LA RUSSIA

AI TEMPI DI CATERINA II

E IL SUO TRIONFALE

VIAGGIO  IN CRIMEA

 

Michele E. Puglia

 

 

PARTE SECONDA

 

 

IL TRIONFALE

VIAGGIO

DI CATERINA II

IN CRIMEA

 

 

 

SOMMARIO: LA GRANDE CAROVANA INTRAPRENDE IL VIAGGIO; IL RISENTIMENTO DEI POLACCHI E LA SEVERITA’ MORALE MOSTRATA DA CATERINA; LE PICCOLE CITTA’ ATTRAVERSATE FINO  A SMOLENSK; VELIJÉ E PORETCHIÉ; A SMOLENSK IL BALLO OFFERTO DA CATERINA; MSCHISLAFF ASILO DEI GESUITI; NOVGOROD-SEVERSKI; KIEV L’ANTICA CAPITALE DELL’IMPERO RUSSO; DA KIEV IL VIAGGIO RIPRENDE CON I BATTELLI; KANIEFDOV; KREMENTCHUK; L’IMPERATRICE PONE LA PRIMA PIETRA DELLA CITTA’ DI EKATERINOSLAFF; KISILKERMANN LA CITTA’ DELLE RAGAZZE; LA CRIMEA NELL’ANTICHITA’; LE LINEE DI PEREKOP;  A SYMPHEROPOL POTEMKIN GRANDIOSO NELLE SUE SORPRESE; L’IIMPERATORE PARTE DA KISIKERMAN L’IMPERATRICE PROSEGUE PER PULTAWA; DOPO TOULA MOSCA E PIETROBURGO.

 

 

 

LA GRAN CAROVANA

INTRAPRENDE

 IL VIAGGIO

 

 

I

l viaggio (che riprendiamo dal racconto del conte Louis-Philippe Ségur (1753-1830), che vi aveva partecipato (riporatndo le sue ipressioni in Memoires ou souvenirs et anedoctes par le comte Ségur, III Voll., Paris  1826) ebbe inizio  il 18 gennaio 1787, sotto la direzione del grande regista e scenografo principe Potemkin; nella vettuura dell'imperatrice, aveva preso posto la signorina Protosaff e l’aiutante di campo di Caterina, Momonof, che con il conte Cobentzel, il grande scudiero Narishckin e il gran ciambellano Scouwaloff non la lasciavano mai; nella seconda carrozza c'era Fitz-Herbert , il conte Segúr e Tchernikeff  d'Ìanhalt; in tutto quattordici vetture con 124 vetture da traino e quaranta supplementari, cinquecento sessamta cavalli attendevano il cambio a ciascun a posta.

Il freddo raggiungava diaciassette gradi sotto zero; la strada era magnifica, le vetture montate su sci sembravano volare. per ripararsi dal freddo erano tutti  avviluppati da vaste pellicce d'orso che i viaggiatori avevano su pellicce più sottili e raffinate; le loro teste erano coperte da berretti di  pellicce di martora e così coperti non avvertivano il freddo che era salito a venticinque gradi.

Il principe di Ligne che aveva assunto l’incarico di illustrare all’imperatore Giuseppe II d’Austria l’itinerario, li raggiunse a Kiev con le sue solite amiche, con la sua gaiezza franca e piccante, la nobile e naturale grazia, la facilità del buonumore che  appartiene agli uomioni di spirito e una feconda immaginazione che non fa languire la conversazione.

il 17 gennaio il sig. Fitz Herbert, il conte Cobentzel e io, (Ségur) ci recammo a Zarsoie-Zélo dove trovammo l’imperatrice silenziosa e pensierosa, contro il suo costume; era contrariata per non poter portare con sé i granduchi Alessandro e Costantino; per di più il suo favorito Monomoff aveva un pò di febbre, per lei i più leggeri contrasti costituivano motivo di sorpresa e preoccupazione; ci ricevette bene ma parlava poco e ci fece giocare alla tombola, ma si accorse subito che questo insipido gioco mi annoiava e mi faceva addormentare, e per togliermi dall’imbarazzo le lessi alcuni versi da me composti a Parigi per la marescialla di Lussemburgo, celebre per il suo spirito, che mostrava una singolare passione per questo triste divertimento; alle otto l’imperatrice ci congedò e ci riunuimmo nell’appartamento del conte di Cobentzel dove ci ravvivammo.

Questo gran viaggio il cui annunzio aveva eccitato la nostra curiosità, sembrava pesarci nel momento in cui andavamo a intraprenderlo; il presentimento ci aveva fatto pensare a lunghe preghiere e terribili contrattempi che non tardarono a manifestarsi.

Spesso ognuno di noi aveva previsto che questa marcia trionfale della Cleopatra del Nord (come l’aveva chiamata Voltaire) satebbe stato quasi un grande capovolgimento del viaggio compiuto da (la vera) Cleopatra d’Egitto che aveva provocato la caduta della repubblica romana e la nascita dell’impero e una guerra civile che aveva scosso il mondo e aveva stabilito una lunga e sanguinosa tirannia.  

Io ero preoccupato per alcune lettere pervenutami di recente dalla Francia che mi annunziavano la benda di illusioni gettata sui nostri occhi da monsieur de Calonne (ministro delle finanze) che cominciava a cadere; tutto annunciava che in Francia una grande crisi che questo audace ministro accelerava per la temnerità delle misure  che proponeva (mancavano cinque anni allo scoppio della Rivoluzione che sarebbe esplosa in Francia ndr.).

Aveva inizio il viaggio di ottocento leghe per arrivare in Crimea e ottocento per tornare a Pietroburgo.

Da questo momento tutta la corrispondenza per me cessava e dovevo rievere raramente  e a lunghi intervalli notizie di mia moglie e dei miei bambbini, di mio padre, del mio amministratore e di tutto ciò a cui ero affezionato che per me significava come dover raddoppiare la mia assenza da casa.

Il conte di Cobentzel era il solo  di noi tre che conservava la sua inalterabile gaiezza e tutto questo capovolgimento per lui costituiva  una meravigliosa attrazione.

Nelle case in cui alloggiavamo, le stufe ci inducevano a temere l’eccesso di calore piuttosto che quello del freddo.

In questo periodo le giornate erano corte e in capo a sei-sette ore il sole scompariva e faceva luogo al buio della notte.

Per dissipare le tenebre il lusso orienatale non ci faceva mancare la luce; a breve distanza e sui due lati della strada  vi erano enormi fuochi di legna di abeti, cipresso betulle, pini,  in modo che la strada che si percorreva era più illuminata del giorno; era così che la fiera autocrate (*) del Nord in mezzo alla più sobria notte, voleva e comandava che “sia fatta la luce ... e la luce fu”; a settantadue vertse (km.) da Pietroburgo, ci fermammo per la colazione in una piccola città nuova e gioiosa chiamata Rojestwnsk.

L’imperatrice, tornata alla sua naturale gaiezza si mostrava soddisfatta della conclusione del trattato di commercio fatto da me e i suoi ministri.

(Per non rendere noioso l’elenco delle poste dove il convoglio si fermava sono indicate le città e i borghi più grandi, più ricchi e storici, degni di attenzione).

Attraversavamo vaste plaghe coperte di neve, foreste di abeti con i rami ghiacciati che al riflesso dei raggi brillavano come diamanti; in questo periodo il freddo di tutta la Russia non differiva da quello della Siberia e carri solitari portavano per i villaggi, dall’est all’ovest, da nord a sud i diversi prodotti dell’agrucoltura e dell’industria.

 Non si può facilmente immaginare lo strano contrasto che in mezzo a questo mare di neve dava una strada abbracciata da mille fuochi che delimitavano il numeroso corteo dell’illustre sovrana del Nord, con tutto il lusso della magnifica Corte; a poca distanza da un borgo o un villaggio, questa strada solitaria si popolava dei loro abitanti, la cui curiosità sfidata i rigori del freddo e che salutavano la loro sovrana con vive acclamazioni.

L’ordine costante che l’imperatrice aveva stabilito nelle sua vita abituale, variava il meno possibile durante il viaggio; si alzava alle sei e lavorava con i suoi ministri; faceva colazione e ci riceveva. Si partiva alle nove e alle due ci si fermava per il pranzo; si rimontava in vettura e ci fermavamo alle sette.

Dappertutto l’imperatrice trovava un palazzo o una elegante casa, preparata per riceverla; eravamo con lei tutto il giorno salvo alcune pause per la toilette; lei veniva a trovarci nel suo salone, chiacchierava, giocava con noi e alle nove si ritirava e lavorava fino alle undici.

In tutte le fermate ci erano assgegnati degli alloggi presso ricchi abitatanti, ma nei borghi fui obbligato a dormire presso contadini dove il caldo delle loro strette abitazioni era così eccessivo da non poter dormire; una piccola lucerna illuminava fiocamente una camera stretta e bassa circondata da panche di legno appoggiate a una tramezza; su una stufa dormiva la famiglia di contadini, il marito, la moglie e i figli; privi d’aria, avevano per luce un ramo di legno resinoso acceso.

Il secondo giorno mi trovavo con monsieur Fitz-Herbert, nella vettura dell’imperatrice; la conversazione fu viva, gaia, varia e non languiva; Caterina ci raccontava che era stata rimproverata per aver permesso a un capitano di vascello di sposare una nera e lei aveva rispssto:  Vedete bene qual’è è l’effetto delle mie visioni ambiziose contro i turchi, aver fatto celebrare un clamoroso matrimonio della marina russa con il Mar Nero”.

L’imperatrice si compiaceva di parlare spesso della barbarie, della mollezza, dell’ignoranza dei musulmani e della stupida esistenza dei loro sultani il cui orizzonte non si estendeva al di là delle mura dell’harem “Questi despoti imbecilli, - diceva - estenuati dalle voluttà del serraglio,  dominati dai loro ulema e prigionieri dei loro giannizzeri, non sanno né pensare, né parlare né amministrare, né combattere; la loro infanzia è eterna”.

La conversazione poi cadeva sulla estensione dell’impero, sulla varietà delle popolazioni che l’abitavano e sui numerosi ostacoli e successori che  Pietro il Grande aveva dovuto incontrare per civilizzare tante persone di costumi diversi; Caterina raccontava, nei dettagli, di un viaggio che aveva fatto lungo le rive del Volga.

“Esso” (il fiume), diceva, “porta una tale abbondanza nelle contrade che attraversa, che  il progresso dell’industria diventa necessariamente molto lento perché non si sente il pungolo del bisogno; é questo il pungolo che può spingere il popolo al lavoro. Quando – aggiungeva -  le popolazioni che abitano nelle vicinanze di questo grande fiume dovessero abbandonare i fertili campi coltivati e le loro numerose greggi, la sola pesca gli impedirebbe di morire di fame ed io ho visto centoventi persone sufficientemente nutrite con un gran quantità di storione”.

