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I MILLE ANNI |
Nel corso di
1074 anni di c.d. Impero romano d'Oriente (la denominazione era
stata data solo in Occidente in quanto l'Impero bizantino si considerava
romano, come romani o romei erano considerati i suoi cittadini),
a Bisanzio si alternarono un centinaio di imperatori (da Costantino
I il Grande a Costantino XI Paleologo, v.in Cronologia: Gli Imperatori ecc.).
L'avvicendamento non fu di vere e proprie dinastie, ma, ad eccezione di alcuni
casi, era stato di semplici gruppi familiari, che facevano capo a chi riusciva
ad appropriarsi del potere e insediarsi sul trono imperiale. Con la conseguenza
che in molti casi l'avvicendamento era solo di qualche generazione, con una
durata tra i venti e i cinquant'anni.
Erano stati pochi i casi in cui, in seno ad una stessa famiglia si era raggiunto
il secolo, pochissime quelle che lo avevano superato.
Questi gruppi sono stati individuati alcuni, come dinastie col nome del primo
che l' aveva originata, altri in base alla provenienza geografica.
La successione di tutti quegli imperatori non sempre avvenne pacificamente,
nel senso del normale avvicendamento in seno alla stessa dinastia,
o nel passaggio non cruento dall'una all'altra dinastia.
Il termine dinastie, come abbiamo detto, non è molto appropriato,
perché, in molti casi, si era di fronte ad imperatori (e alla loro
famiglia), che mantenevano il potere solo per qualche generazione, in un periodo
che di media andava dai venti ai cinquant'anni. Poche avevano
raggiunto il secolo, pochissime lo avevano superato.
Spesso accadeva che un gruppo familiare subentrava a un altro
con un colpo di stato e in maniera cruenta. Molte successioni
ebbero luogo per intrighi orditi nell'ambito della stessa famiglia,
da parte di figli nei confronti dei padri, di zii nei confronti
di nipoti, di mogli nei confronti di mariti o addirittura delle
madri nei confronti dei propri figli. Molte successioni avvennero
in seguito a rivolte e lotte civili.
Col risultato che finirono sul trono imperiale appartenenti a
qualunque estrazione sociale, che riuscivano a impadronirsene,
o in qualsiasi modo, ad appropriarsene. Furono così incoronati
imperatori avventurieri, analfabeti, generali ambiziosi, bellimbusti
ignoranti che dotati dalla natura di un bel fisico avevano suscitato
i desideri erotici dell'imperatrice del momento.
Avevano ugualmente raggiunto il trono, riuscendo a esercitare
attivamente il potere, donne alle quali ciò non sarebbe
stato consentito in base al divieto opposto dalle stesse leggi,
che prevedevano che il nome di imperatrice poteva essere dato
solo alla madre e alla moglie dell'imperatore. Era riuscita ad
ottenere la corona imperiale anche chi proveniva dal marciapiede
ed era dedita alla prostituzione, ma diventerà l'imperatrice
più famosa di tutti i tempi. Il suo nome rimarrą scolpito nella storia:
era Teodora.
Faremo una piacevole (si spera!) carrellata di tutti questi personaggi,
soffermandoci in particolare sui più famosi e sui passaggi
avvenuti dall'uno all'altro, con gli intrighi, i complotti e i
colpi di stato, come indicato nel titolo. Il racconto, in alcune
parti sarà piuttosto truculento. Abbiamo cercato comunque,
per quanto possibile, di sdrammatizzare, accentuando invece, per
una piccola propensione per il <gotico>, le tinte fosche.
Roma per seicento
anni dall'inizio della sua storia (anno 753 riconosciuto come
quello della sua Fondazione) aveva combattuto i popoli vicini,
e quel poco che era riuscita a conquistare, lo aveva perso con
Annibale in seguito alla sconfitta subita nella battaglia di Canne.
Nei soli cinquant'anni successivi riuscì a risollevarsi
conquistando tutta l'area del Mediterraneo, che era così
diventato un lago romano.
