I MILLE ANNI
DELL' IMPERO
BIZANTINO

TRA INTRIGHI
COMPLOTTI E
COLPI DI STATO
ALLA CORTE DI BISANZIO

MICHELE DUCAS-PUGLIA

 

CAPITOLO SECONDO

 

SOMMARIO:GIULIANO AUGUSTO DETTO L'APOSTATA; GALLO E GIULIANO SUPERSTITI; GIULIANO DEDITO AGLI STUDI CLASSICI; GIULIANO ACCLAMATO CESARE; RAPIDITA' NELL'AZIONE; L'EDUCAZIONE DI GIULIANO; CONDANNA DELLO SFARZO E RIFORME; GIOVIANO, VALENTINIANO I E VALENTE; GRAZIANO, VALENTINIANO II E TEODOSIO I; ARCADIO E ONORIO, VALENTINIANO III E TEODOSIO II; PULCHERIA E LE SORELLE; LEONE I, ZENONE E ANASTASIO.

 

 

GIULIANO AUGUSTO DETTO L'APOSTATA
GALLO E GIULIANO SUPERSTITI


Gli unici dell'intera discendenza di Costanzo Cloro rimasti in vita, oltre all'imperatore Costanzo, erano i due suoi cugini (figli di Giulio Costanzo fratello del padre), Gallo di dodici anni e Giuliano di sei, salvati dal furore dei soldati. I due ragazzi furono relegati in una villa isolata dove furono allevati e istruiti. Quando Gallo raggiunse l'età di venticinque anni, Costanzo lo nominò Cesare, affidandogli la prefettura orientale.
Gallo aveva fissato la sua sede in Antiochia (definita città dove lo splendore della illuminazione notturna eguagliava quello del giorno) e nel governo si era mostrato violento e insofferente. Pare che anche la moglie Costanza (detta Costantina, sorella dell'imperatore Costanzo), vedova del cugino Annibaliano, ch'era stato ucciso, non era da meno, tanto da essere stata definita <una furia sanguinaria>.
Costoro avevano delle spie che per interesse riferivano informazioni distorte ed erano molti coloro che, accusati ingiustamente, venivano uccisi o condannati alla confisca dei beni e costretti ad abbandonare le proprie case. I processi fondati su accuse false erano oramai giornalieri. Subirono il processo, per omonimia, il filosofo Epigono ed Eusebio (i due con lo stesso nome dovevano partecipare ad un' insurrezione). Messi sotto tortura, Epigono, vergognosamente (dice A. Marcellino), pur non sapendone nulla, ammise ciò che non sapeva, Eusebio, coraggiosamente, negò le imputazioni, chiedendo anche insistentemente il nome dell'accusatore e che il processo si svolgesse secondo le regole.
Gallo, per tutta risposta, ordinò di procedere alla scarnificazione (aggiunge Marcellino <come se si trattasse di un audace calunniatore>; evidentemente era prevista anche questa forma di tortura che appare unica nel suo genere!).
Gallo aveva ordinato tra l'altro l'uccisione dei capi del Senato per il sol fatto che questo si era rifiutato di abbassare i prezzi, come lui aveva richiesto, e godeva quando nel circo vedeva i lottatori ricoperti di sangue.
Tutto ciò era regolarmente riferito a Costanzo, com'era stato anche riferito che Gallo era insoddisfatto della carica ricoperta e pensava di impadronirsi del potere.
Costanzo chiamò Gallo e gli disse che doveva prendere una decisione su una situazione che si andava aggravando e aveva bisogno di rivedere la sorella. Costei, messasi in viaggio, morì di febbri prima di giungere dal fratello. Quando Gallo stava per arrivare dal fratello, vide presentarsi Barbazione, che era stato <comes> proprio della sua guardia e successivamente era passato al servizio di Costanzo. Barbazione, dopo avergli contestato le accuse, lo arrestò. Gallo fu quindi portato su un carro, con le mani legate dietro la schiena, a Pola, dove già era stato ucciso Crispo, e lì gli fu tagliata la testa (354). Gallo aveva ventinove anni e aveva regnato quattro anni.