Tutto ciò può essere vero, commenta Ségur, ma la causa reale della lentezza della civilizzazione è la schiavitù del popolo: nessuna fiereza lo sostiene, nessun amor proprio lo eccita, abbassato al rango delle bestie non conosce che i bisogni fisici e limitati; egli non eleva i suoi desideri  al di là di ciò che è strettamente necessario per sostenere la sua triste esistenza e per pagare al suo padrone il tributo che gli è imposto.

Il territorio che attraversavamo all’inizio di questo viaggio, offriva alla nostra attenzione poca varietà d’aspetto, non vi era che foresta e mare ghiacciato. Il solo governatorato di Pietroburgo aveva settantaduemila arpenti di boschi. Ma il consumo del legname, che il clima rende indispensabile, è così indispensabilmente elevato che si cominciava a percepire la diminuzione di questi boschi e l’imperatrice ha vietato con un ukase, che non si può tagliare annualmente più di una trentesima parte.

Si continuò a parlare di argomenti di politica che animarono la conversazione molto gaia e naturale tanto da farci apparire la giornata molto corta ed essere arrivati a Porkloff, città rimarchevole, il cui  governatore della provincia era il principe Repnin che ci fece l’onore di un fasto molto vanitoso. 

 

 

 

*) L’ideologia autocratica (samoderzets) di zar e zarine, si fondava su due principi, l’origine divina del potere dello zar  e la  discendenza della nuova dinastia dei Romanov di origine tedesca, dalla stirpe dei Rurik, iniziata con Mikail, seguito da Alexis che aveva lasciato il trono ai suoi tre figli: Feodor III, Ivan e Piotr; morto Feodor senza figli il trono rimase a Ivan che lascò che Pietro I prendesse, come abbiamo visto (v. Il viaggio di Pietro I a Parigi) scettro e trono.

 

 

IL RISENTIMENTO

DEI POLACCHI

E LA SEVERITA

MORALE

MOSTRATA

DA CATERINA

 

 

 

Q

uesto principe, che aveva meritato qualche rinomanza in guerra, si era fatto detestare in Polonia a causa dell’orgoglio mostrato nei confronti dei polacchi e del re. Un particolare basta per descrivere questo personaggio.

Un giorno a Varsavia il re Stanislao assisteva alla rappresentazione di un brano teatrale; il primo atto era iniziato quando l’ambasciatore russo era entrato nel suo palco; contrariato dal fatto che non lo avevano atteso, ordinò agli attori di  ricominciare da capo!

Per molte di queste ingiurie e per le maniere oltraggiose e umilianti usate, nei polacchi si era inculcato un odio profondo contro la Russia; un popolo fiero può rassegnarsi a essere vinto, ma mai a vedersi umiliato quando è conquistato con la forza e non soggiogato con la dolcezza, la giustizia, la generosità.

Porkhoff è un’antica città situata sulla Schelonia; all’inizio del XIVmo secolo essa fu taglieggiata dai lituani; nel XVmo i novogdoriani l’avevano circondata di robuste mura e costruirono per la sua difesa una forte cittadella; gli svedesi se ne impadronirono nel 1606 e la resero poco tempo dopo ai russi; questa città conteneva circa seimila abitanti e quattrocento mercanti che mandavano a Pietroburgo del lino e del grano attraverso la Schelonia e l’Ilmen.

Poiché non intendo fare un corso di geografia, scrive Ségur,  mi affretterò ad arrivare direttamente a Smolensk senza soffermarmi su villaggi e borghi che erano stati momentaneo soggiorno di una corte sontuosa. 

Una folla raccolta dei suoi poveri e rustici abitanti, malgrado il rigore del freddo, rimaneva pazientemente con le barbe ghiacciate, attorno al piccolo palazzo costruito nel mezzo delle mura; in esso, in una sorta di spettacolo, il seguito dell’imperatrice, assiso a una tavola sontuosa o su cuscini di grandi e comodi divani, non percepiva né la durezza del clima né la povertà del paese, trovando un dolce calore nei vini squisiti, nei frutti rari e nei cibi ricercati; ciò che ci sottraeva alla uniformità della noia, erano tutti questi piaceri donati alla numerosa cerchia di una donna amabile, per di più  regina e despota.

Circondato da questa gaia atmosfera, dalla familiarità che l’imperatrice permetteva alle persone che stavano viaggiando con lei, dalla presenza del giovane favorito del momento, dal ricordo di quelli che lo avevano preceduto, dalla sua filosofia, dalla sua gaiezza, dalla sua corrispondenza con il principe di Ligne, di Voltaire e Diderot; tutto ciò aveva fatto pensare a un conte galante, che avrebbe potuto “scroccare” l’imperatrice, prendendosi la libertà di leggerle dei versi che egli stesso aveva composti, “che erano liberi e gai” (i versi erano libertini! ndr.) ... ma con sua somma sorpresa egli vide la sorridente viaggiatrice, riprendere la fisionomia della maestosa sovrana, che l’interruppe, cambiando, a proposito, il tenore della conversazione! Ségur, ripresosi dopo qualche attimo, per far capire di aver compreso la lezione, cambiò i versi con quelli di altro genere; ma gli venne in mente  ciò che gli aveva detto una volta suo fratello, parlando della indulgenza delle donne che non erano virtuose e della apparente severità che mostravano quelle che non lo erano:dove regna la virtù, la buona creanza è inutile” .

 

 

LE PICCOLE CITTA’

ATTRAVERSATE

FINO A SMOLENSK

 

 

P

rima di arrivare a Smolensk le nostre giornate furono così divise: la prima fermata a Sélogorodetz, la seconda a Porkhoff, la terza a Bejanitsi, la quarta a Veeliki-Luki la quinta a Velijé, la sesta fu a Smolensk.

Indipendentemente dal gran numero di villaggi, nello spazio di centosettantadue leghe attraversammo un piccolo numero di città Sophie, Rojestwensk, Louga, Porkhoff, Veliki-Louki e Velijé; la più importante era Porkhoff di cui parlerò; Veliki-Luki il cui nome significa grande arco, le fu dato a causa della sinuosità del fiume Lova che passa presso le sue mura.

La sua esistenza è conosciuta dal dodicesimo secolo; devastata volta a volta dai novgorodiani, i principi russi la liberarono dopo accaniti combattimenti, fu  bruciata e saccheggiata dai lituani e nel sedicesimo secolo cadde sotto il giogo del feroce zar Ivan Vasiliewitz. Conquistata dal re di Polonia Batori, fu restituita alla Russia nel 1582; in seguito il falso Demetrio la diede alle fiamme e rimase deserta per nove anni, poi fu popolata dai cosacchi del Jaick e del Don, sotto il regno di Mikail Fedorowitz; è attraversata dal Lova e fu fortificata e contiene tre chiese; è stata arricchita dal commercio del cuoio e conta ventisette concerie.

 

 

  VELIJÉ E

PORETCHIÉ

 

 

V

elijé contiene seicento case e cinquemila abitanti; per lungo tempo polacca, fu riunita all’impero della Russia Bianca; il suo territorio è fertile nella canapa, nel lino e nel grano; ha un gran commercio con Riga attraverso la Dwina; vi sono quattro chiese greche, una cattolica e altre quattro di diverse sette.

Poretchié è divenuta città nel 1775; la sua prosperità si era sviluppata all’epoca del nostro passaggio; conta cinqecento case, tre chiese in pietra e più di tremila abitanti. Il fiume Casplia che costeggia le sue mura, sfocia nella Dwina;  il suo collegamento con Riga l’aveva rapidamente arricchita.

Il nome di Smolensk è impresso nel ricordo dei francesi per le gloriose vittorie e per dei grandi malori; l’incendio provocato dai suoi stessi abitanti aveva decretato il trionfo del più celebre guerriero dei tempi moderni e, al suo ritorno, le rovine di questa città in cenere furono il sinistro monumento che narcava l’epoca  della distruzione delle sue armate e la rovina dell’impero (il riferimento è alla Campagna di Russia di  Napoleone ndr.).

 

 

A SMOLENSK

IL BALLO OFFERTO

DA CATERINA

 

 

S

molensk, capitale di un governatorato, in antichità, non è da meno di alcuna città russa, come Novgorod,  era già fiorente prima dell’arrivo di Rurik.

Nell’802, Oskold la trovò ricca e popolata; per lungo tempo indipendente da Kiev e Novgorod, essa fu sottomessa a quest’ultima da Oleg e riunita al granducato di Kiev quando i granduchi trasferirono il loro trono in quest’ultima città.

Nel 996 il grande Vladimiro la donò a suo figlio e da allora ebbe i suoi principi particolari. Nel dodicesimo secolo fu eretta a vescovato; per lungo tempo vittina di guerre civili, i tatari nel 1339 l’assediarono, di concerto  col granduca di Mosca; non potettero prenderla ma devastarono il suo territorio.

Fu ripopolata alcuni anni dopo la peste e divenne preda di principi e granduchi che la ebbero a turno; i lituani la conquistarono nel XVImo secolo, alla fine del quale fu fortificata; nel XVII il re di Polonia, Sigismondo se ne rese padrone, ma fu ripresa dallo zar Alexis-Mickailowitz e riunita per sempre alla Russia.

Smolensk è situata sulla punta della riva sinistra del Dniepr o Borystene e divisa in due parti; è circondata da una forte nuraglia e difesa da una cittadella; le sue mura sono della lunghezza di due leghe di circonferenza.

E’ fornita di belle costruzioni come il tribinale, l’arcivescovato, il governatorato, un convento di monaci e due di monache, sette chiese in pietra e cinque in legno e una bella cattedrale.

Mi dicono che la sua popolazione si aggira intorno ai dodicimila abitatanti; intorno alla città vi sono dei grandi sobborghi con più di seicenti case.

Il commercio di Smolensk con Riga e con la Polonia, quando la vidi, era in grande attività e aveva dato un grande sviluppo al progresso della cultura e della civilizzazione delle province meridionali dell’impero.

Smolensk si trova a seicentoottanta verste (2.80 km. attualmente percorribili in ventisette ore ndr.) e 350 da Mosca (quattro verste sono press’appoco una lega); le due parti di qeuesta città comunicano attraverso un ponte galleggiante.

Smolensk, capitale del governatorato considerato nel novero delle più ricche province dell’impero; la città non è da meno ad antiche città come Novgoro; essa era fiorente già ai tempi di Rurik. La sua ricchezza è dovuta all’agricoltura e meno soggetta delle altre alle vicissitudini della ricchezza industriale, soggetta al dispotismo dell’impero. La frutta e il grano che produce questa contrada corrono il rischio di diventare oggetto di corruzione,  in quanto Smolensk è il punto centrale delle comunicazioni tra il Mar Nero e il Mar Baltico .   

