo di vestire, iniziarono a distinguersi
usarndo una foggia particolare, sia modificando il taglio dei
capelli sia usando un particolare modello di camicie e abbigliamento.
I capelli li tagliavano alla maniera dei barbari, sul davanti
e intorno alle tempie, mentre dietro, li lasciavano cadere lunghi
e incolti. Questa moda era chiamata alla <unna>. La barba
e i baffi li facevano crescere quanto più possibile, secondo
l'uso persiano.
Per gli abiti, usavano una camicia con le maniche ampie che si
chiudevano ai polsi. Dalle spalle ai polsi erano ampie in maniera
incredibile, in modo che quando agitavano le braccia nei teatri
o all'ippodromo, le maniche svolazzavano in alto creando un particolare
effetto scenografico <dando l'impressione che il loro fisico
fosse così bello e robusto, da rendere piacevole quella
moda>. Mantelletti, calzoni e calzature, seguivano invece la
moda degli unni.
Costoro circolavano con armi, che di giorno nascondevano sotto
i mantelli, di notte le portavano liberamente. Si riunivano all'imbrunire,
depredando gli indifesi e i malcapitati dei mantelli, delle cinture,
fibbie d'oro e quanto potesse avere valore. Alcuni erano uccisi
per evitare che potessero fare le denunce. Erano molti quelli
del partito avversario dei Verdi che passavano dalla loro parte,
per partecipare a quei delitti e rimanere impuniti. Altri preferivano
andarsene dalla città, ma erano ugualmente raggiunti e
puniti.
Giustiniano aveva nominato prefetto del pretorio Giovanni il Cappàdoce
che, come ministro delle finanze, si attirò l'odio di tutti.
Giovanni, esperto contabile, aveva avuto il grande merito di riformare
il sistema fiscale, ricorrendo a metodi duri, perché utilizzava
agenti, delatori e carnefici, che spremevano i contribuenti fino
all'ultimo. L'imperatore non dava ascolto alle proteste che si
rivolgevano anche contro il ministro della giustizia, Triboniano,
il quale, dal suo canto, usava anch'egli la mano pesante e con
alcune leggi aveva consolidato il dispotismo dell'imperatore.
Giustiniano era
un uomo instancabile e aveva un fisico resistente. Era sempre
in attività. Infaticabile com'era, tratteneva i suoi consiglieri
fino a tarda notte. Sembrava avesse in corpo l'argento vivo; non
stava mai fermo e si muoveva continuamente. Quando era seduto
sul trono, scendeva e passeggiava, non riuscendo a stare seduto
a lungo. Poteva dominare senza problemi la fame, tanto da rimanere
digiuno per due giorni di seguito, e mantenere il suo colorito
naturale.
Spesso, particolarmente in prossimità della Pasqua, rispettava
il digiuno, rimanendo due giorni senza mangiare, mantenendosi
con un po' d'acqua e qualche erba selvatica. Il cibo lo consumava
normalmente, assaggiando con la punta di un dito le portate che
gli servivano, lasciando tutto il resto. Dormiva anche poco. Gli
bastava dormire solo per un'ora, passando il resto del tempo a
passeggiare e lavorare.
Di viso era rotondo e di media altezza e nonostante la sua dieta,
non era proprio magro, ma nutrito in carne. Il ritratto del mosaico
lo dipinge fedelmente.
Di carattere era subdolo, con uno strano miscuglio di stoltezza
e cattiveria. <A lui si poteva applicare>, scrive Procopio,
<ciò che aveva detto un filosofo peripatetico, che nella
natura umana si trovano le qualità più opposte,
come in una miscela di colori>.
Non mostrava mai tracce di collera o di rancore verso chi gli
si era mostrato contrario. Con la serenità nell'aspetto,
dice lo storico, <con le sopracciglia basse e con voce sommessa,
faceva ammazzare miriadi di persone innocenti, distruggere città,
confiscare tesori>.
Con queste caratteristiche
non poteva mancare l'idea che fosse figlio del diavolo. Pare che
la madre stessa raccontasse che non era figlio del marito, Sabazio,
ma che aveva ricevuto la visita di un démone invisibile,
di cui però, aveva avvertito la presenza, solo quando si
era accoppiato con lei, che lo aveva concepito dopo quest'incontro!
Un eremita, giunto a corte da lontano, per essere ammesso alla
sua presenza, nel momento in cui stava per entrare nella sala
del trono, si rifiutò di entrare e se ne tornò spaventato
nella stanza dov'era ospitato. Alle richieste fattegli per conoscere
il motivo del rifiuto di vedere l'imperatore, l'eremita disse
di aver visto sul trono <il capo dei demoni>, col quale
si rifiutava di parlare ed al quale non aveva nessuna intenzione
di chiedere nulla.