 

GIULIANO DEDITO AGLI STUDI CLASSICI

 

Di tutta la famiglia rimaneva ora il fratello di Gallo, Giuliano, dedito agli studi delle arti liberali. Egli sottolineava la sua appartenenza al mondo degli studiosi, indossando il pallio, la sopraveste greca che indossavano coloro che erano dediti agli studi filosofici.
Giuliano aveva corso il rischio di fare la fine di tutti gli altri componenti della sua famiglia. Questa volta era stata la potente casta degli eunuchi di corte ad ordire trame contro di lui. Convocato alla presenza del cugino Costanzo egli si difese con franchezza. Dopo questo incontro l'imperatore lo aveva destinato ad un onorevole esilio in Atene, centro di cultura, dove Giuliano si trovava a suo agio.
Dopo la morte di Gallo, Costanzo si trova da solo a regnare sull'immenso impero sentendone tutto il peso. Tra l'altro in Occidente, ai confini delle Gallie vi erano le pressioni delle tribù germaniche. In Oriente vi erano le minacce del re di Persia, Sapore II che continuava a premere sui confini.
La moglie di Costanzo, Eusebia, donna di grande intelligenza, che apprezzava Giuliano, cercava di metterlo in buona luce agli occhi del marito, dicendogli che lo riteneva di natura mite e non ambiziosa, che la sua fedeltà e gratitudine si potevano assicurare con la concessione della porpora e che Giuliano sarebbe stato capace di occupare onorevolmente una posizione subordinata e certamente non avrebbe avuto la velleità di oscurare la gloria dell' imperatore.

 

GIULIANO ACCLAMATO CESARE

 

Vinte le resistenze degli onnipotenti eunuchi, fu deciso che Giuliano, dopo aver sposato Elena, sorella dell'imperatore, avrebbe avuto la carica di Cesare per le province Galliche. Quindi fu invitato a Milano dove Giuliano si presentò con la veste da filosofo e la barba lunga e incolta.
Fu sbarbato e vestito con le vesti imperiali e, sempre timoroso per la sua vita (Eusebia però cercava di rassicurarlo), fu presentato alle truppe per l'acclamazione. La cerimonia cadde il giorno del suo ventiquattresimo compleanno.
Giuliano era di media altezza, aveva spalle larghe, collo robusto e uno sguardo penetrante; i suoi occhi rivelavano l'acutezza della sua mente, ma anche una certa modestia, perché il suo precettore Mardonio, lo aveva educato a tenere lo sguardo rivolto a terra. Egli aveva fatto buona impressione sui soldati che, dopo il discorso di presentazione dell' imperatore, approvarono la sua scelta battendo gli scudi sui ginocchi (il battere sugli scudi con le aste era invece indice di disapprovazione, ira o dolore).
Dopo alcuni giorni prese in moglie Elena. Mentre si recava a Torino gli fu data la notizia, che gli era stata tenuta nascosta, che la città di Colonia era stata presa dai barbari e data alle fiamme.
Giuliano si rese conto dei mali che lo avrebbero perseguitato. Non a caso, quando era sul cocchio con l'imperatore il giorno della sua acclamazione, aveva mormorato i versi d'Omero (Iliade): <lo colse la morte e la Parca possente>. Ma nonostante i suoi timori, egli mostra di essere un ottimo condottiero. Dopo aver ripreso Colonia ai Franchi, aveva reso sicuri i confini dagli assalti delle tribù barbare assicurando la pace nelle Gallie.
Col risultato che l'Occidente era tranquillo, mentre in Oriente si stavano accumulando le nubi della guerra contro i persiani che premevano sui confini. Questo non poteva che suscitare l'invidia di Costanzo, il quale perfidamente richiese a Giuliano di mandargli le sue truppe (360), che dovevano presentarsi ai confini persiani (i confini gallici rimanevano così sguarniti e alla mercé delle tribù germaniche).
Le truppe fedeli a Giuliano lo avevano acclamato Augusto e avevano avuto la sua parola, che non sarebbero state obbligate ad attraversare le Alpi. Giuliano voleva mantenere la parola data e, nell'incertezza sulla decisione da prendere, aveva mandato a Costanzo suoi ambasciatori con una lettera di sottomissione alla sua superiorità. Egli faceva nello stesso tempo presente che intendeva mantenere il titolo d'Augusto, che gli era stato riconosciuto dall'esercito e dal popolo, e mantenere i territori che aveva avuto fino a quel momento. Costanzo si era infuriato con gli ambasciatori, che si erano ritenuti fortunati di aver salvato le loro vite.
La sua risposta fu che egli doveva rinunciare al potere imperiale e alla carica d'Augusto, se voleva aver salva la vita. Inoltre, mettendosi a disposizione dell'imperatore, non avrebbe subito nulla di più grave di una punizione che sarebbe stata pari a ciò che aveva osato.
Dopo queste assicurazioni, di cui certamente non c'era da fidarsi, Giuliano aveva intercettato delle lettere di Costanzo indirizzate ai barbari, che venivano aizzati ad invadere le province occidentali.