A Smolensk vi abita una numerosa nobiltà che occupa altretttanti numerosi incarichi nell'amministrazione; quelli che non si trovano inseriti tra i nobili e non sono schiavi, sono mercanti. Sotto il regno di Caterina i limiti posti alla servtù si sono poco a poco, ristretti e quelli posti alla libertà si sono progressivamente estesi

La posizione di questa città è molto pittoresca; la bellezza del Dienper, la rapidità delle sue acque che annunciano la maestà delle sue sorgenti che si spiega a Kiev e che segue il suo corso per sfociare nel Ponto Eusino, le sue rive scoscese, le costruzioni ad anfiteatro che lo decorano, i burroni ineguali che la natura ha messo sui fianchi di quei monti, le case, i giardini, i frutteti, offrono il singolare  spettacolo al viaggiatore  di una città artisticamente disegnata. La neve che copriva ancora il suolo ci permise di vedere questo quadro attraente come attraverso un velo.

Avevamo percorso circa duecento leghe in sei giorni; l’imperatrice era stanca; sebbene fosse difficile viaggiare in una stagione più rigorosa, sebbene con comodità, celerità, magnificenza e piacere; il freddo era scomparso sotto la moltitudine delle precauzioni; la distanza era stata assorbita dalla leggerezza dei mezzi e la lunghezza delle notti superatra dal chiarore degli immensi roghi accesi ogni trenta tese.

Nella vettura l’imperatrice che non si riposava di regnare che per lavorare a piacere, faceva  una continua dispensa di grazie, di spirito e di  allegria, genere di occupazione amabibile ma che non si  può sostenere per lungo tempo senza una certa fatica.

Caterina decise quindi di fermarsi tre giorni a Smolensk, ciò che ritardò il nostro arrivo a Kiev dove l’attendeva una folla di viaggiatori di tutte le parti d’Europa.

Caterina, dopo aver compiuto i suoi doveri religiosi nella cattedrale si era fermata nel suo palazzo e il giorno dopo ricevette la nobiltà, le autorità, la corporazione dei mercanti, il clero  e la sera offrì un gran ballo  dove trecento dame riccamente vestite  davano una prova dei progressi che si erano raggiunti nelle province dell’impero, l’imitazione del lusso e delle grazie che si possono  ammirare  nei  brillanti centri dell’Europa.

Era la superficie a mostrare l’immagine della civilizzazzione, ma sotto una leggera scorza, l’attento osservatore ritrovava ancora facilmente la vecchia Moscovia. L’arcivescovo di Mohiloff venne a rendere i suoi omaggi all’imperatrice e fui sorpreso dall’aspetto marziale dell’ecclesiastico. “Non vi meravigliate, mi disse l’imperatrice, è stato per lungo tempo capitano dei dragoni; in questa qualità vi consiglio di confessarvi da lui”. Il buon prelato ci provò di ricordare bene il suo precedente mestiere per averci accompagnato a cavallo fino a Kiev facendo al galoppo  trentacinque leghe al giorno senza avvertire né la fatica né il gelo.

Vidi con piacere giungere la fine dei tre giorni che l’imperatrice aveva considerato giorni di riposo  ma che impiegati in udienze e rappresentazioni mi erano sembrati  più faticosi dei giorni di viaggio, in una dolce e larga vettura che scivolava sul ghiaccio,  ben seduti, comodamente vestiti tra persone amabili, istruite e gaie  piuttosto che  stare con grandi abiti tutta una mattinata  e dopo mezzogiono  in mezzo a un vasto salone a ricevere le corporazioni, ad ascoltare adulatori e per di più  ad ascoltare in una chiesa greca la monotona melodia di un interminabile canto liturgico.

 

 

MSCHISLAFF

ASILO DEI GESUITI

 

 

C

i rimettemmo in viaggio e dopo dieci giorni  (9,II,1787) giungemmo a Kiev; questa città è posta sulle rive del Borysthene (Dniepr)  a quattrocento leghe da  Pietroburgo; da Smolensk a Kiev malgrado l’uniformità del paesaggio, con una neve spessa che si offriva ai nostri occhi, era facile da percepire che i villaggi  erano più numerosi e popolati man mano che scendevamo verso mezzogiorno; prima di arrivare a Kiev attraversammo dieci città (*).

A Mscislaff vi erano due conventi cattolici e una scuola di gesuiti che cacciati da tutta l’Europa avevano trovato asilo in questa città.

Dopo la morte di Caterina i gesuiti a forza di flessibilità  e intrighi riuscurono a infiltrarsi  all' interno dell'impero e si stabilirono a Pietroburgo e Mosca; questa milizia turbolenta, cosÌ funesta a tutti i governi che l'avevano protetta  aveva trovato il mezzo per i suoi sordi intrallazzi e misteriosi proselitismi, aveva seminato   zizzania in numerose famiglie, mettendo i governi nella inquietudine fino allo zar Alessandro che con pazienza prima della sua morte cacciava dal paese questa perniciosa e incorreggibile congregazione. 

Mscislaff, come tutte le città che avevamo percorso, non offriva a chi avesse voluto conoscerne la storia, che una serie non interrotta di calamità, causate dalle rivalità tra lituani, tatari e polacchi con i principi russi che le conquistavano, le perdevano le saccheggiavano volta per volta. Dopo Mscislaff a Kritscheff vedemmo una scuola tenuta dai gesuiti; a Tscherikoff l’imperatrice permise agli ebrei  di tenere una scuola e avere una sinagoga.

 

 

NOVGOROD-SEVERSKI

 

 

N

ovgorod-Severski costruita dal granduca Jaroslaff nell’undicesimo secolo era stata chiamata Severski  che significa settentrionale in quanto i sarmati, popolo del Nord, andarono ad abitare nelle vicinanze, ai bordi della Desna.

Dappertutto l’imperatrice, lungi  dal lasciarsi andare alle solite frasi banali, discuteva con le autorità, i vescovi, i proprietari, i mercanti sulle loro condizioni, i loro mezzi, le loro aspettative, i loro bisogni; era così che si faceva amare, dando loro la possibilità di arrivare a lei per denunciare gli enormi abusi ai quali ricorreva tanta gente.

Interessante che l’imperatrice raccontava che le era stato riferito che un intendente della Martinica,  Mercier de la Riviére, aveva pubblicato l’opera “De l’Ordre naturel des société politiques”; questo libro aveva avuto un brillante successo e avendolo trovato interessante, Caterina aveva invitato a Mosca, l’autore a fare un viaggio in Russia come suo ospite. Messieur de la Riviére accolse subito l’invito e appena giunto  aveva preso tre palazzi contigui  nei quali aveva predisposto saloni, sale di udienza e uffici vari, ritenendo di essere stato chiamato  per aiutare a governare l’impero, per tirarlo fuori dalla barbarie ed espandere i suoi lumi, Egli aveva messo alle varie porte  dei vari appartamenti cartelli con scritti, con grossi caratteri, Dipartimento degli Interni, Dipartimento del Commercio, Dipartimento della Giustizia, Diparimento delle Finanze, Ufficio delle Imposte, ecc. e nello stesso tempo si informava  su coloro che, russi o stranieri, avrebbe assunto, considerando le loro capacità.

Tutto ciò fece un certo rumore a Mosca e poiché egli agiva per mio conto aveva trovato un buon numero di persone  che lo corteggiavano. A questo punto intervenni  e in due tre incontri mi feci spiegare la sua opera  di cui mi parlò con entusiasmo in quanto non era lo spirito che gli mancava. Solo la vanità gli aveva turbato il cervello e dopo avergli convenevolmente rimborsato le sue spese e lui soddisfatto, dimenticava i sogni di primo ministro e se ne tornò soddisfatto ma un pò vergognandosi, come filosofo, del passo che il suo orgoglio gli aveva fatto fare.

Era stato facendo allusione a questo aneddoto che Caterina aveva scritto a  Voltaire  Il signore de la Riviéree è venuto  per legiferare; egli ha pensato di farsi in quattro e molto gentilmente si è dato la pena di venire dalla Martinica  per farci alzare sui nostri piedi di dietro ”!. Era stato Diderot (che si era recato a Piettroburgo)  a  suggerire all’imperatrice a conoscere de la Riviére

La provincia dove sorgono queste città è governata dal maresciallo Romanzof che venne sul confine a ricevere l’imperatrice; questo vecchio e famoso generale porta nei suoi tratti l’impronta del suo carattere, un misto di modestia e fierezza da cui traspare una tinta di amarezza e malcontento per la preferenza accordata dall’imperatrice al suo antagonista, il principe Potemkin; il risultato è che il generale non ottiene niente per  il territorio che governa che si trova in stato di abbandono  con le truppe che indossano vecchi abiti in quanto tutte le grazie  piovono sulle armate del principe primo ministro, mentre l’imperatrice attribuisce questo stato di cose all’indolenza del maresciallo e l’aspetto fiorente del govenatorato del principe  alla magia della sua creatività.

 

 

KIEV

L’ANTICA CAPITALE

DELL’IMPRO RUSSO

 

 

L

’avvicinarsi a Kiev ispira una certa emozione in quanto la città era l’antica capitale dello stato russo durante il regno dei granduchi (l’Ucraina era denominata Piccola Russia v. P. I); era dalle mura di Kiev che partirono le prime armate  che tentarono la conquista del trono  degli imperatori d’Oriente, lanciando le loro lance sulle porte dorate della città di Costantino.

Fu a Kiev che una principessa greca portò la fiamma del vangelo che si espanse rapidanebte in tutte le contrade ghiacciate del polo; fu infine da Kiev che furono cacciati dall’Europa i feroci musulmani. 

Il suo nome, secondo acluni deriva da kivi che vuol dire montagna, secondo altri dal principe slavo Kii che alla sua fondazione (430) le aveva dato il suo nome; alla fine del decimo secolo fu saccheggiata dai peceneghi; dopo che se n’era impadronito un usurpatore, fu cacciato nel 1037 da Jaroslaf Wladimirovitz che la dichiarò capitale dell’impero russo.

La parte antica della città si trova sulla collina, separata dalla fortezza di Petscersky da un profondo fossato; quivi vi è  un magnifico convento di monaci fondato nel 1160; il resto della città è in pianure sulle rive del Borystene (Dniepr).

Era stato costruito un palazzo per Caterina grande ed elegante  dove l’imperatrice ricevette gli omaggi del clero,  delle autorità, dei mercanti, della nobiltà e degli stranieri che si erano recati a Kiev in gran numero attratti dalla magnificenza e dalla novità dello spettacolo che doveva colpire i loro sguardi.

L’imperatrice offrì un magnifico ballo agli abitanti di Kiev; mi era sfuggito di dire che stavamo facendo tanta stratda  per sentire messe greche e assistere a balli; Caterina mi sentì e mi disse: “Mi biasimate di  attraversare il mio impero per offrire in tutte le città delle udienze e delle feste ma le ragioni del viaggio  non sono quelle di vedere i luoghi ma di vedere le person; conosco i luoghi attraverso le descrizioni e il materiale illustrativ; ciò che mi è necessario è di dare al popolo i mezzi di avvicinarsi a me e di aprirmi il loro cuore e di far loro sapere a chi ritiene di abusare della propria autorità, che io non intendo coprire i loro errori, le loro negligenze, le loro ingiustizie. Ecco il profitto che intendo ottenere dal mio viaggio; la mia masssima è che “l’occhio del padrone ingrassa il cavallo”.