L'impero si era ingrandito enormemente, tutto accentrato nella
sola persona dell'imperatore che non riusciva più a governarlo.
L'idea di una divisione, di carattere amministrativo-militare,
era partita da Diocleziano (284-305) il quale per ragioni d'ordine
geografico, culturale e religioso, aveva pensato di dividere il
potere, affidandolo ad una tetrarchia formata da due Augusti (Augusto
era il titolo maggiore) e due Cesari (vice-imperatori) da loro
designati. La divisione tra Occidente e Oriente non era quella
canonica. Per l'Oriente era usato al più il termine di
provincia orientale. La divisione quindi era in prefetture, e,
ogni prefettura era a sua volta suddivisa in diocesi e province
(divisione che sarà assunta e mantenuta dalla Chiesa)
Vi era anche un altro e più profondo motivo che avrebbe
determinato la separazione. La lingua. Da una parte vi erano i
popoli dell'ovest-Occidente che erano unificati dalla <lingua
latina>. Questa si era sovrapposta alla lingua parlata da ciascuna
popolazione. Dall'altra, la <lingua greca> alla quale si
erano adeguate le popolazioni di quella parte dell'impero.
Ambedue le lingue avevano portato lo splendore nelle rispettive
letterature, ma tra loro esse erano assolutamente incomunicabili.
Diocleziano aveva quindi proceduto ad una divisione in tre prefetture
(che Costantino porterà a quattro), con dodici diocesi
(portate poi a quattordici). Costantino apportò un'ulteriore
riforma nel senso che egli divise le diocesi in province, in modo
che le prefetture furono divise in diocesi e queste in province.
Le quattro prefetture (alle quali ci limitiamo) erano:
Prefettura della Gallia, con tre vicari, comprendente Gallia,
Spagna e Bretagna.
Prefettura Illirica comprendeva il triangolo del Danubio e mar
Adriatico (odierna Austria, Grecia e Turchia).
Prefettura italiana, comprendente l'Italia e tutta l'Africa del
nord, con residenza del prefetto a Roma e Milano, mentre il capoluogo
era Cartagine che gareggiava con Roma per popolazione e magnificenza.
Prefettura d'Oriente che confinava col mar Nero, comprendeva tutta
l'Asia minore con Armenia, Egitto, Siria Arabia e Mesopotamia.
Il prefetto risiedeva in Antiochia che eccelleva anche per la
sua bellezza. V'erano altre città che la pareggiavano,
particolarmente Alessandria d'Egitto.
Quando Diocleziano
aveva costituito la tretrarchia, nella carica di Augusto aveva
associato Massimiano Erculio, mentre a ricoprire la carica di
Cesare aveva chiamato Costanzo Cloro (era il soprannome derivante
dal colore della pelle verdognola), al quale erano affidate le
Gallie. A Galerio Massimiano (che ne aveva sposato la figlia)
era stato affidato l'Illirico.
Diocleziano aveva deciso di abdicare (305) chiedendo le dimissioni
anche a Massimiano Erculio, il quale aveva accettato di malavoglia.
I loro posti furono presi dai due Cesari, cioè, Costanzo
Cloro e Galerio Massimiano. Diocleziano poi lasciò a Galerio
l'incarico di nominare i due Cesari, perciò egli nominò
Cesari, Flavio Severo per l'italico e il nipote Valerio Massimino
(figlio della sorella) per l'Illirico.
Costanzo Cloro si era nel frattempo ammalato e quando morì
(306), i suoi legionari che erano a lui molto legati, elevarono
sugli scudi Costantino e lo acclamarono imperatore (York 25 Luglio
306).