 

RAPIDITA' NELL'AZIONE

 

Egli quindi ritenne che la rapidità nel muoversi gli avrebbe dato solo dei vantaggi. Dopo aver dato precise istruzioni ai suoi comandanti, che da due strade diverse lo dovevano raggiungere a Sirmio-Sirmium (bassa Panonia, oggi Sremska Mitrovica), prese con sé tremila soldati e da Parigi si diresse verso la Selva Marciana (Foresta Nera), dove i suoi movimenti non sarebbero stati notati.
La sua meta era raggiungere il Danubio tra Ratisbona e Vienna per imbarcarsi. La forza dei rematori e il vento favorevole gli fecero coprire in undici giorni settecento miglia, giungendo a Bonomia in prossimità di Sirmio.
Quando si sparse la voce che era arrivato l'imperatore, tutti pensavano che fosse Costanzo. Giuliano prima di decidere il da fare, interpellò gli indovini e questi gli consigliarono di attendere e rimanere lì fino al verificarsi di una congiunzione astrale.
Proprio nel momento in cui questa si stava verificando, giunse una turba di cavalieri proveniente da Costantinopoli con la notizia che Costanzo era morto (361) e che le legioni lo esortavano ad assumere il comando supremo. Giuliano si diresse quindi a Bisanzio, dove fu accolto con entusiasmo.
Il suo destino stava per compiersi. Due anni dopo (363), mentre stava combattendo contro i Persiani (il re era sempre Sapore II, che aveva avuto un lungo regno 310-380), imprudentemente, per il caldo aveva tolto la corazza e buttatosi nella mischia, era stato colpito da una lancia al fegato. Giuliano tentò di estrarla, ma cadde esanime da cavallo. Quando fu portato sotto una tenda, chiese quale fosse il luogo dove era stato colpito. Gli risposero <Frigia>. Si rese conto che stava morendo. Gli era, infatti, stato predetto che sarebbe morto in un luogo che portava quel nome.

 

L'EDUCAZIONE DI GIULIANO


Giuliano era stato soprannominato l'Apostata o Parabates <trasgressore>, dal fanatismo del cristiano Gregorio Nazianzeno, il quale, in una <orazione> scritta subito dopo la morte dell'imperatore, aveva affermato che egli avesse rinnegato il cristianesimo per il paganesimo (1).
Di cristiano, invece, Giuliano non aveva avuto nulla o ben poco. Da ragazzo, infatti, la sua educazione religiosa era stata seguita da Eusebio, vescovo di Nicomedia, il quale si era limitato a fargli seguire le funzioni religiose (come si è sempre fatto con i chierichetti) e, nella qualità di catecumeno (cioè di chi era preparato, senza rendersene conto, per ricevere il battesimo), gli faceva leggere in chiesa pagine delle sacre scritture.
L'istruzione di Giuliano, invece, era seguita da un precettore, l'eunuco Mardonio che gli aveva insegnato i classici come Omero, Pindaro, Bacchilide. Era stata questa la cultura di base dell'educazione di Giuliano, il quale poi era andato ad approfondire gli studi filosofici ad Atene, centro del paganesimo. Nell'opera <Misopogon> Giuliano mostra tutta la sua gratitudine agli insegnamenti di Mardonio e non d'Eusebio.
Giuliano, che partecipava anche alle funzioni religiose cristiane per apertura mentale e tolleranza, era fondamentalmente ed esclusivamente un pagano e vediamo, durante tutta la sua vita, che le sue invocazioni e offerte erano rivolte solo agli dei. Egli quindi non era da considerarsi un cristiano che aveva rinnegato quella religione. L'averlo bollato con l'epiteto di <apostata-trasgressore> era stata una grave ingiustizia verso un uomo, che aveva avuto il torto, seguendo un'altra religione, di aver tollerato l'avanzare del cristianesimo, che egli, per la sua apertura mentale e appunto tolleranza, considerava allo stesso livello delle altre religioni.
Nel momento in cui i cristiani tendevano a sopraffare le altre religioni, Giuliano emanò i tre editti, che furono considerati - ahilui! - come l'inizio delle persecuzioni (sotto di lui non v'erano state e non vi era stato alcuno spargimento di sangue).
Dopo la sua morte, su di lui si sfogò tutta l'acredine dei cristiani, che lo accusarono di essere stato un tiranno crudele e astuto; ogni calunnia, che potesse macchiare la fama dell'imperatore, era stata ciecamente creduta come veritiera, dall'odio sprigionato dal fanatismo. Non mancarono neanche le accuse dei segreti sacrifici da lui fatti con corpi di bambini gettati poi nell' Oronte!
Gli editti non erano per nulla persecutori, perché, intanto, con il primo Giuliano aveva mostrato tutta la sua tolleranza, disponendo il rientro dei vescovi, che Costanzo (che abbiamo visto essere ariano) aveva mandato in esilio.
Il secondo, sui Maestri (De professoribus), riguardava l'insegnamento nelle scuole e il terzo editto riguardava i funerali.
Nell'editto sui Maestri si stabiliva il logico principio secondo il quale gli insegnanti di fede cristiana dovessero insegnare solo nelle scuole cristiane e non nelle altre, dove si studiavano i classici (Omero, Esiodo, Eschilo e Pindaro) <che non potevano essere letti e commentati, se non con l'ipocrisia che rende indegni di esercitare l'insegnamento, solo da coloro che credono negli dei>.
Su questo argomento il suo Maestro, amico e collaboratore Salustio (o Sallustio, da non confondere col Sallustio di scolastica memoria, autore della Congiura di Catilina) aveva scritto un libro <Sugli dei e sul mondo> in cui, ritornando sull'argomento, spiegava che chi professava la religione cristiana, poiché non riconosceva validità alla cultura classica, non poteva insegnare nelle scuole materie che costituivano la negazione di quella cultura condannata e rifiutata.
Giuliano aveva avuto il senso della giustizia, ma n'era stato mal ripagato. Bisogna anche ricordare che egli era stato un riformatore della pubblica amministrazione e si sa (l'argomento è ancora d'attualità!) che quando si toccano privilegi consolidati certamente non si ottengono riconoscimenti positivi.