L’unico assente era il principe Potemkin occupato nei preparativi del brillante spettacolo che intendeva offrire alla sovrana nel suo governatorato; venne per una visita fugace accompagnato dal principe di Nassau.

Si era stabilito presso il monastero di Petschersky e alle  sue udienze, sembrava di assistere a quelle di un visir di Costantinopoli, Bagdad o del Cairo; questo capriccioso e potente favorito di Caterina  era apparso qualche volta con l’uniforme coperta di decorazioni in diamanti e bardato di ricami e merletti, inanellato e incipriato  come il più antico dei nostri cortigiani; abitualmente se ne stava coperto da una pelliccia, il colllo scoperto, le gambe seminude, i piedi in larghe pantofole, i capelli piatti e mal pettinati; molllemente steso su un largo divano, circondato da una folla di ufficiali e di grandi personaggi dell’impero; raramente invitava qualcuno di essi a sedersi, fingendo di essere occupato in una partita di scacchi per scorgere i russi o gli stranieri che arrivavano nel suo salone.

Il principe di Ligne era giunto da Vienna e la sua presenza rianimò tutto ciò che languiva; da questo momento sentimmo che il cupo inverno si addolciva e che la primavera nob sarebbe tardata a rinascere. Si passavano le serate presso l’imperatrice, sorvolando sull’etichetta: scomparsa la figura dell’imperatrice, appariva una donna amabile con cui si facevano conti, si giocava a biliardo e si parlava di letteratura.

 L’imperatrice ebbe la fantasia di voler apprendere le regole per scivere versi e durante otto giorni  mi impegnai a farle conoscere le regole della poesia, ma riconoscemmo insieme che mai il tempo sarebbe stato male impiegato e credo che era difficile trovare un‘orecchio così poco sensibile all’armonia dei versi. Il suo cervello era tutto pieno di ragione e politica e non si riusciva a trovare nessuna immagine che arricchisse i suoi pensieri; il suo spirito sembrava soccombere alla fatica della penosa ricerca della misura e della rima: dovetti così rinuciare alla educazione poetica dell’imperatrice.

 

 

 

*) Mscislaff, Tscherikoff, Novomest,Starodoub, Novgorod-Severski, Soznitsa, Betzna, Tschernigoff, Péjin, Kozélits.

 

 

 

 

 

DA KIEV IL VIAGGIO

RIRENDE

CON I BATTELLI

 

 

L

inverno stava per scomparire , le acque del Borysthene non erano più incatenate dai ghiacci; la natura lasciando il suo gelido velo si colorava del fuoco della primavera danbdo a Caterina il segnale per ripartire: si celebrò con una festa. Caterina dopo aver visitato il monastero di  Petschersky e dopo aver  distribuito grazie, cordoni, diamanti e perle, si imbarcò (1° Maggio 1787) su una galera, seguita da una flotta, la più grande che il fiume avesse mai portato.

Essa era composta da  ottanta bastimenti con tremila uomini d’equipaggio e di presidio; in testa vi erano sette galere di forma elegante e di grandezza maestosa, dipinte con arte, fornite di equipaggio numeroso, lesto e uniformemente vestito; l’oro e la seta brillavano nei ricchi appartamenti costruiti sulle tolde che ospitavano  tutti i personaggi del seguito dell’imperatrice, Il resto della flotta portava gli ufficiali inferiori, i bagagli, le munizioni; sulla galera dell’imperatrice viaggiavano la signoriona  Protasof e il conte Momonof; ciascuna galera aveva la sua musica; una folla di barche e canotti volteggiavano attorno alla flotta. La marcia era lenta e ne approfittavamo per salire su lrggere barche e andare sulla riva del fiume o su qualcuna delle isolette di cui il fiume era pieno; un afflusso di popolo veniva a salutare l’imperatrice; sui bordi del fiume una folla di curiosi che si rinnovavano continuamente arrivavano da tutte le parti dell’impero per ammirare la marcia del nostro corteo e offrire il tributo alla loro sovrana, della varietà di  prodotti derivanti dalle diversità del clima.

Le città, i villaggi, le case di campagna e alle volte anche i rustici  erano talmente ornate e nascosti da archi di trionfo, da ghirlande di fiori, da eleganti decorazioni architettoniche che il loro aspetto creava l’illusione di trasformare ai nostri occhi in città superbe, in palazzi  appena costruiti, in giardini magnificamente creati, La neve era scomparsa, una ridente verdura ricopriva la terra, i prati erano ricoperti di fiori, un sole brillante animava, vivificava, coloriva gli oggetti; ci accompagnava  il suono armonioso della musica proveniente dalle nostre galere; i diversi costumi degli spettatori che occupavano le rive rendevano ricco e vivace  questo quadro pittorico. Nell’avvicinarci a qualche grande città vedemmo  renderci gli onori degli squadroni di truppe, splendenti per la bellezza  delle loro armi e per la ricchezza delle loro uniformi e ci rendemmo conto che avevamo lasciato il governatorato del  generale Romanzof, vecchio e illustre guerriero ed eravamo entrati nel governatorato del principe Potemkin.

La mattina all’una andavamo a pranzo dalla imperatrice; la sua tavola non superava i dieci coperti; una volta alla settimana invitava tutte le persone che l’accompagnavano; in questo caso il pramzo era servito su un grande bastimenton dove la tavola poteva contenere sessanta coperti.

 

 

KANIEFDOV

 

 

C

inque giorni dopo la partenza da Kiev, giungemmo davanti alla città di Kaniefdov dove ci attendeva il re Stanislao di Polonia che era venuto con la sua corte a rendere omaggio all’imperatrice, ambedue uniti da un amore reciproco, ma questo incontro più diplomatico che sentimentale a causa della corona che galleggiava sulla testa di Stanislao,  il quale aveva bisogno del favore della altera protettrice.

La nostra navigazione doveva durare  lo spazio di quattrocento quaranatasei vertse che separano Kiev da  Kaydak dove cominciano le cateratte che  ci fecero riprendere il viaggio  con le vetture per raggiungere Kherson.

Le sorgenti del Dnieper si trovano presso il villaggio di Dnieprof a centocinquianta vertse da Smolnsk e si ingrossa rapidamente, prima di arrivare alla sua imboccatura; il suo intero corso è di centroicinquanta vertse o circa quattrocento leghe; prima di arrivare alla sua imboccatura tra Kinburn e Oczakoff esso forma un golfo della lunghetìzza  di quindici leghe e la larghezza di quattro; il suo letto, dopo Kaydak è interrotto da tredici cateratte che occupano uno spazio di sessanta vertse; il fiume è rapido e diversi banchi di sabbia rendono pericolosa la navigazione; esso riceve acqua da molti affluenti; tra i vari villaggi che sorgono sulle sue rive, si trova  Tripolié, città costruita da Wladimir per difendere le frontiere dei suoi  Stati ;  essa fu, come le altre, spesso preda a guerre civili e distrutta  nel dodicesimo secolo dai tatari e poi ricostruita.

A pca distanza si trova il villaggio di Staiki, su un ruscello che segna la frontiera della Polonia dopo il quale tutta la riva destra appartiene alla Polonia. Subito dopo si trova la città di Pereiaslaff già abitata dai kozari (cosacchi v- Parte I) e a destra la città di  Trektemiroff che rifornisce di formaggio le contrade vicine russe e polacche.

A venti vertse più lontano  si trova Kanieff inizialmente città, ora borgo; è qui che il re di Polonia venne a riìceverci. Oltretutto una tribù dei tatari chiamata Baskas si impadronì di questa città; più tardi Ahmet–Baska, uno dei loro capi, li divise in sloboda e li nominò cosacchi, i quali si resero padroni di questa contrada; asuccessivamente cresciuti di numero con truppe di disertori russi e polacchi, costruirono un forte chiamato Tcherkasse; ben presto uomini senza averi e di tutte le nazioni li raggiunsero e fondarono una città posta in un’isola del Borystene  chiamata Kortitz.; fu allora che furono chiamati zaporavi, per distinguerli dalle altre tribù o sloboda, stabilitisi al  di sopìr delle cateratte.

Questi briganti anfibi che non cessavano di guerreggiare furono poco a poco cacciati dai loro primi insediamenti e si  ritirarono nelle isole del Dniep da dove andavano a fare incursioni in Polonia e Russia.

Caterina II avendo distrutto questa strana repubblica stabilì sul suo territorio un reggimento regolare di cosacchi ai quali aveva assegnato  per la loro susssistenza e mantenimento delle terre e delle città. Noi vedemmo diverse di queste città che non hanno più la stessa destinazione, una è Daubrowka situata sulla confluenza  della Soula e del Dniepr, l’altra è Krementchuk, più notevole, è un borgo appartenente al reggimento di Mirgorod; è attualmente capoluogo de distretto del governatorato di  Ekaterinoslaff, dove l’imperatrice doveva posare la prima pietra; un ponte galleggiante la mette in comunicazione con Krioukoff costruita sulla riva opposta.

Scendendo il fiume si incontrano le piccole città di Kliberda e Perevolochno, riunite dai tatari; infine Ortik e Kaydak. Ciascuna delle cateratteha un nome particolare: la prima si chiama Kaydak, la più pericolosa di tutte è la ottava chiamata Ninaiìjetinsk; essa ha settecento tesedi lunghezza e in questo spazio sei piedi e un quarto di caduta.Da Kaydak a Kherson si attraversa una piana pressocché deserta; Kherson è situata all’imboccatura del Dniepr a ventitue leghe dal mare.

 

 

KREMENTCHUK

 

 

L

a navigazione continuava ad essere piacevole a parte qualche volta i venti contrari, giungemmo (10 maggio) a Krementchuk; quando sbarcammo, uno spettacolo colpì i nostri sguardi e la bellezza della prima verdura abbelliva tutto il paesaggio fino al mare. Un palazzo vasto ed elegantecostruito conformemente ai gusti dell’imperatrice con un giardino inglese  dove la magia di Potemkin aveva fatto trasportare in tutta fretta, degli alberi di una grandezza singolare; una vista  incantevole dove l’ombra, i fiori e le fontane variavano gradevolmente le prospettive; dinanzi a noi era parata una truppa di dodicimila uomini abbigliati ed equipaggiati a nuovo; tutta la nobiltà del governatorato raccolta e riccamente vestita; la  riunione di marescialli accorsi da tutte le contrade dell’impero e infine il piacere di essere in movimento dopo tre mesi d’immobilità e quello di veder arrivare la fine di questo straordinario viaggio. che ebbe risonanza in tutta l’Europa, furono il preludio delle nuove scene di cui dovevo essere testimone.