Galerio che mirava ad impadronirsi del potere, non poté
fare altro che confermare il riconoscimento delle legioni, lasciando
a Costantino l'amministrazione della prefettura della Gallia (con
Spagna e Bretagna), ma come Cesare, non come Augusto. Cedendo
invece il posto vacante d'Augusto a Flavio Severo e assegnando
il posto di Cesare, rimasto vacante, a Valerio Liciniano Licinio
Costantino aveva tutte le qualità di un capo, prestanza
fisica, bell'aspetto, forza, e si era ben distinto tra i legionari.
Egli aveva anche ambizione e certamente per calcolo politico,
pur essendo pagano, lasciò che i cristiani professassero
liberamente la loro religione.
Subito dopo l'elezione, Costantino aveva dovuto affrontare un
periodo burrascoso e di confusione per l'impero che si era trovato
con sei imperatori.
Dalle nomine dei due Augusti e due Cesari era stato escluso il
figlio dell'imperatore Massimiano Erculeo, Massenzio, che peraltro
aveva sposato la moglie di Galerio. Massenzio trova il terreno
favorevole per una congiura, che mirò a eliminare i tribuni
dei pretoriani e un commissario dell'annona, fedeli a Flavio Severo.
Peraltro i quattro tetrarchi risiedevano tutti fuori Roma, ma
a Roma richiedevano le contribuzioni che a loro erano dovute.
Il senato e il popolo romano di questa situazione ne erano infastiditi,
perciò, con facilità, Massenzio fu proclamato (307)
Augusto. Massenzio pensò subito di richiamare il padre
Massimiano Erculio, per riprendere la porpora, proteggerlo con
la sua autorità e fargli da consigliere.
Contro Massenzio, Galerio inviava Flavio Severo, ma fu questo
ad avere la peggio e ad andare a rifugiarsi a Ravenna. Massimiano
intervenendo in aiuto del figlio andò a mettere Ravenna
sotto assedio. Rendendosi conto che l'assedio non avrebbe dato
alcun esito, ricorse all'inganno.
Convinse cioè Severo a recarsi a Roma. A questo punto le
versioni divergono. C'è chi afferma che Severo andò
a Roma con Massimiano e qui si dette la morte svenandosi e chi
invece, che, recandosi a Roma, durante il tragitto, Massenzio
gli tese un'imboscata e lo strangolò mettendogli un cappio
intorno al collo.
Massimiano pensò quindi di raggiungere in Gallia Costantino
e riconoscerlo come Augusto, portando con sé la figlia
Fausta da offrire come pegno, ma Costantino la prese in moglie
ad Arles.
Galerio invece, raccolto un esercito dall'Illirico si diresse
verso Roma perché voleva punire Massenzio, ma giunto in
prossimità di Roma, presso Narni, e rendendosi conto che
l'impresa non gli sarebbe riuscita, decise di battere la ritirata.
Le sue truppe sulla strada del ritorno si dettero ai saccheggi.
Rientrato nell'Illirico assegnò a Licinio la carica di
Flavio Severo rimasta vuota, col risultato che l'Occidente era
rimasto nelle mani di Costantino, Massenzio e Massimiano e l'Oriente
in quelle di Massimino, Licinio e Galerio.
Il vecchio Massimiano che si trovava nell' Illirico fu invitato
da Galerio ad allontanarsi dai suoi territori e Massimiano si
recò in Gallia, rassicurando Costantino che rinunciava
alla porpora. Ma, quando Costantino dovette partire per il Reno,
a seguito di un' incursione di Franchi, in sua assenza Massimiano
mise in giro la voce che Costantino era morto, insediandosi come
imperatore
e impossessandosi del tesoro che distribuì tra i soldati
per averli dalla sua parte. Costantino, essendo stato avvertito,
ritornò ad Arles con tale velocità che colse di
sorpresa Massimiano, il quale fece appena in tempo ad andare a
rifugiarsi a Marsiglia. Costantino lo inseguì e stava per
mettere la città sotto assedio quando gli giunse notizia
che Massimiano si era strangolato (!) con le sue mani (310), mentre
Galerio moriva un anno dopo (311) di malattia a Nicomedia.