1) Gregorio di Nazianzo, dopo la morte di Giuliano, si impossessò della cattedrale di Costantinopoli come patriarca utilizzando i soldati e, cacciato tutto il clero ariano, si appropriò dei loro beni. Fu santificato con altri due suoi contemporanei, tra cui san Martino arcivescovo di Tours che, facendo anch'egli uso di gente armata, distrusse idoli e santuari, passando per le armi chi si opponeva.
In ben altro modo (pur sempre intollerante) si comportò s. Ambrogio a Milano (386), il quale fece ricorso alla resistenza passiva. Egli era contrario alla violenza e pur di non versare sangue, aveva scritto, avrebbe offerto la sua gola. Riteneva che le armi di un cristiano fossero la misericordia, il digiuno e la preghiera. Fece appunto ricorso alla preghiera, utilizzandola come arma di resistenza passiva!
Il corpo di guardia imperiale era formato da soldati goti e quindi ariani; l'imperatrice Giustina (governatrice dell'Italia e dell'Africa) che risiedeva a Milano, aveva chiesto l'uso di una chiesa (per gli ariani). Non volendo concedere ciò, Ambrogio fece occupare tutte le chiese dai fedeli cristiani, in modo che gli ariani trovandole occupate non potessero entrare. Per tenere impegnati i fedeli, ordinò loro di salmodiare vicendevolmente (egli stesso aveva preparato per l'occasione uno degl' inni). Questi salmi erano formati da otto strofe di quattro versi ciascuna, che permettevano l'alternatività (alternatim) nel cantarli. Da qui il canto ambrosiano, che si oppone al gregoriano (definito cantilena romana), introdotto con la riforma da Gregorio Magno.

 

CONDANNA DELLO SFARZO E RIFORME

 