La soddisfazione di Caterina  si manifestava agli occhi di tutti; il principe Potemkin  straordinario sempre in tutto, si mostrava  così attivo nel suo governatorato quanto appariva indolente a Pietroburgo. Tuttociò che la sua viva immaginazione, il suo potere illimitato e la profonda conoscenza che egli aveva del carattere della sovrana, gli davano i mezzi per esaltarlo, per lusingare il suo amor proprio e realizzare cose inconcepibili.

Egli sapeva, per una specie di prodigio, lottare contro tutti gli ostacoli, vincere la natura, abolire le distanze, stornare la miseria,  sollevare lo spirito sulla noia di  una lunga marcia, dando un’aria di vita al più sterile deserto. Tutte le stazioni erano abbellite per evitare la più leggera noia; aveva propgrammato di non fare fermare la flotta che di fronte a borghi e città poste in posizioni pittoresche; immensi archi animavano le praterie; gruppi di contadini vivificavano le spiagge; una folla innumerevole di battelli portavano ragazzi e ragazze che cantavano le arie rustiche dei loro paesi e ci circondavano senza posa: nulla era stato omesso.  Occorre riconoscere che se questo primo ministro, mediocre generale, politico capriccioso nostrava di essere ben lungi da un grande uomo di Stato, egli era il più grande e il più abile degli uomini di corte.

Relativamente al suo governatoreto,  all’inizio esso contava  duecentoquattromila abitanti e sotto la suìa amministrazione, in pochi anni era salita a ottocentomila abitanti, umero ancora basso per una provincia lunga duecento leghe e larga cento. Questa popolazione era formata da  greci, tedeschi, polacchi,  invalidi e  marinai in congedo. Un francese che percorreva la provincia mi disse che  trovava spesso che nuovi villaggio fiorenti, erano sorti in posti che prima erano deserti.

Il principe ci fece gioire a Krementchuk con uno spettacolo di grandi manovre in cui furono impiegati quarantacinque squadroni e numerosa fanteria; io avevo visto poche truppe  più belle e in più brillante tenuta; i loro movimenti ci davano l’idea della tattica russa  così spaventosa per i turchi che difficilmente avrebbero poyuto resistere.

Dopo questo spettacolo militare l’imperatrice mostrò la sua soddisfazione al principe dicendogli: “Da Pietroburgo a Kiev avevo pensato di aver visto il corpo del mio impero compatto e unito; qui lo ritrovo in tutta la sua vivacitò e in tutto il suo vigore!”-

Il fiume diventava più largo e la navigazione più difficile; a ogni colpo di vento si finiva su qualche isola o sui banchi di sabbia. La navigazione ci mostrava rive sconosciute e paesi prima abitati da cosacchi zaporavi, briganti distruttori, nemici del lavoro agricolo e industriale, ora popolati da cittadini sottomessi e laboriosi.

L’imperatrice sembrava così soddisfatta di se stessa e di noi, diceva che vedeva con pena avvicinarrsi la fine della navigazione, se non avesse avuto la preoccupazione di fare attendere l’imperatore arrivato nel frattempo a Kerson.

Alcuni inconvenienti e i ritardi si accumulavano e l’inquiuetudine dell’imperatrice  le fece cambiare l’umore quando fummo informsti che l’imperatore l’indomani del suo arruvo a Kerson si era recato a Kaydak da cui eravamo distanti sei leghe. L’intenzione del monarca era di venirci incontro ma il principe Potemkin  aveva già previsto in tempo di far giungere la sovrana a Kaydak; Caterina scesa dalla sua galera, lasciandoci tutti sulla sua flotta, salendo su una vettura, si recò dall’imperatore che trovò presso la casa di un cosacco, da dove ripartirono insieme per Kaydak dove li raggiungemmo l’indomani mattina (19 maggio).

 

 

L’IMPERATRICE

PONE LA PRIMA PIETRA DELLA

CITTA’ DI

EKATERINOSLAFF

 

 

F

urono montate le tende nel luogo dove doveva sorgere la città di Ekaterinoslaff e si ascoltò la messa nella tenda imperiale e le loro maestà  in presenza dell’arcivescovo posarono la prima pietra della citttà, la cui posizione è estremamente ridente, posta  su un’altura da dove si vedono le anse sinuose del Borysthene e le isole boschive che abbelliscono questa parte del suo corso.

Ci recammo a pranzo nella casa di campagna del governatore della provincia posta sul bordo del fiume di fronte alla più famosa delle cateratte che per lungo tempo han  fatto considerare questo passaggio come assolutamente impraticabile per il commercio.

Lasciando Ekaterinoslaff  entrammo in quella che in Russia è chiamata steppa, verde e solitaria prateria, totalmente priva di alberi, rotta solamente a lunghi intervalli da qualche collinetta totalmente nuda, ai piedi della quale serpeggiavano dei deboli ruscelli; si percorrevano sette o otto leghe senza incontrare un uomo, una casa, un arbusto.; delle greggi di montoni o dei branchi di cavalli, che si lasciano errare tutto l’anno,  animavano questa profonda solitudine .

Arrivando a Kherson  attraversammo su ponte il piccolo fiume Kaminka che serviva da confine tra i tatari Nogais e i cosacchi.

Questo deserto di cento leghe che avevamo attraversato, rese più grande e gradevole la vista di Kherson che offriva uaa fortezza appena finita; delle caserme per ventiquattromila uomini, un ammiragliato con tutti i suoi magazzini: un arsenale  guarnito  di seicento pezzi di cannone; due vascelli da guerra e una fregata pronta a sparare; degli edifici pubblici che si elevavano dappertutto alla fede;  molte chiese dalla nobile architettura; infine una città  commerciale che conteneva duemila abitazioni, dei negozi carichi di mercanzia giunta dalla Grecia, da Costantinopoli, dalla Francia e infine duecento vascelli di commercio che mollemente erano giunti nel porto.

 Se si aggiunge l’attività di diciottomila lavoratori, una gran pompa militare, il concorso di molti  ministri e consoli stranieri e dei viaggiatori, si comprenderà  facilmente come un tale spettacolo, in una contrada che la Russia  ha conquistato pacificamente, dovette esaltare l’amor proprio dell’imperatrice e giustificare la sorpresa di quelli che la seguivanoe e gli elogi indirizzati al talento di Potemkin.

E’ vero però che dopo il primo momento di stordimento una riflessione attutì l’entusiasmo iniziale, che fece rilevare che la sua posizione non era ottimale in quanto non permetteva ai vascelli di penetrare nel Dniepr a pieno carico, che non erano state costruite banchine né magazzini per il commercio, i tribunali non erano ben organizzati e rendevano male e lenta la giustizia; infine le paludi che circondavano la città  rendevano malsano e mortale il soggiorno nella città.

Feri  rilevare queste osservazioni al principe Potemkin il quale era al corrente di tutti questi inconvenienti e avea dei progetti per rimediarvi, particolarmente per la bonifica delle paludi e aveva già chiesto e ottenuto il danaro necessario per provvedervi.

I primi momenti del nostro soggiorno a Kherson furono impiegati nella corsa  alle grandi udienze, ai pranzi per centoventi coperti, ai balli e concerti; l’imperatrice ci portò in una casa di campagna a quattro keghe da Kherson; il giorno dopo vedemmo il mare in sua presenza e un vascello  di ventiquattro cannoni, uno di sessantasei e una fregata.  

Il giorno dopo vi fu un ballo per la Corte in un palazzo costruito per lei con maggior eleganza e minore solidità.

L’imperatrice aveva progettato di recarsi a Kilbourn che si trovava di fronte a Oczakoff, territorio militasre turco, ma si rese conto che sarebbe sembrata una pvocazione  e rinunziò; infatti  giunse  una  squadra ottomana di quattro vascelli e dieci fregate che si recarono nel Liman presso Oczakoff che la convinsero a rinunziare.

 

 

KISILKERMANN

LA CITTAì DELLE RAGAZZE

 

 

P

artimmo da Kherson (29 maggio) per  recarci a Kisikermann posta sulla riva destra del Dmiepr a settantacinque vertse a nord.est di Kherson; questa picvcole cittò apparteneva oltretutto ai tatari nogais ed ora faceva parte della nuova Russia; i greci che la fondarono la chiamarono Olòviopol; gli zars le dettero il nome di  Belaiaveja, poi Berislaff e i tatari quello di Kisikermann che nella loro lingua significa città delle ragazze; essa fu volta a volta, preda dei kozari, petscheneghi e tatari;  le paludi salate e l’abbondante pietrificazione lasciano intendere che in altri tempi la piana era ricoperta dal mare.

Passammo sulla riva opposta dove l’imperatrice trovò un gruppo di tatari delle famiglie più distinte che era venuto a renderle omaggio e per servirle da scorta. Di là per giungere a Perekop attraversammo il gran deserto di Nogaïs; in questa immensa prateria, priva di alberi, si trovava una sola vestigia del lavoro dell’uomo, un antico ponte di pietra bianca costruito sul piccolo fiume  Kalentchak.

I tatari come gli arabi erano divisi i tribù e gli uni abitavano le città della Crimea, gli altri sempre erranti, percorrevano le steppe  con le loro  numerose tribù; quando il loro paese fu preso dall’imperatrice, essi l’abbandonarono e si rifugiarono nel Kuban; noi  non vedemmo quindi che un piccolo numero delle loro tende; dei cavalli, delle tribù e qualche cammello davano ancora un pò di vita a questo uniforme paesahìggio.

Per di più il principe Potemkin per rendere più colorito il paesaggio e animarne la solitudine, offrì allo sguardo di Caterina intorno a un campo di tende eleganti e riccamente abbellite, che aveva fatto preparare per la sovrana, fece apparire  all’improvviso cinquanta squadroni di cosacchi del Don. I loro costumi asiatici e pittoreschi, la celetità delle loro manovre. l’agilità dei loro cavalli, le loro corse, le loro grida, le loro lance, fecero dimenticare momentaneamente le steppe e passare gradevolmente delle ore che altrimenti sarebbero state lunghe e tristi.

L’indomani giungemmo a Perekop, stretto istmo che separa il mar Nero dal mar di Azof; una muraglia e un fossato si estendono dall’uno all’altro mare; si vede un forte quadrato e in pietra e un borgo composto da qualche baracca. Perekop è l’entrata, la porta e la chiave della penisola, la parte piatta di questa penisola di Crimea alla quale l’imperatrice  conquistatrice veniva a rendere l’antico nome di Tauride.

La penisola di Crimea è circondata a est  dal mar d’Azof, a sud e a ovest dal mar Nero  e chiusa a nord dalle pianure deserte della antica Scizia. La parte piatta di questa penisola, malgrado la fertilità del terreno, è quasi deserta come le steppe del Nogaïs; la parte montagnosa e meridionale dove si entra dopo aver attraversato la riviera chiamata Salguir, offre un colpo d’occhio differente; l’aria è sana, il cielo  puro, la natura feconda, la maestà di questi monti dove qualcuno si eleva a centodiciotto piedi di altezza è imponente.

