GL’ITALIANI
SECONDO LEOPARDI
Superficiali, cinici,
sempre pronti alla
derisione
di tutto e di tutti;
la loro vita è senza prospettiva, senza occupazione,
senza scopo,
ristretta al solo presente.
a cura di
Michele E. Puglia
SOMMARIO:
L’ITALIA OGGI; PREMESSA, LA SOCIETA’ ITALIANA; LA PUBBLICA
OPINIONE, LA VITA DEGLI ITALIANI; IL CINISMO; LA DERISIONE; NON RISPETTANDO GLI
ALTRI NON SI E’ RISPETTATI; LA CONVERSAZIONE; IL BENEFICIO DELLA
CIVILTA’ DEI LUMI; GLI USI E COSTUMI; LA NATURA DEL CLIMA E
DEL CARATTERE NAZIONALE: POPOLI
SETTENTRIONALI E MERIDIONALI
L’ITALIA OGGI
(2007)
I |
l saggio di Leopardi scritto nel 1825, è più attuale che mai dal momento che la
società italiana è peggiorata di molto rispetto alla sua epoca e il degrado
sociale e morale è da considerare irreversibile e senza rimedio.
LA DIFESA DEI FIGLI
Partendo dal nucleo fondamentale della famiglia,
ci troviamo con genitori latitanti nella educazione dei propri figli, che tanto
meno inculcano principi morali e neanche
più demandano la scuola (in grave stato di degrado) perché, come abbiamo potuto
apprendere dalle cronache, quando i loro ragazzi vengono ripresi dagli
insegnanti, la loro reazione non è più
quella di un tempo, in cui si dava ragione agli insegnanti, ma è di difesa a
spada tratta dei figli, facendo ricorso a denunce … quando non si arriva alla
punizione diretta dell’insegnate, aggredendolo e malmenandolo.
I PIU’ MALEDUCATI
Col risultato che questi giovani italiani sono i più
maleducati in Europa e i peggiori a scuola nelle materie umanistiche,
scientifiche e matematiche (e i bambini coccolati e supernutriti hanno il
primato del sovrappeso, destinato a trasformarsi in obesità).
IL BULLISMO
Proprio per questa latitanza di genitori nella
educazione dei figli si è sviluppato il fenomeno per buonismo definito “bullismo”, ma altro non è che comune
teppismo e delinquenza minorile di chi si fa forte dell’appartenenza al gruppo
(lo chiamano “branco” come per le
bestie), contro un singolo, debole e inerme. I genitori ne sono orgogliosi? E
si domandano come potranno finire i loro bulli
da grandi?
LE ASPIRAZIONI
E così questi giovani crescono senza valori,
senza speranze e senza futuro, e se
ciò non bastasse le loro aspirazioni sono futili
e vuote: un’indagine tra quindicenni ha
rivelato che la loro maggiore aspirazione è quella di fare i calciatori, mentre quella delle quindicenni è di fare le veline... e una volta raggiunto il
traguardo, le veline - dopo il “calendario” - che costituisce il
passaggio obbligato che sostituisce la frequenza all’accademia, e si sentono
promosse “attrici”, il loro ideale sono i giocatori!
E con queste aspirazioni tutti i giovani sono protesi verso
l’assurda mentalità del consumismo e del divertimento a tutti i costi. In
questo contesto la TV fa la sua parte dando pessimo esempio imitativo ed
educativo con applaudite ed anche elogiate trasmissioni, che eccellono per
insipienza e volgarità, con programmi che tendono ad esaltare discutibili
personaggi di basso livello culturale in cui questi giovani, sguaiati e
scomposti, sfaccendati e bighelloni, interpretando se stessi nelle fattorie,
sulle isole o come
grandi fratelli, ottengono un facile successo mediatico.
PAESE ARRETRATO E INVECCHIATO
L’Italia di oggi si presenta come paese arretrato
e invecchiato, nella popolazione (con una classe politica immutabile, non al
passo con i tempi e inossidabile di fronte alle istanze più avanzate dei
cittadini), nel patrimonio edilizio (scuole, ospedali, carceri) e nelle
infrastrutture.
LE UNIVERSITA’
Le università, cresciute di numero fino
all’inflazione (con la conseguente espansione del baronato esteso ad intere
famiglie), invece di incrementare la ricerca, le scienze, la matematica
(malamente insegnata nelle scuole) e le tecnologie di cui il paese avrebbe
tanto bisogno, continuano a sfornare laureati nelle facoltà umanistiche,
particolarmente in giurisprudenza (dove con i vecchi e superati sistemi di
insegnamento, si formano futuri legulei che andranno ad ingrossare la macchina
burocratica che blocca qualsiasi sviluppo)
e nelle lettere, destinati a finire nelle file dei disoccupati
o dei precari.