Appena arrivato a Corte, avendo chiesto un barbiere, lui che tendeva a portare una <irsuta e popolosa barba> e trascurava anche la pulizia personale (tanto da avere unghie lunghe e le mani dal colore dell'inchiostro!), si era visto presentare più che un barbiere, un funzionario magnificamente vestito. Giuliano gli chiese quale fosse la sua remunerazione e si sentì rispondere che oltre ad un alto stipendio e a mance, aveva a disposizione venti servi e altrettanti cavalli. E non era l'unico! A Corte ve n'erano a migliaia tra barbieri, coppieri e cuochi a servire il sovrano, il quale si distingueva da loro solo per la magnificenza degli abiti, della tavola, del seguito e degli edifici.
I palazzi eretti a Bisanzio da Costantino e dai suoi figli erano tutti ricoperti di marmi policromi, d'argento, d'oro massiccio e d'avorio (v. in Schegge: Bisanzio la città d'oro). Gli imperatori si procuravano le più raffinate rarità non per soddisfare il gusto ma la vanità, con uccelli e pesci esotici venuti dalle più lontane regioni; frutta fuori stagione, rose d'inverno e neve d'estate.
Le spese per la turba dei domestici di palazzo superava quella delle legioni e solo una minima parte di quella turba serviva all'uso e allo splendore della Corte.
Tutto ciò costituiva un'infamia per l'imperatore ed era il popolo ad esserne danneggiato. Una mastodontica amministrazione dava luogo a sperperi inusitati. Gli stipendi, le mance, i donativi erano altissimi ed erano estorti a coloro che temevano ritorsioni, facendo la fortuna di questi domestici,, che si arricchivano da un giorno all'altro. Le loro vesti erano di seta ricamate d'oro. Le mense imbandite con ricchezza e raffinatezza, le loro case immense. Un cittadino comune, quando incontrava un eunuco, doveva scendere da cavallo per salutarlo.
Tutto questo sfarzo e spreco non potevano non colpire Giuliano, educato alla semplicità nel mangiare e nel vestire e abituato a dormire su un tappeto messo per terra, e non potevano non suscitare la sua indignazione. Egli non poteva non rifiutare lo splendido ed effeminato modo di vestire preso dagli asiatici e fatto di riccioli, belletti, collane e anelli.
Giuliano usò immediatamente la scure. Con un editto, tutta la massa di schiavi fu licenziata su due piedi senza discriminazioni per l'età, i servizi resi o la fedeltà.
L'imperatore filosofo non si limitò solo a licenziare, ma ritenne di dover punire con un giusto e imparziale processo chi ne aveva approfittato. Per non essere accusato d'azione persecutoria nei confronti di nemici personali, istituì un tribunale straordinario, con sei giudici d'alto grado presi dall'amministrazione e dall'esercito, con il potere dell'immediata esecuzione delle sentenze.
Questo tribunale, in effetti, non usò il pugno di ferro e non giunse a punizioni esemplari. Finì che i <malvagi> ottennero la gratificazione della pubblica opinione, ritenendo che costoro <avevano sofferto per la loro ostinata fedeltà>. Gli altri furono amnistiati e si lasciò che godessero impunemente i loro guadagni. Anche il numeroso esercito di spie, delatori e agenti, di cui si era circondato Costanzo, fu licenziato.
Giuliano aveva regnato come imperatore Augusto per sedici mesi, ma
per le sue realizzazioni e il suo super attivismo, era come se avesse regnato per sedici anni. Infatti, in uno stesso giorno dava udienza a più ambasciatori, scriveva o dettava un gran numero di lettere a generali, magistrati, amici personali e agli amministratori delle varie città del suo impero. Nel momento in cui gli venivano letti i rapporti, con rapidità di decisione dettava velocemente le sue risposte, tanto da mettere gli stenografi che le scrivevano, in difficoltà.
Il suo pensiero, allenato sugli studi platonici, poteva essere concentrato contemporaneamente su tre attività diverse, quella di scrivere, ascoltare e dettare contemporaneamente. Quando i suoi ministri nel pomeriggio si concedevano il riposo pomeridiano, Giuliano si ritirava nella biblioteca e vi rimaneva fino a quando, prima di sera, non doveva riprendere le attività di governo.
Delle sue leggi ben cinquantaquattro furono recepite nel Codice teodosiano e successivamente in quello di Giustiniano.

 

 

GIOVIANO, VALENTINIANO I E VALENTE

Appena morto Giuliano, i comandanti dell'esercito ritennero dare la corona imperiale a Gioviano, il cui regno durò appena otto mesi. Gioviano dopo aver firmato la pace con Sapore II fu colto da morte improvvisa (364), nel momento in cui lasciata Antiochia stava rientrando a Costantinopoli.
Gioviano era cristiano e si era precipitato a disconoscere tutto l'operato di Giuliano. Aveva avuto appena il tempo di sostituire tutti gli ufficiali dell'esercito, che, pur valorosi, avevano il demerito d'essere pagani. Si era in ogni modo mostrato tollerante verso chi avesse inteso continuare a coltivare e sacrificare secondo l'antico culto. Ciò che era vietato e severamente punito erano invece i riti di magia.
Il suo regno era durato dal giugno a 363 a febbraio 364. Dopo una cena abbondante al mattino fu trovato morto. La morte fu attribuita ai funghi o all'aria malsana sprigionata dall'intonaco fresco…si trattò certamente d'infarto, che a quell'epoca non si conosceva.
I comandanti dell'esercito volevano dare la corona a Sallustio, prefetto del pretorio e amico di Giuliano. Presso quest' imperatore, del quale era stato amico, era caduto in disgrazia), ma egli rifiutò ritenendosi troppo vecchio, e rifiutò anche per il figlio, che disse, era troppo giovane per assumere quella carica.
La scelta cadde quindi su Valentiniano che aveva partecipato a molte guerre e conosceva solo l'arte militare e la lingua latina. Valentiniano ricevette la nomina a Nicea.
Si stava dirigendo a Costantinopoli quando, durante la marcia, già per sua natura irascibile, fu colto da follia. Gli amici gli consigliarono di prendere con sé un collega, perché non gliel'avrebbe fatta a reggere tutto l'impero. Scelse il fratello Valente, che fu incoronato nello stesso anno (364), al quale affidò tutto l'Oriente, oltre all' Illirico e al Basso Danubio, tenendo per sé l'Occidente.
Mentre Valentiniano era stato indifferente con la religione, Valente, essendo ariano, fu accusato ingiustamente dagli ortodossi di averli perseguiti.
Valentiniano nei dodici anni di regno meno cento giorni (364-375), riportò delle splendide vittorie nei confronti degli Alemanni, Borgognoni e in Bretagna nei confronti delle tribù di Scoti-scozzesi, che erano ritenuti così selvaggi da esserlo ancora quando nel 1745 invasero l'Inghilterra.