C'erano persone del suo <entourage> che si trattenevano
con lui fino a notte fonda, che Giustiniano affrontava con lucidità,
mentre i collaboratori, erano presi da allucinazioni e al suo
posto, vedevano un <fantasna di démone>.
C'era poi chi giurava di aver visto l'imperatore scendere dal
trono e, mentre passeggiava in lungo e in largo, ...vedergli scomparire
la testa! Lui, l'osservatore, aveva riferito di essere rimasto
nel frattempo svenuto e aver visto, rinvenendo, l'imperatore ricomporsi!
Un altro riferiva che mentre era accanto a Giustiniano, aveva
visto il suo viso diventare un pezzo di carne informe, senza occhi
e sopraccigli, e poco dopo vedergli riprendere la forma del viso.
<Come non poteva, non essere uno scellerato demonio> dice
lo storico, <chi non beveva, non mangiava e non dormiva mai
fino a saziarsi e che a notte fonda si aggirava per la reggia,
mentre era diabolicamente (e contemporaneamente) intento ai piaceri
del sesso?>.
Giustiniano morì di vecchiaia all'età di 83 anni,
dopo essersi ammalato di peste nel 542. Un'età inconcepibile
per quei tempi e per quegli imperatori che morivano di tutto,
fuorché di vecchiaia. I suoi digiuni (come vedremo in altra
parte, quelli degli eremiti del deserto, che si nutrivano di radici
ed erbe, e superavano abbondantemente la media della vita), avevano
evidentemente aiutato la longevità.
Il suo regno era stato uno di quelli di maggior splendore, in
tutta la durata dell'impero bizantino, che lo storico Sismondi,
paragona, nel bene e nel male, a quello di Luigi XIV.
Giustiniano era diventato l'uomo più colto e raffinato
del suo secolo. Aveva avuto anche la capacità di circondarsi
di persone di grande levatura come i generali, Bellisario e Narsete,
che gli avevano fatto riprendere l'Africa, la Sicilia e l'Italia,
di cui si erano impadroniti i barbari, il giurista Triboniano,
il ministro delle finanze Giovanni il Cappàdoce che gli
aveva organizzato il sistema delle finanze, fondandole per la
prima volta, sulla scienza economica. Giovanni, come abbiamo visto,
era accusato di conoscere bene l'arte di dissanguare i contribuenti,
ed era diventato l'uomo più odiato dell'impero.
Durante il regno di Giustiniano, era stata introdotta la coltura
del baco da seta e del gelso, per il largo uso della seta, che
se ne faceva a Corte e da parte delle classi più elevate.
I primi bachi erano stati portati di nascosto dalla Cina, e avevano
trovato un clima adatto al loro sviluppo. Erano così sorti
setifici in varie città.
Furono aperte strade commerciali e instaurati rapporti con l'India,
liberando in buona parte Bisanzio dalla dipendenza dalla Persia.
Per la costruzione degli edifici, per i quali ingegneri e architetti
avevano badato più allo sfarzo che al buon gusto, si profusero
tutte le risorse del tesoro. Dopo la rivolta di Nika (v. cap.
IV par.La rivolta di Nika) si dovettero riparare i danni e ricostruire
tutti gli edifici che gli incendi avevano distrutto.
Giustiniano aveva poi disseminato le frontiere di fortezze fatte
per contenere le invasioni barbariche, con gran dispendio di denaro,
senza però ottenere grandi risultati.
Vari flagelli si abbatterono, durante il suo regno, sull'impero.
Oltre alle invasioni barbariche, vi furono i terremoti, uno dei
quali distrusse Antiochia (526), facendo duecenticinquantamila
vittime. A questi si aggiunse la peste, che propagatasi dall'Egitto
nel 542, riapparve in forma virulenta versio la fine del secolo
(594).
I sudditi erano stanchi per un così lungo regno, quelli
che pagavano tributi erano stremati dalle continue imposizioni
divenute rapine. I benpensanti temevano che con la sua morte (565)
sarebbero scoppiate rivolte e guerre civili.
Il passaggio fu indolore. Gli successe il nipote Giustino II,
il Giovane, che regnò per otto anni (565-574). Seguirono
Tiberio II (574-582), Maurizio (582-602), Focas (602-610) ed Eraclio
(610-614), che troveremo nei capitoli successivi.
Quattro anni dopo la morte di Giustiniano (569), un avvenimento,
che porterà a sua volta un rivolgimento, lascerà
un segno indelebile nella storia dell'umanità, dopo quello
portato dal cristianesimo.
L'avvenimento fu la nascita di MAOMETTO. Il rivolgimento porta
il nome d' ISLÀM.