L’ILLEGALITA’
L’illegalità è diffusa in tutto il paese che
appare come una terra di nessuno, in cui sembra che tutto sia permesso, come se
le leggi, anche in eccesso (ve ne sono duecentomila contro le diecimila della
Francia), non esistessero. Ognuno fa ciò che riesce ad inventarsi e più gli
aggrada: partendo dal basso, si va dalle piccole truffe nei confronti della
Sanità e degli Enti previdenziali, che pagano, pensioni a persone defunte o a
falsi invalidi e le indennità di disoccupazione per quelli che lavorano in
nero, alle truffe televisive. In alto troviamo una finanza malata perché
fondata sulla speculazione (con intrecci societari che si rivelano scatole
vuote). I c.d. imperi finanziari si
concludono in truffe, come hanno dimostrato i ben noti crack che non si possono escludere anche
per il futuro, perché dovuti sia a
mancanza di controlli (che non possono essere efficaci per le commistioni tra
controllori e controllati), sia al male tutto italiano delle interferenze della
politica che dovrebbe star lontana dalla finanza. Chi ne fa le spese sono i
risparmiatori. Vi sono poi le truffe milionarie nei confronti dell’Unione
europea, in cui l’Italia batte ogni primato.
Il potere di acquisto dell’euro viene eroso da
aumenti ingiustificati e speculativi di tutti i generi compresi gli alimentari
che risultano essere i più alti d’Europa, o della benzina, assolutamente fuori qualsiasi
controllo, con l’impotenza del Governo che, anche quando la concorrenza si
svolge in libero mercato, dovrebbe avere
il dovere di controllare e punire gli abusi.
LA CORRUZIONE
Quanto alla corruzione l’Italia è ai primi posti
(come denunciano le organizzazioni internazionali). Vi sono esempi eclatanti di
corruzione diffusa a tutti i livelli in cui la imprevidenza, inefficienza e
assenteismo della pubblica amministrazione ha portato al degrado dell’ordine
pubblico e a quel degrado igienico-sanitario che abbiamo visto emergere nella
città di Napoli (del degrado del caos del traffico e inquinamento di Roma non
se ne parla, ma non sono da meno) e nell’intera Campania (tutta nelle mani
della camorra che con le discariche illegali ha inquinato tutto il territorio e
si è appropriata dell’intero settore alimentare, in genere tutto avvelenato,
dalle mozzarelle di bufala al pane),
dove i più diretti responsabili non hanno sentito il pudore di dimettersi,
dichiarando senza alcun imbarazzo e con arroganza che non si sarebbero
dimessi…come se lo sperpero di miliardi e i gravi e irreparabili danni
all’ambiente e all’immagine, fossero stati provocati dagli altri. In mezzo al
marasma della spazzatura, di caos del traffico e di smog di Napoli, veramente
comica, (sarebbe piaciuta a Scarpetta e De Filippo) è stata l’idea “del divieto di fumare nei parchi pubblici
in prossimità di gestanti e neonati”!
L’INCENDIO DEI BOSCHI
Il caso degli incendi dei boschi denota lo stato
di abbandono del patrimonio dello Stato esposto al gioco perverso di quelli che
con il solito buonismo italiano sono chiamati “incendiari” invece che con il giusto nome di “criminali”. Gli incendi estivi si contano a centinaia giornalieri
(quasi tutti nel sud, proprio nelle regioni dove i vigili del fuoco si contano
a migliaia), incendi dovuti per la massima parte a speculazioni edilizie che
avvengono con il disimpegno dei sindaci che non redigono le mappe delle zone
incendiate e poi
rilasciano le licenze edilizie, legalizzando l’abusivismo.
LA CIRCOLAZIONE STRADALE
Le responsabilità dei Sindaci toccano anche la
materia della circolazione stradale e in particolare le patenti: la maggioranza
dei comuni del Sud non comunicano all’Ufficio Centrale delle patenti le
contravvenzioni che prevedono la detrazione del punteggio…e ciò
nell’indifferenza della magistratura e degli organi dello Stato che non prendono
provvedimenti, con la responsabilità anche delle Polizie Locali, assieme a
quella dei Sindaci che per motivi clientelari non fanno osservare le minime
disposizioni di sicurezza della circolazione relative ai caschi per i
motociclisti e alle cinture per gli automobilisti.