 

GRAZIANO, VALENTINIANO II E TEODOSIO I

 

Valentiniano aveva avuto dalla moglie Severa un figlio, Graziano, che all'età di nove anni era stato associato dal padre con la carica di Augusto, confermata dall'esercito. Da un'altra moglie, Giustina, l'imperatore aveva avuto un altro figlio cui era stato imposto lo stesso nome di Valentiniano (II).
Quando Valentiniano (I) morì, il suo primo figlio aveva raggiunto l'età di diciassette anni e il secondo, Valentiniano (II) quattro anni. Quest'ultimo, presentato dalla madre alle legioni fu anch'egli acclamato. Graziano accettò la nomina, dichiarando che avrebbe considerato Valentiniano come fratello. Così l'impero era retto da Valente, che aveva l'Oriente, e dai due nipoti, ai quali erano stati assegnati: a Graziano Gallia, Spagna e la Britannia, a Valentiniano l'Italia, l'Illiria e l'Africa.
Nel frattempo Valente muore nella battaglia d'Adrianopoli (378) contro i Goti, che, per i romani, ebbe conseguenze disastrose, pari a quelle della battaglia di Canne, con Annibale.
Graziano, che ritiene di non farcela da solo a resistere in questo periodo turbolento alle pressioni dei barbari, si associa nella carica d'Augusto, Teodosio, figlio di un generale spagnolo con lo stesso nome, che si era coperto di gloria con il cognato Valentiniano II .
Teodosio (I) quando fu insignito della porpora aveva trentatre anni e aveva già fatto esperienze militari. Egli per prima cosa riorganizzò le truppe, rinforzando fortificazioni e guarnigioni, per far fronte agli attacchi dei barbari (Unni, Alani, Goti comandati da Atanarico, Ostrogoti e Visigoti) che poi affrontò con molta cautela e prudenza.
Con Graziano concluse accordi federativi, in base ai quali gli Osatrogoti s'insediarono in Pannonia, i Visigoti nella parte settentrionale della Tracia. Molti barbari entrarono a far parte, sempre come federati, dell'esercito.
Graziano è assassinato (383) a seguito di un complotto ordito da un compatriota di Teodosio, di nome Massimo, che in Britannia era stato acclamato imperatore.

 

ARCADIO E ONORIO, VALENTINIANO III
E TEODOSIO II

 