Nella parte opposta delle montagne si prova il calore del clima di Napoli e di Venezia

mentre a nord, nella pianura arriva il vento che dal mar Baltico giunge al Ponto Eusino, vale a dire che nello spazio di ottocento leghe si avverte il rigore del freddo delle zone glaciali, tanto che l’imboccatura del Diniepr alcune volte è ghiacciata. di modo che fino alle montagne si ha il clima della Russia, per passare in poche ore a quello dell’Italia.

Tutte le coste offrono in buona parte ai naviganti delle rade sicure e attesa l’estensione della Tauride, la varietà delle sue produzioni e tutti i mezzi di difesa che la prodigiosa natura offre,  hanno fatto sì che tanti popoli se ne sono disputati il possesso.

 

LA CRIMEA

NELL’ANTICHITA’

 

 

I

 più antichi popoli che l’hanno abitata sono stati i Kimeri o Kimbri-Cimbri che hanno dato il loro nome al Bosforo: Kimerion o Cimmerion; poi gli scythi s’impadronirono delle pianure, ma non riuscirono a impadronirsi delle momtagne.

I kimmeri mantennero per lungo tempo il nome di tauri da cui derivò il nome di Tauride alla penisola. Il commercio attirò i greci e seicento anni a.C. i milesiani stabilirono sulle coste orientali le colonie di Panticapea nel luogo dove si trova attualmente Kertch e Theodosia.

Gli Eraclidi del Ponto fondarono sulla costa occidentale l’antica Kherson o Eupatoria. I greci di Mitilene fondarono a nord-est nel Bosforo e all’imboccatura del Kuban un reame che un principe chiamato Spartaco fece fiorire. Alleato degli ateniesi egli cacciò gli sciti. Quattrocento anni a. C. i tauri, rimasti nel paese, accresciuti di numero, cambatterono i greci e li cacciarono in gran parte dai loro possedimenti; ma centododici anni prima dell’era cristiana, il famoso Mitridate, re del Ponto, soggiogò tutti queti popoli e conquistò la Tauride.

Questo eroe, vinto dai romani lasciò gli avanzi del suo trono al suo molle successore Farnace che non potette né resistere ai suoi nemici, né governare il suo popolo, né conservare lo Stato che gli avevano reso i romani quando costoro apparvero per la prima voltan in Tauride.

Gli alaniani o alani, popolo barbaro, se ne impadronirono e cacciarono totalmente i tauri. Nel secondo secolo della nostra era i goti invaseo questo paese e furono essi stessi soggiogati dagli ungari o unni che finirono di distruggere il regno del Bosforo. Nel settimo secolo i kozari a loro volta espulserro i greci; nel 640 l’imperatore greco Teofilo, unì al suo impero il Chersoneso con tutte le città e le colonie greche i cui resti si trovavano in Tauride, ma esse furono obbligate a pagare un tributo ai kozari.

Più tardi, diversi popoli barbari, i comani, i peceneghi, i polozvisiani, desolarono queste contrade con le loro invasioni; infine i tatari nel tredicesimo secolo divennero i sovrani della Tauride che chiamarono Krim (fortezza). Le loro tribù erranti occuparono il gran deserto, tanto che Menguely-Guerray alla testa delle tribù sedentarie pose le fondamenta  del regno dei khan di Crimea; essi risiedevano nella città che  oggi si chiama Star-Krim (vecchia fortezza).

I greci e i goti stabiliti in Crimea rimasero tributari dei tatari; essi facevano gran commercio con i veneziani ma i genovesi se ne appropriarono favoriti dall’imperatore Michele Paleologo e in seguito a sanguinose vittorie si affrancarono del ttributo pagato ai tatari.

Caffa, Soudak e Balaclava erano le centrali e i depositi delle loro immense ricchezze; Caffa o Teodosia  fu famosa per la sua popolazione e per la sua opulenza; ma alla fine del quindicesimo secolo i tatari, per lungo tempo indeboliti dalle loro divisioni, si riunironoe e con il soccorso dei turchi, annientarono la potenza dei genovesi.

I turchi non tardarono a rendersi padroni di tutta la Crimea e lì, come dappertutto, la loro dominazione  ricoprì le contrade di rovine; bandito il commercio, annientata l’agricoltura, immerse questo sfortunato paese nelle tenebre più profonde di quelle del tempo degli sciti e dei tatari.

Nel 1478 Maometto II nominava khan Menguely-Guerray, discendente da genovesi e la Crimea rimase nelle mani di questa dinastia, vassalla del gran signore, fino alla cessione con il Kuban e l’isola di Taman a Caterina II.

 

 

LE LINEE

DI PEREKOP

 

 

I

l 30 giugno oltrepassammo le famose linee di Perekop, malgrado la loro posizione e la profondità del suo fossato che non avevano mai potuto arrestare la marcia di alcun nemico; visitammo subito la sua fortezza d’Oro che le difende; appena uscimmo , vedemmo un corpo di cavalleria tatara, riccamente vestita e armata che si presentò davanti all’imperatrice per farle da scorta d’onore. L’imperatrice che aveva le idee grandi, elevate e artdite, durante il suo soggiorno in Crimea non aveva voluto essere scortata che da questo corpo di tatari, sdegnosi del suo sesso e nemici dei cristiani che lei aveva soggiogati.

Continuammo la nostra marcia  fino a fermarci in un luogo designato Aibar dove era stato allestito un campo e costruito una casa per l’imperatrice.

Ripreso il viaggio giungemmo alla città di Bachtchi-Sarai dove tutta la corte fu ospiatata nel palazzo degli antichi khan; fondata nel sedicesimo secolo dai tatari, la città è posta in uno stretto vallone in una gola sul fiume Tschourouk; le sue case, assai meschinamente costruite si estendono ad anfiteatro sul pendio di alte montagne che lo circondano con le rocce che sembrano volerle schiacciare; è uno dei posti più singolari che possa eccitare la curiosità di un visitatore.

Quando ci apparvero i minareti di Bachtchi-Sarai l’imperatrice dovette godere di piacere al pensiero di sedersi su un trono musulmano conquistato con le sue armi.

Si arriva alla città, o piuttosto si scende,  per una strada estremamente ripida chiusa ai due lati dalle rocce; i cavalli della pesante carrozza dell’imperatrice presero la rincorsa e si precipitarono tra le rocce; tememmo che la carrozza si rovesciasse; inutili furono gli sforzi deintatari per fermare i cavalli ce si fermarono all’improvviso,  all’entrata di una strada; Caterina, mi riferì l’imperatore, non aveva lasciato trasparire alcun segno di paura.

La città, sebbene spopolata, conteneva ancora novemila abitanti, quasi tutti musulmani; la politica di Caterina non incrementò né il loro commercio, né il loro culto, lasciò che seguissero  le loro antiche abitudini, di sorta  che si poteva pensare di trovarsi in una città dellaTurchia o della Persia.

A un quarto di lega dalla città si trova su una montagna un borgo esclusivamente popolato da giudei karaiti (affini ai tatari) che si possono considerare i più antichi abitanti della penisola; costoro erano i soli giudei che osservavano la legge di Mosé e non credevano al Talmud.

A cinque vertse più lontano  si trova un’altra montagna  isolata e molto alta che ha la forma di un cono e si chiama Tiap-Kairmen; nella viva roccia in cui è formata ha tre diverse caverne; nei dintorni della città si trovano sparse delle belle case di campagna appartenenti ai principi tatari e loro donne.

Con l’imperatrice rimanemmo a Bachtchi-Sarai cinque giorni, poi c’incammminammo per una gradevole valle e attraversammo il fiume Cabarta le cui rive sono come dei deliziosi giardini; giungemmo per pranzo a Inkerman, in precedenza chiamata dai greci Teodora e dai turchi Actiar dove alte montagne si estendevano a semicerchio formando un golfo profondo ai bordi del quale sorgeva l’antica Kherson e la città di Eupatoria. Questo porto e questa celebre rada del Chersoneso Taurico, più tardi chiamato Heracleotico, aveva ricevuto dall’imperatrice il nome di Sebastopoli. La vista delle coste della Tauride, consacrate a Ercole e Diana, risvegliò in noi il ricordo favoloso della Grecia e il ricordo storico dei re del Bosforo e del regno di Mitridate.

Durante il pranzo dell’imperatrice e imperatore, al suono di una musica armoniosa furono aperte all’improvviso le finestre di un gran balcone e fummo colpiti dalla vista sul mare di una flotta formidabile, costruita, armata  e equipaggiata in due anni, in ordine di battaglia, di fronte all’appartamento dove stavamo pranzando; questa armata salutò la  sovrana col fuoco di tutti i suoi cannoni quasi ad annunziare che il Ponto Eusino aveva una dominatrice. Successivamente l’imperatrice col seguito fu imbarcata e passò in rassegna i vascelli della sua armata navale, ammirando le larghe e profonde anse che la natura sembrava aver creato ai fianchi di questa rada per fare il più bel porto del mondo conosciuto.

Dopo aver percorso lo spazio di due leghe, sbarcammo ai piedi di una montagna sulla quale si elevava ad anfiteatro la Nuova Sebastopoli fondata per Caterina: di già diversi magazzini, un ammiragliato, del trinceramento, quattrocento bastimenti in allestimento, una folla di operai, una forte guarnigione, due ospedali, diverse porte per il carenaggio, per il commercio e per la quarantena, davano a questa nascente creazione l’apparenza di una città imponente.

Ci sembrava inconcepibile che a ottocento leghe dalla capitale, in una contrada appena conquistata, il principe Potemkin avesse trovato la possibilità di formare, in due anni, un simile stabilimento, costruire una città, costruire una flotta, elevare dei fortilizi e riiunire un gran numero di abitanti: era realmente un prodigio di attività.

A una lega a sud-ovest di  Sebastopoli si trovano le rovine dell’antica Kherson vaste rovine di magnifici edifici. Questa città costruita seicento anni a.C. era una delle principali città dei re del Bosforo e dopo Mitridate fu senza dubbio, testimone di sanguinosi e cruenti trionfi che determinarono la sua gloria. Costantino il Grande la affrancò di tutti i tributi nel 322; la sua indipendenza accrebbe la sua ricchezza a tal punto, che essa dominava su tutte le città meridionali della penisola.  

Più lontano, all’estremità di un promontorio che si eleva a pricco sulle onde di un mare profonfo, l’immaginazione cerca di trovare l’antico tempio di Diana Tauride; Ifigenia, Oreste, Pylade sembravano apparire ai nostri occhi e abbellire per noi la storia di quei tempi barbari; i greci chiamavano ancora questo luogo Parthenion e dicevano che lì vi era un tempio consacrato alla dea vergine; oggi si trova un monastero dedicato a san Giorgio, presso il quale vi è un sentiero tagliato nella roccia che dopo il sommo della montagna, conduce a un eremitaggio costruito sulla punta  di un costone che avanza direttamente di quindici tese e staccandosi dalla costa si affaccia sul mare. Vi hanno costruito diverse celle e una chiesa tagliata nella roccia che si illumina con l’apertura della porta e di due strette finestre.

d Tornammo a Bachtchi-Sarai da dove lasciammo il palazzo del khan e il suo serraglio e arrivammo ai bordi del Salgir nella città di Achmetschet, da Caterina chiamata Sympheropol, ora capitale della penisola; essa è posta nel mezzo di una piana  circondata a qualche distanza da colline le cui valli sono popolate di ricchi boschetti, di ridenti giardini, di maestosi pioppeti a forma piramidale.    