Con la morte di Massimiano e Galerio gli imperatori si ridussero
a quattro.
Massenzio che aveva avuto la prefettura italica (Italia e Africa)
l'aveva depredata, compiendovi ogni sorta di scelleratezze. Massimino
che regnava in Oriente, non era stato da meno di Massenzio nel
depredare quei territori. Infine vi era Licinio che governava
l'Illirico al quale Costantino aveva promesso e dato in sposa
la sorella e via libera per l'Oriente, mentre lui prendeva per
sé la prefettura italica, raggiungendo l'Italia dov'erano
le truppe di Massenzio.
Massimino era sconfitto da Licinio e moriva non si sa bene se
di veleno o di altro, a Tarso (313). I parenti di Massimino non
furono risparmiati, e Licinio non solo fece uccidere i suoi due
figli, un maschio di otto anni e una femmina di sette, ma fece
uccidere anche i figli di Galerio e Severo.
Dopo aver conquistato Torino e Verona, Costantino giunse a Roma
dove non si fece troppi scrupoli per il cognato (sua moglie Fausta
abbiamo visto, era figlia di Massimiano e sorella di Massenzio)
e gli fece tagliare la testa che fu mostrata al popolo.
Rimasero quindi in due Costantino in Occidente e Licinio in Oriente.
Dei due, visto com'erano andate le cose, solo uno doveva rimanere
per comandare. L'iniziativa fu presa da Costantino che aveva subodorato
che il perfido Licinio stava preparando un complotto. Lo raggiunse
in Illiria (315) e lo sconfisse firmando un trattato in base al
quale i suoi due figli Crispo e Costantino furono nominati Cesari
per l'Occidente, il figlio di Licinio, Licinio il Giovane, Cesare
per l'Oriente. Inoltre concesse a Licinio i territori della Tracia,
Asia Minore, Siria ed Egitto, mentre estese i suoi domini alla
Pannonia, Dalmazia, Dacia Macedonia e Grecia.
Costantino nel frattempo aveva affrontato la guerra gotica (322)
da cui era uscito vincitore. Non potendo ora tollerare di dividere
l'impero con un altro, non dette pace a Licinio fino a quando
non lo sconfisse ad Adrianopoli (323). Licinio era degno avversario
di Costantino e non si dette per vinto. Riuscì a radunare
altri sessantamila uomini e cercò di resistere, ma fu sconfitto
nella battaglia di Crysopolis (Scutari) in cui fu fatta una strage
di venticinquemila soldati.
Licinio si rifugiò a Nicomedia, dove con l'intercessione
della moglie Costanza, sorella di Costantino, rinunciò
alla porpora e fu destinato a vivere da privato in Tessalonica
dove fu ucciso dopo essere stato accusato di fomentare una rivolta
(325).
Costantino riconosciuto unico imperatore (324), ebbe tredici anni
di pace per dedicarsi alla sistemazione dell'impero e alla costruzione
di Bisanzio (v. in Schegge: Bisanzio la città d'oro). Egli
aveva lottato per riunificare l'impero, ma alla fine fu egli stesso
la causa della sua divisione definitiva, con la spartizione operata
tra i suoi tre figli.
Costantino aveva perfezionato l'organizzazione amministrativa
avviata da Diocleziano, costituendo quattro prefetture del Pretorio,
due per l'Occidente e due per l'Oriente, trasferendo la sede del
governo a Bisanzio, che aveva ricostruito come nuova capitale,
nell'area della preesistente Bisanzio, chiamata dopo di lui Costantinopoli
(inaugurata l'11.5.330), ma ufficialmente denominata Nova Roma,
nome che rimarrà per tutto il medioevo.
L'imperatore, per ricostruire la città e per abbellirla
aveva bisogno di danaro che richiedeva ai cittadini sottoponendoli
a gravissimi tributi, e per avere disponibilità d'oro,
ne creava di nuovi come il <crisagiro> che consisteva in
un pagamento d'oro o d'argento ogni quattro anni, richiesto a
quelli che esercitavano il commercio.