Teodosio I, detto il Grande (aveva costruito in Costantinopoli diversi archi di trionfo tra cui la Porta d'Oro, che aprendo la strada trionfale partiva dalle mura arrivando al palazzo imperiale - v. Bisanzio la città d'oro), dopo la morte di Graziano aveva regnato da solo.
Egli era riuscito ad unificare l'impero, ma alla sua morte (395) lo divise tra i due figli Arcadio e Onorio. Al primo toccò l'impero d'Oriente, al secondo quello d'Occidente, di cui era reggente il generale Flavio Stilicone.
Ambedue i fratelli, minori, erano stati affidati a Stilicone (imparentato con la famiglia imperiale, avendo sposato Serena, figlia adottiva di Teodosio), il quale lasciava che i due giovani principi si disinteressassero degli affari di Stato.
Onorio era un tipo debole, apatico e freddo. Era stato fatto sposare all'età di quattordici anni, ma lasciò che la moglie Maria (figlia di Stilicone) morisse vergine dopo dieci anni di matrimonio. Il suo unico interesse erano i polli.
Lo scrittore Gibbon, che ha accennato alla passione dell'imperatore per questo tipo d'allevamento, si è rifiutato categoricamente di riferire l'aneddoto citato da Procopio, al quale non aveva ritenuto prestar fede.
Onorio era a Ravenna, dove si era rifugiato, dopo essere scappato da Roma, a seguito della invasione dei Visigoti capeggiati da Alarico. Gli si presentò l'eunuco, guardiano del pollaio, riferendogli che Roma era perita! <Ma come>, rispose Onorio <se ha appena finito di mangiare dalle mie mani!>. Roma era anche il nome di un gallo gigante e l'eunuco, capito l'equivoco, spiegò ad Onorio che si trattava della città, non del gallo!
Onorio morirà nel 423, lasciando la sua parte dell'impero d'Occidente a Valentiniano III, ma sarà retto dalla madre Galla Placidia (che aveva sposato in prime nozze Ataulfo re dei Visigoti e in seconde nozze Onorio da cui aveva avuto due figli, Onoria e Valentiniano), fino alla sua morte (425-450). Valentiniano III lo reggerà invece fino al 455, l'anno in cui fu assassinato per vendetta per l'uccisione del famoso generale Ezio (1).
Arcadio era un uomo pio, non lo era la moglie Eudossia, in ogni caso bella e avvenente, sposata a seguito degli intrighi d'Eutropio, eunuco e gran ciambellano di corte. Ad Arcadio era stato preparato un matrimonio con la figlia del ministro Rufino, prefetto per l'Oriente, ma era stato convinto da Eutropio che vi era una fanciulla, di nome Eudossia, ancora più bella, che meritava di essere sposata.
Convinto l'imperatore, il giorno fissato per le nozze, il corteo che portava vesti, diadema e ornamenti per la sposa (che doveva essere la figlia di Rufino), cambiò percorso recandosi invece a prendere Eudossia per portarla a palazzo. In seguito la bella Eudossia rimase incinta di un maschio (avuto probabilmente da un conte di palazzo, Giovanni, con cui era in intimità), che fu accettato da Arcadio, come dono della provvidenza e come un fausto evento per sé, per la famiglia e per il mondo orientale. Arcadio morirà nello stesso anno in cui nacque Teodosio (408), all'età di trentun anni, per sua fortuna … di morte naturale.
Teodosio, con lo stesso nome del nonno (era quindi il secondo con quel nome), fu subito insignito dei titoli imperiali.
Durante la minore età di Teodosio, Pulcheria che per sua scelta volle rimanere nubile (ma questo non la risparmiò dal sospetto di avere avuto rapporti incestuosi col fratello Teodosio, e con un giovane avvenente di nome Paolino), fece adottare lo stesso nubilato alle altre due sorelle Arcadia e Marina. Non solo, ma le tre sorelle consacrarono, alla presenza del clero e del popolo, la loro verginità a Dio, e questo voto fu iscritto in una tavoletta d'oro e di gemme che esse offrirono alla Chiesa di s. Sofia. La voce corrente in Occidente era che la Corte bizantina era stata trasformata in convento. Lo conferma un fatto singolare.
La sorella di Valentiniano III, Onoria, di sedici anni, era educata nel palazzo di Ravenna. Onoria era stata scoperta <in intrighi amorosi> con il maggiordomo di palazzo, di nome Eugenio.
Per punizione fu inviata a Costantinopoli dove, dice il cronista <la Corte, per influsso di Pulcheria, si era trasformata in un convento>. Onoria pur giovanissima, ma matura per i piaceri del sesso, non accettando questa clausura, aveva mandato ad Attila (v. in Schegge, Attila e gli Unni), a mezzo di un eunuco, il suo anello, con la richiesta di liberarla e prenderla come moglie. Di questa richiesta Attila se ne servì per minacciare continuamente Valentiniano III, che gli era tributario. <Era un'infamia>, commenta il cronista <barattare la libertà delle proprie libidini contro la sciagura pubblica>.


1) Dopo Valentiniano III gli ultimi imperatori che quasi sconosciuti si avvicendarono prima della caduta dell'impero romano (455-476), furono, Massimo, Avito, Maioriano, Severo, Antemio, Olibrio, Glicerio, Giulio Nepote, e Romolo Augustolo. Seguì Odoacre come primo re d'Italia (476-490)

 

PULCHERIA E LE SORELLE

 