Achmetschet è la residenza dei sultani Kalgas primi ufficiali dei khan di Crimea. In questa città, come in tutte le altre in cui soggiornammo in tutta la durata del nostro viaggio, erano state  preparate per l’imperatrioce delle magioni comode, eleganti e spaziose.

 

 

 A SYMPHEROPOL

POTEMKIN GRANDIOSO

NELLE SUE SORPRESE

 

 

A

rrivati a Sympheropol, ci recammo a Karasou-Bazar che i greci chiamavano Mavron-Kastron; questa città posta in una larga vallata ai bordi del Karasu è una delle più grandi della Tauride; non si può ammirare che la bellezza della sua posizione; le case sono come tutte quelle dei tatari, costruite irregolarmente, molto  basse e senza alcuna simmetria; essa apparteneva  come Sympheropol al sultano Kalga.

In questi luoghi si notava l’infaticabile attività di Potemkin che aveva fatto costruire dai suoi soldati, una bella e larga strada e sulla riviera del Karasou aveva creato un vasto giardino inglese con al centro un  elegante palazzo.

Quando Caterina scese dal palazzo per godere della freschezza dell’aria, della limpidezza dell’acqua e del profumo dei fiori, all’improvviso vide, nel momento in cui il sole spariva in fondo alle cupe vallate, in un orizzonte di cinque leghe di diametro, illumibarsi tre cordoni di fuoco di diversi colori e, in mezzo a questo brillante orizzonte una montagna conica il cui centro sfavillante formava in un tratto luminoso le cifre dell’imperatrice e dalla sommità della montagna esplodere magnifici fuochi d’artificio, coronati da un bouquet di trecentomila razzi.

L’indomani di questa festa la cui pompa aveva momentaneamente tratto i musulmani dalla loro orgogliosa freddezza e apatica indifferenza, Caterina, avendo passato in rassegna un corpo numeroso di truppe russe, partì come sempre, con uno squadrone di tatari e attraversate le montagne si diresse a Soudak; prima di arrivare, attraversammo la borgata greca di Toplic e un villaggio tataro chiamato Elbouzi. Soudak offre ai naviganti un buon porto; questa città posta a cinquantacinque vertse da Karasou-Bazar, poggia su una roccia elevata e isolata a poca distanza dal mare; questa roccia è circondata per tre parti da montagne  e precipizi molto profondi.

I greci la chiamavano Sidagios, gli italiani, Soldai, i tatari Soudak; dopo il 1204 godette fino al quattordicesimo secolo di una piena indipendenza; più tardi divenne tributarioa degli ungari e dei tatari; i genovesi se ne impadronirono ma presto furono cacciati dai turchi; non rimanevano  che delle rovine di diverse torri e di tre forti a testimoniare la sua antica grandezza.

Le vigne di Soudak erano preferite a quelle di tutta la penisola esse occupano una vallata di tre leghe; i suoi ceppi sono mescolati confusamente ad alberi da frutta di tutte le specie, formando un vasto giardino naturale che colpisce gradevolmente lo sguardo soprattutto per il contrasto di questa prospettiva con quella delle alte montagne, delle fragorose cascate e delle sobrie foreste che la circondano.

Continuammo il nostro viaggio, verso la parte orientale della Tauride e giungemmo a Star-Krim a venti vertse da Soudak, alla stessa distanza da Theodosia.

Star-Krim conosciuta nel sesto secolo, divenne nel tredicesimo una delle principali città della Tauride; il suo commercio, molto esteso, cadde in decadenza all’epoca delle invasioni della Tauride; nel frattempo qualcuno dei khan vi aveva posto la sua residenza.

I greci la chiamavano Karca o Karkoupol, i tatari Star-Krim che significa vecchia fortezza;  l’imperatrioce le diede il nome di Levkopol. Percorremmo  la sua vallata molto estesa  oltre la quale si trova un monte elevato da dove si può vedere il Mar Nero, il Mar d’Azof e le Sivache o mar puttrido.

 

 

CAFFA L’ANTICA

THEODOSIA

 

 

A

rretrando di poco arrivammo in qualche ora alle mura o piuttosto alle rovine delle mura di Theodosia; essa portò questo nome armonioso al tempo della sua grandezza; i tatari colpiti dallla sua magnificenza la choamarono Kerim-Stambouly, vale a dire Costantinopoli di Crimea. Dopo la sua distruzione fu chiamata Caffa; Caterina le diede il suo antico nome, ma senza sperare di darle il suo antico splendore.

Theodosia, fondata dai milesiani è situata su un costone pietroso e sabbioso presso la riva del mare; la sua vasta cinta è circondata da alte muraglie guarnite di torri; quando le vedemmo cominciavano a cadere in rovina, La sua posizione favorevole al commercio la elevò al rango delle principali città dell’Oriente. Il suo porto è pieno di un gran numero di vascelli che trasportano le produzioni delle rive del Don, del Volga e delle coste della Colchide, le pellicce del Nord, i cuoi dorati della Russia, il caviale, lo storione si vendevano con profitto in Grecia  e in Italia.

Caffa per i musulmani è un grande mercato di schiavi che provengono dalla Circassia, dal Caucaso e dalla Georgia. La sua popolazione si è accresciuta rapidamente con gli abitanti del regno del Bosforo che sono arrivati  a stabilirsi numerosi.

Nel primo secolo della nostra era gli alani la distrussero, dopo, gli abitanti del Bosforo  rilevarono le rovine che furono loro disputate dai chersonesi; alla fine del tredicesimo secolo i genovesi, su ordine di Valdo Doria fondarono una nuova città che non tardò molto a divenire ricca, commerciale, grande, popolata e famosa. Quando la popolazione raggiunse quarantamila abitanti, divenne sede di un vescovo cattoòico e la sua giurisdizione si estese dopo Saraia sul Volga fino a Varna in Bulgaria; gli armeni ebbero anch’essi un vescovo e fondarono una grande scuola.

Nel quattordicesimo secolo i tatari l’investirono senza potersene impadronire in  quanto  il papa Clemente VI (1342-1352) aveva mandato un’armata di crociati per liberarla; fu in questo periodo che furono costruite le sue vaste fortificazioni.  

Più l’impero d’Oriente si avvicinava alla sua decadenza più Theodosia vedeva crescere la folla di greci cher andavano a cercare rifugio tra le sue mura contro le armate ottomane, ma alla fine dovette soccombere; dodici  anni dopo la presa di Costantinopoli da parte di Maometto II, Theodosia perdette la sua indipendenza e gran parte delle sue ricchezze. Essa fu ceduta ai tatari e per lungo tempo la loro dominazione fu dolce e tollerante.

Nel diciottesimo secolo  i russi istituirono  il porto di Taganrok che apriva un nuovo mercato a negozianti e navigatori; l’invasione della Crimea da parte dei russi (1771) agli ordini del principe Dolgoruki determinarono la fine della penisola e di Caffa. Quando Caterina saliva sul trono non vi era che l’ombra della celebre città, non vi erano che duemila abitanti che erravano tra le rovine di chiese e edifici sontuosi: nella città regnava il silenzio della distruzione.

Per distrarci  visitammo la penisola di Kertch; è una piana coperta da molti ruscelli e qualche macchia di boschi; vi si trovano  dei laghi salati. Kertch era chiamata dai greci Panticapea, più tardi, Bosforo; è’ situata ai piedi di una montagna e ai bordi del Cimmerion oggi distrutta dal Yenicalé;  la sua rada è vasta e sicura. Si dice che a Penticapea, a quattro vertse da Kerch, morì Mitridate; sulla sabbia si vedono dei cumuli piuttosto elevati; gli abitanti ritengono che uno di questi cumuli sia la tomba di Mitridate.

Quasi tutti gli storici ritengono che il figlio di questo re, l’infame Farnace, mandò il cadavere del padre a Pompeo che si trovava in Asia e che questo romano, degno della sua fama, avendo sparso di nobili lacrime i resti mortali dell’eroe, gli fece rendere con gran pompa, a Sinope, gli onori funebri.

Di Kerch non rimane che qualche chiesa, una fortezza e un piccolo numero di case di abitazione per pescatori; nessun avanzo di monumenti, nessun resto di colonne richiama il ricordo della sua antica grandezza. A cinque leghe più lontabo e all’angolo della penisola, si trova la fortezza di Yenicalé e qualche capanna i cui proprietari si occupano della pesca dello storione.

 

 

L’IMPERATORE GIUSEPPE II

PARTE DA KISIKERMAN

L’IMPERATRICE PROSEGUE PER

PULTAWA

 

 

Era nel programma dell’imperatrice di seguire la costa verso nord e visitare le città di Arabat, Marioupol, Taganrok Tcherskak, capoluogo dei cosacchi del Don e infine Azof, ma la stagione avanzata e gli impegni che la richiamavano nella capitale, le fecero cambiare programma.

Partimmo da Caffa e dopo aver attraversato le steppe della Crimea, l’istmo di Perecop e il deserto dei Nogais, arrivammo a Kisikerman dove l’imperatore si separò da Caterina per far ritorno a Vienna; noi arrivammo a Kremetchuk dove l’imperatrice si riposò con l’inseparabile Momonoff (*) e ci fermammo due giorni; qui il principe di Nassau ci lasciò per tornare in Francia.

Noi ripartimmo (18 giugno) per Pultawa dove per Caterina il soggiorno in questa località si presentava poco brillante; qui aveva avuto luogo (1709)  una famosa battaglia tra Carlo XII di Svezia e Pietro il Grande, il cui esito avrebbe potuto cambiare il destino della Russia che, se avesse perso, sarebbe precipitata nellle tenebre della barbarie, mentre, con la vittoria riportata si era elevata  al rango delle più grandi potenze del mondo.

La città era piccola. mal fortificata, poco popolata, senza monumenti di alcun genere che potessero ricordare l’avvenimento; essa è circondata da una piana dove si svolse la battaglia; vi trovammo accampati cinquemila soldati russi fatti venire da Potemkin.

Questi cinquemila soldati ci presentarono in coreografia la ripetizione della battaglia: essi si divisero in due squadre, una rappresentava i russi, l’altra gli svedesi che compirono con ordine e precisione tutte le manovre della battaglia con cariche impetuose e il fuoco vivo sostenuto dalla fanteria; non era stato tralasciato alcun particolare sulla fedele riproduzione della battaglia.