Molti di costoro per pagarlo dovevano vendere persino la propria
casa. A questo tributo furono sottoposti anche gli umili e le
prostitute, con la conseguenza, dice lo storico, che ogni quattro
anni, quando bisognava pagare, <le città riecheggiavano
di pianti, lamenti e frustate. Ai più poveri che non erano
in condizioni di pagare una penale, erano inflitte torture. Con
il risultato che molte madri per pagare vendevano i propri figli
e prostituivano le figlie>.
Costantino era
stato anche legislatore. Oltre ad aver emanato editti di carattere
pubblico e privato, di normale amministrazione, aveva emanato
due leggi che sono ricordate una per la notevole umanità,
l'altra per il suo opposto, vale a dire par la notevole crudeltà.
La prima riguardava l'uso (d'antica data), di esporre o uccidere
i neonati (l'esposizione avveniva in luogo pubblico in modo che
il neonato potesse essere preso da chi desiderasse allevare un
bambino). Si ricorreva a questo sistema, quando vi erano nascite
indesiderate oppure si ricorreva a questa pratica a causa dell'eccessiva
miseria. Quando cioè, i genitori non erano in grado di
mantenere i figli, l'esposizione o l'eliminazione erano fatte
nella convinzione di una liberazione dalle future sofferenze cui
i neonati sarebbero andati incontro. La legge che mirava a soccorrere
i genitori in miseria, era troppo vaga e generica per produrre
effetti benefici.
La legge, invece, che si era mostrata di una brutalità
senza pari, riguardava i rapimenti di donne, che per i romani
era un avvenimento normale e risaliva alla fondazione di Roma,
cioè al ratto delle Sabine (prendere in braccio la sposa
per varcare la soglia è un ricordo di quella vicenda),
di cui erano stati essi stessi gli autori ma non volevano che
altri lo facessero!
Per il rapitore era stata comminata la pena di morte. Non però
una morte subitanea, ma una morte sofferta, come l'essere bruciato
vivo (in cui la morte avveniva per soffocamento), o peggio, essere
sbranato nel circo dalle belve.
A nulla valeva la dichiarazione della donna (che finiva sempre
per accettare il fatto compiuto), di essere stata rapita col proprio
consenso. In questo caso anche lei subiva la stessa sorte. Ai
genitori della ragazza era fatto obbligo di accusare pubblicamente
le figlie. I genitori che riuscivano ad occultare o facevano risposare
la figlia, erano puniti con la confisca dei beni e l'esilio. Anche
gli schiavi erano coinvolti perché si riteneva che fossero
complici nella fuga, per questo per loro era prevista o la morte
al rogo oppure era loro versato in gola piombo fuso!
Il delitto non era soggetto a prescrizione e l'accusa poteva essere
rivolta da chiunque, anche dagli stranieri. Lo stesso Costantino
si era reso conto della crudeltà di questa legge che in
alcuni casi aveva cercato di temperare.
Altra legge codificata da Costantino (316) era stata quella delle
donazioni introdotta per la prima volta nel diritto romano, per
la quale era richiesto l'atto scritto e la <traslatio> vale
a dire la consegna del bene donato. Essa sarà successivamente
perfezionata e, in ogni caso, non è da confondere con quella
più famosa e falsata, che va sotto il nome di <donazione
di beni alla Chiesa> o <donazione di Costantino> che
Costantino avrebbe fatto, dopo essere guarito dalla lebbra, al
papa Silvestro I e dopo essere stato battezzato.
Si era trattato di un falso senza precedenti, stilato da un monaco
che, per l'enormità delle concessioni, certamente aveva
voluto fare un tiro burlone, o, in ogni caso fare un gesto compiacente
in favore della Chiesa. Questo falso storico era stato redatto
probabilmente nello scriptorium (1) dell'abbazia di s. Denis (v.