Le tre sorelle presero con sé un certo numero di damigelle e, ad eccezione dei direttori spirituali, esclusero tutti gli uomini da quella insolita comunità, che seguiva un regime di rinunzia alla ricercatezza delle vesti, accompagnata da frequenti digiuni, diete frugali, continue preghiere e canti religiosi. Con una vita del genere non potevano mancare le visioni estatiche da cui era stata presa Pulcheria.
Tutte queste attività religiose non tolsero a Pulcheria la capacità di regnare con vigore. Presso Pulcheria si trovava una fanciulla proveniente da Atene, il suo nome era Athenais, figlia di un retore greco, che Pulcheria, sempre attenta a dominare le situazioni, spinse tra le braccia del fratello il quale se ne innamorò, sposandola (lui aveva vent'anni, lei ventotto).
Pulcheria aveva fatto anche convertire al cristianesimo Athenais che, nel momento della conversione, aveva preso il nome d' Eudocia. Eudocia, come detto non solo proveniva dalla dotta Atene, ma era figlia di un rétore, possedeva un patrimonio culturale che la portò a rendersi promotrice della fondazione dell'università (325), le cui cattedre furono assegnate a letterati greci e latini per la formazione di giuristi, filosofi e medici.
Grazie a costoro il sistema scolastico d'insegnamento bizantino fu considerato il migliore e fu assorbito nelle corti germaniche.
Teodosio II morì all'età di cinquant'anni (450) cadendo da cavallo e rompendosi la schiena. Il suo regno, durato quarantadue anni, era stato uno dei più lunghi e pacifici, a parte il pericolo rappresentato da Attila, che Teodosio, e Marciano che lo seguirà sul trono, erano riusciti a scongiurare. Con la differenza che il trattato firmato da Teodosio II (446), era stato piuttosto umiliante. Di diverso tenore era stato quello di Marciano che, se pur vecchio, aveva mandato a dire con durezza ad Attila attraverso i suoi legati, <oro e regali se se ne sta tranquillo, uomini e armi se protesta>.
Sotto Teodosio II (il merito può andare alla moglie Athanais-Eudocia) fu varato il Codice teodosiano (promulgato anche per l'Occidente a nome di Valentiniano III) da considerare una delle più importanti opere legislative che avevano preceduto quelle di Giustiniano.
Dopo la morte di Teodosio, Pulcheria era stata nominata imperatrice. Non appena fu incoronata, fece giustiziare davanti alla porta della città l'eunuco Crisafio, il quale aveva suscitato il sentimento ostile della popolazione per la sua rapacità, che gli aveva consentito di accumulare enormi ricchezze.
Pulcheria si rese conto che per il regno, anche se formalmente, occorreva la presenza di un uomo, a condizione che questo rispettasse il suo voto verginale e la superiorità del suo rango. Sposò quindi nominalmente il senatore Marciano, che, incoronato imperatore, regnò per sette anni, fino al 457.

 

LEONE I, ZENONE E ANASTASIO

 

Alla morte di Marciano fu incoronato imperatore un tribuno, Leone di Tracia, maggiordomo del generale Aspar, col nome di Leone I, detto il Grande (457-474).
Aspar, per la sua potenza e ricchezza, avrebbe potuto egli stesso proporsi come imperatore ma aveva ritenuto indicare Leone, nella convinzione di poterlo manovrare. Aspar non era però riuscito nel suo intento. Non solo, ma Leone fece trucidare lui con tutta la sua famiglia.
Intanto, l'Occidente era tiranneggiato dai Vandali di Genserico e Leone ritenne dare il suo appoggio alla nomina di Antemio (figlio di Procopio che aveva sposato Eufemia, figlia di Marciano), riconoscendolo come imperatore d'Occidente (per gli ultimi imperatori d'Occidente v. sopra nota 1).
Costui non aveva figli maschi, ma una femmina Ariadne (Arianna) che aveva sposato Zenone (cui aveva dato un figlio, Leone II, il quale succedette al nonno (474)) .
Poiché Leone II era ancora fanciullo, il padre Zenone (aveva così cambiato il suo nome, Trascalisseo) governò per conto del figlio,che morì nell'autunno dello stesso anno (474). Zenone rimase quindi solo e unico imperatore (474-491).
Nel 476 una congiura della vedova di Leone I, Verina, tolse il potere a Zenone. Questo andò a rifugiarsi sulle montagne d'Isauria, sostituito dal fratello di Verina, generale Basilisco. Costui ebbe però un periodo di regno breve ed oltremodo burrascoso (tra l'altro Basilisco fece ammazzare l'amante della sorella). Dopo venti mesi Zenone riuscì a riprendere il trono (476) e mantenerlo ancora per quindici anni. Alla sua morte la moglie Ariadne sposava Anastasio, concedendogli la corona imperiale (491). Anastasio regnò fino al 518 rimettendo in sesto le finanze dell'impero, che lascerà in eredità a Giustino I, prima dell'avvento di Giustiniano.

 

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