La gioia e la gloria brillavano negli occhi di Caterina: si poteva ritenere che il sangue di Pietro il Grande scorresse nelle sue vene; questo grande e magnifico spettacolo, opera di Potemkin, coronava degnamente il suo viaggio, nello stesso tempo storico e   romantico e nello stesso tempo di commemorazione dell’anniversario del venticinquesimo anno di regno di Caterina.

Il principe Potemkin le fece il dono di un collier di perle; lei ricambiò con un ricco regalo e fu prodiga di decorazioni per i generali e per gli uffciali; anche l'amministrazione civile ebbe una gran parte in questa munificenza.

Caterina partì da Pultawa per recarsi a Karkoff posta su un costone elevato presso i fiumi di Karkoff e Lopani a trecentosessanta leghe da Pietroburgo, fondata dai osacchi nel diciassettesimo secolo, allo scopo di farne una barriera contro le incursioni dei tatari di Crimea; conta dodicimila abitanti; il suo commercio è molto attivo e consiste in  sego, burro, cera e miele; la maggior parte delle sue case somo ancora in legno.

Potemkin si congedò per tornare a Krementchuk; attraversammo velocemente le province di Kursk e Orel, vedemmo le città di Bolgod e Oboian nelle quali si notavano i progressi della civilizzazione, dove l’imperatrice in precedenza avev fatto costruire degli ospizi, dei tribunali e delle scuole.

Kursk capitale del governatorato era ricca e popolata; i suoi abitanti ci mostrarono il convento di Zuamensk o dei Miracoli, così nominato per la fuga di un’armata straniera che aveva assediato la città, fuga ritenuta dai russi miracolosa; si contavano duemila  case, due scuole, una per giovani nobili, l’altra per borghesi, diverse concerie, qualche fabbrica; era famosa per la bellezza dei suoi cuoi; essa inviava la produzione della sua terra a Breslaw in Polonia; riceveva dalla Siberia e da Kiakta, frontiera della Cina, un gran numero di pelletterie.

Dopo aver lasciato questa città, l‘imperatrice si fermò a Orel dove soggiornammo; ci trovavamo ancora a duecentosettanta leghe da Pietroburgo e a novantadue da Mosca.

Orel è posta in una piana ridente tra l’Oka e l’Orlik; è una bella città, capitale del governatorato che porta il suo nome; oltretutto è anche fortificata.

Questa provincia è ricca di grano e caaapa; essa riceve i vini dalla Moldavia, dalla Tauride e da Astracan; conta diciassette parrocchie e tremila abitazioni sia in legno che in pietra, Caterina l’aveva abbellita con nobili edifici destinati ai tribunali e all’amministrazione.

Il fiume Oka, dopo un corso esteso, si congiunge al Volga presso Nijni-Novgorod. La gioventù di Orel offrì all’imperatrice un gradevole spettacolo; i ragazzi delle famiglie più distinte diedero con intelligenza, all’impertarice, uno spettacolo che sembrò piuttosto piccante.

Nelle province interne e del centro dell’impero la fertilità del terreno. l’attività del commercio e la dolcezza del governo di Caterina, accrescevano annualmente la loro prosperità, così gli omaggi ad essa resi, non avevano bisogno di essere sollecitati; essi ricevevano l’imperatrice come una madre e il popolo, da lei protetto contro gli abusi del potere dei signori, mostrava un entusiasmo ispirato dalla riconoscenza.

 

 

DOPO THUA  MOSCA

 E PIETROBURGO

 

 

C

ontinuando la nostra strada per Mosca non trovammo d’interessante che la città di Toula che era stata abbellita da Caterina, dove un gran numero di case in legno erano state sostituite da case in pietra e si dovette alla sua generosità la costruzione di una casa per trovatelli e una casa per invalidi. La città è in parte costruita su un’altura e in parte su una piana dove scorre l’Oupa. Fu in questa città che nel diciassettesimo secolo ebbe luogo una battaglia tra il falso Demetrio, il cui vero nome era Otrepieff e i  russi comandati da Shouisky che sconfisse l’impostore.

Questa città era conosciuta per  la manifattura delle armi che essa forniva all’armata russa e vi si lavorava l’acciaio e questa lavorazione, incoraggiata da Caterina, era giunta a un tal punto di perfezione che poteva rivaleggiare con le fabbriche inglesi.

Prima di arrivare a Mosca attraversammo città senza particolare importanza come Serpoukoff e Podol e giungemmo (4 giugno) a Kolumensky dall’aspetto imperiale a due leghe da Mosca dove l’imperatrice si riposò per tre giorni  prima di recarsi al Kremlino e ripartendo da Mosca per Pietroburgo si fermò a Petrowsky. 

A Mosca è facile immaginare quale fu la magnificenza delle feste che una numerosa nobiltà fiera e ricca aveva riservato all’imperatrice, che si somigliavano tutte con i gran balli senza gaiezza, i gran spettacoli senza interesse, dei versi di circostanza senza spirito, con eclatanti fuochi d’artificio che non lasciarono dietro di loro che il fumo, tanto danaro  e tanto tempo e fatiche perdute.

Si fecero feste anche per i mercantie e per il popolo  e per feteggiare i suoi venticinque anni di regno l’imperatrice rimise una parte delle imposte che dovevano essere pagate; a tutti quelli che l’avevano accompagnata Caterina regalò una medaglia con la sua immagine di profilo e sul retro la carta del viaggio in Crimea.

A Mosca era giunto Grigorij Aleksandovic Potemkin (1739-1791) il quale non si era potuto trattenere a causa di una guerra che aveva provocato con i turchi; ed è l’ultima volta che rivedrà la sua sovrana perché tornando in Crimea, fu colto da una morte improvvisa a cinquantadue anni (colpito certamente da infarto); questa morte improvvisa aveva fatto retenere che fosse stato avvelenato, ma esaminato il cadavere non fu trovata alcuna traccia di veleno.

Delle varie feste offerte a Caterina, merita di essere descritta la festa che il conte Scheremetoff, uno dei nobili più ricchi della Russia, offrì all’imperatrice in una delle sue terre.

Trovammo la strada brillantemente illuminata e l’mmenso parco illuminato in trasparenza da tanti colori; fu rappresentata a teatro una grande opera russa con musica e balletti (attori e ballerini erano stati presi dalla servitù adeguatamentee istruita e preparata, come si usava); la cena non fu meno sontuosa; mai, scrive Ségur, avevo visto tanti vasi d’oro e d’argento. porcellane, alabastro e porfido; infine ciò che vale la pena di credere è che l’immensa cristalleria che riempiva una tavola per cento coperti, era ornata e arricchita di pietre preziose e raffinate, di tutti i colori, di tutti i generi e di gran pregio.

Così i signori russi, da poco entrati nella civiltà, imitavano il patriziato di Roma in fatto di grandezza, seguito dalla decadenza; e allora  si poteva trovare a Mosca più di un Lucullo.

Alla fine di questo viaggio, scrive Ségur, ciò che non mi aspettavo era stato uno spettacolo che chiudeva la nostra marcia trinfale e romantica, con una nuova sorpresa: una flotta appena costruita, squadroni di cosacchi e tatari giunti dal fondo dell’Asia, delle strade illuminate, delle montagne di fuoco, dei palazzi incantati, dei giardini creati in una notte, delle caverne selvagge, dei templi di Diana, degli harem deliziosi, delle tribù nomadi, dei cammelli e dromedari erranti, dei voivoda di Valacchia, dei principi detronizzati del Caucaso, dei re di Georgia perseguitati, vennero a offrire i loro omaggi  e le loro preghiere alla  regina del Nord.

 

 

 

 

*) L’imperatore Giuseppe II su Momonoff aveva confessaato a Potemkin: “Non riesco a capire come questa donna, così fiera e desiderosa di gloria, mostra una strana debolezza per il suo giovane aiunate di campo che non è che un ragazzo viziato”.

Momonoff era divenuto amante di Caterina, dopo Yermoloff; i due erano giovani bassi ufficiali che Potemkin (sapendo come sarebbe finita!)  aveva mandato da Caterina, incaricati di qualche commissione, per dare a Caterina l’occasione di vederli; Caterina dimenticando la commissione prese come amante prima Yermoloff e poi Momonoff il quale fu seguito dall’ultimo amante, Platon Zouboff, ufficiale della guardia a cavallo..

Momonoff per la sua leggerezza finì in Siberia; il racconto è intrigante e lo riportiamo.

Momonoff era amato dall'imperatrice ma lui non la ricambiava. Caterina aveva tra le sue damigelle d'onore la figlia  dwel principe Scherbatoff giovane e bella  che aveva un deboòe per la galanteria; Mormonoff non tardò a farsi prendere dal suo fascino e a farsi amare; la sua passione non aveva ancora superato la fase del rispetto, quando un giorno sentì Potemkin vantare le grazie della principessa Scherbatoff.

Momonoff fremette di paura: conosceva la potenza di Potemkin e sapeva che gli bastava esprimere un desiderio per vedelo compiuto. Corre a gettarsi ai piedi della principessa e le racconta della sua inquietudine; mentre lei lo rassicurava, giungeva la notizia della partenza di Potemkin.

La faccendo non finiva qui ed ebbe ancora un lungo strascico perché ne era venuta a conoscenza tutta la Corte, solo Caterina ne era all'oscuro e solo la gelosia dei cortigiani la tolse dalla sua cecità.

Caterina era stata avvertita che Momonoff la tradiva e pur ritenendosi offesa, la dissimulò; era l'estate del 1789 e la Corte si trovava a Czrskoie-Zelo e doveva essere presentata all'imperatrice la figlia del conte Bruce, una delle più ricche ereditiere dell'impero.

Caterina approfittando di questa occasione disse a Momonoff che voleva fargli sposare la giovane contessa; Momonoff la supplicò di non chiederglielo; l’imperatrice glie ne chiese il motivo: Momonofff era imbarazzato, lei inisistette e Momonoff cadendo ai suoi piedi le disse di  esseresi  impegnato con la principessa  Scherbatoff: l’’mperatrice non volle sapere altro, i due amanti furono sposati il giorno dopo e si stabilirono a Mosca.

Momonoff invece di essere riconoscente verso l'imperatrice, ebbe l'imprudenza di raccontare alla moglie la sua relazione con la sovrana e la moglie con altrettanta leggerezza, offensiva per l'imperatrice,  la raccontò in giro.

L'imperatrice si vendicò in maniera terribile. Mentre dormivano giunse il capo della polizia, con un ordine dell'imperatrice; egli li lasciò in compagnia di sei ragazze e si ritirò nelle vicinanze. Le sei ragazze, o piuttosto ragazzi travestiti, afferrarono Monomoff, lo spogliarono completamente e lo obbligarono a stare nudo in ginocchio; dopo poco entrato il capo della polizia gli disse: Ecco come l'imperatrice punisce la prima indiscrezione; per la seconda  si è mandati in Siberia e Momonoff finì in Siberia

 

 

 

FINE