Abelardo ed Eloisa), con successivi rimaneggiamenti operati in
Italia, oppure nel monastero di s. Silvestro, da un monaco bizantino.
Questo testo era stato redatto e aveva iniziato a circolare (sia
in latino sia in greco) nella seconda metà del VII sec..
Nel XII sec. sotto forma di <postilla>, era stato aggiunto
ad un <Decretum costituito>, vale a dire ad una raccolta
di diritto canonico. Essa indicava una serie di concessioni e
dichiarazioni (Costituto Constantini) che Costantino avrebbe fatto
al papa Silvestro I (314-335), in un documento che redatto e firmato
dall'imperatore, sarebbe stato messo sul corpo di s. Pietro! (v.
in Schegge Dalla Donazione di Costantino al Corpus juris canonici).
Costantino aveva
avuto da Minervina, un amore giovanile o concubina, un figlio
di nome Crispo. Altri tre maschi li ebbe dalla moglie Fausta,
che abbiamo visto essere figlia di Massimiano.
Crispo era stato insignito del titolo di Cesare e gli era stato
dato il governo della prefettura della Gallia dove aveva avuto
modo di mostrare il suo valore contro le scorrerie delle tribù
germaniche.
Costantino, aveva nominato Cesare il figlio Costanzo, e lo aveva
mandato nei territori di Crispo. Costui se ne adontò, non
nascondendo il suo malcontento, presentato al padre, da cortigiani,
come preparazione di una congiura. Costantino attese il momento
in cui Crispo si era recato a Roma per i festeggiamenti del ventennale
del regno e, durante i festeggiamenti, lo fece arrestare.Quindi
Crispo fu condotto a Pola dove fu ucciso.
Il padre in ritardo si rese conto dell'innocenza del figlio e
lo compianse dedicandogli una statua d'oro con la scritta <a
mio figlio che ho ingiustamente condannato>. Anche la moglie
Fausta sarà uccisa, fatta soffocare in un bagno surriscaldato,
poiché si era scoperto che aveva una relazione con uno
schiavo.
Alla morte di Costantino l'impero era stato diviso fra i tre rimanenti
figli: Costantino (II), primogenito di ventuno anni con la prefettura
delle Gallie. Costanzo (II), di venti anni, che era stato a fianco
del padre nella prefettura d'Oriente, aveva mantenuto questa.
Costante di diciassette anni, governava l'Italia, l'Illiria e
l'Africa, con capitale Cartagine. Due nipoti, Dalmazio e Annibaliano
governavano la Tracia e il Ponto, con l'incarico di Cesari.
Costanzo (II), pur avendo dato assicurazioni ai familiari che
si faceva garante della loro sicurezza, iniziò a spargere
sangue nella sua famiglia e tra i suoi parenti. Fece uccidere
due zii, fratelli del padre, sette cugini fra i quali Dalmazio
e Annibaliano, uno zio acquisito, Ottato, marito di una sorella
di Costantino e il prefetto Ablavio.
Intanto Costantino II, lamentandosi del fatto che era stato defraudato
nella divisione dei parenti assassinati, radunati dei soldati
era venuto in Italia. Si trovava nei pressi d'Aquileia dove, raggiunto
dai soldati del fratello Costante, fu ucciso in un'imboscata.
(340).
Contro Costante fu ordito un colpo di stato da parte di Magnezio,
e fu ucciso (350) a Helena (Elna) ai piedi dei Pirenei. Magnezio,
sconfitto si uccise gettandosi sulla sua spada (353).
Costanzo rimase da solo a governare l'impero. Egli era ariano
di religione e nei sinodi di Sirmio e Ravenna (359) fece riconoscere
l'arianesimo religione di Stato. In quel periodo avvenne la conversione
dei Goti al cristianesimo, da costoro conosciuto nella forma ariana.
Da quel momento tutte le popolazioni germaniche, che si convertivano,
rimanevano fedeli alla dottrina ariana.