IL SISTEMA GIUDIZIARIO
In tutto questo caos brilla per inefficienza il
sistema giudiziario italiano che proprio non funziona se il 90% dei reati
rimangono impuniti….mentre, stranamente abbiamo delle carceri stracolme con
oltre cinquantamila detenuti (l’indulto per sfoltirle si è rivelato un
fallimento), contro una capienza di trentamila condannati o in attesa di
giudizio. All’estero dove non facciamo bella figura, dicono che in Italia si
viene arrestati prima del processo e liberati dopo! E ciò avviene perché non vi
è certezza della pena, col risultato che oltre a quelli che dai paesi dell’Est
vengono per lavorare, altri vengono deliberatamente per delinquere sicuri di
farla franca (e così l’Italia tra i primati negativi mantiene in Europa quello
delle rapine in banca e delle rapine in villa).
INUTILE PENSARE A UNA RIFORMA
Inutile pensare a una seria riforma di
ammodernamento della magistratura (la maggior parte dei magistrati scrive le
sentenze ancora con la biro, con un linguaggio offuscato da uno stile prolisso,
curialesco e burocratico, in cui si dice tutto e il contrario di tutto
e in cui mancano gli elementi principali della sintesi e della chiarezza). Ogni
accenno di riforma è osteggiata dalla corporazione che
non vuol sentirne parlare (quella varata nel 2007 è stata solo una forma di
autoregolamentazione che non ha portato alcun cambiamento sostanziale)
essendovi resistenze a dir poco reazionarie (altro che magistratura di
sinistra!).
LA PIAGA DELLA EVASIONE FISCALE
Vi è poi la piaga della evasione fiscale che
costituisce una vera e propria ribellione contro lo Stato ma che il Governo non
affronta col dovuto rigore per impotenza che alla fine si ripercuote sui più deboli, cioè su
coloro che hanno il reddito fisso, che sono supertassati e le tasse le pagano fino all’ultimo
centesimo.
LE VOTAZIONI IN PARLAMENTO
Non dà infine un buon esempio di legalità il
Parlamento (sempre pronto a riservarsi tutti i privilegi possibili e
immaginabili con votazioni notturne compatte,
di tutti quegli esponenti che normalmente litigano di giorno) dove si
trovano parlamentari con condanne definitive che vi siedono regolarmente e il cui voto dovrebbe rendere nulle tutte le
leggi che essi votano: e questo è il colmo che porta l’Italia ad avere
quest’altro primato negativo nel mondo,
col quale si manda un chiaro messaggio di immoralità.
LA POLITICA IN RISSA CONTINUA
La politica si è trasformata in una rissa
continua, con demonizzazione e denigrazione dell’avversario. Certamente non
danno prova di maturità, moralità e civiltà i politici che pur sostenendo che
in democrazia la parte che vince anche
con un solo voto deve governare, denunciano brogli e attaccano fin dal
momento del suo insediamento il nuovo governo. E con un continuo e quotidiano stillicidio è
recitato il “de profundis”, se ne auspica la caduta e si chiedono nuove
elezioni che fanno solo male al paese, perché ogni nuovo governo, di qualunque
tendenza sia, non riesce mai a realizzare le riforme promesse.
REALIZZAZIONI CONDIVISE
Per tirar fuori l’Italia dalla grave situazione
in cui versa, si dovrebbe entrare nell’ordine di idee di un governo di
collaborazione tra le due maggiori forze politiche per delle realizzazioni
condivise, per le quali bisognerebbe darsi dei tempi per concretizzarle. Ma questo,
in un paese litigioso come l’Italia è solo utopia. In ogni caso la funzione di una opposizione
deve essere di severo ma leale controllo sull’operato del governo e la critica
deve essere costruttiva e di collaborazione quando si deve servire l’interesse
primario del paese. Occorrerebbe una volta per tutte convincersi, per motivi di
serietà, che un governo deve durare l’intera legislatura, comunque vadano
le cose (saranno poi i cittadini, a fine mandato, a premiarlo o bocciarlo),
perchè una democrazia matura non si può permettere di considerare un governo
come una parentesi tra una elezione un’altra come ci hanno abituato i
cinquant’anni di prima repubblica, ammesso che sia finita!
I PRIVILEGI
Molto vi sarebbe da dire sull’argomento dei
privilegi riservati a membri e organismi istituzionali e alle varie categorie
rinchiuse nelle cosche corporative che resistono a qualsiasi tentativo di
liberalizzazione (tassisti e camionisti e tutte le altre categorie che hanno
scioperato, ne sono prova tangibile) e frenano l’economia del paese dando
l’idea di una Italia sottosviluppata e senza un minimo di giustizia sociale. I
privilegi sono inoltre accompagnati da enormi quanto inutili spese e sprechi di danaro pubblico (ai
politici che si ritirano dalla vita politica viene concesso, nell’indifferenza
generale, un TIF-Premio di
300milioni, seimiliardi di vecchie lire:
un vero assalto alla diligenza che sta andando verso il disastro!) sui
quali il Governo non ha ancora mandato alcun messaggio di contenimento ma ha
istituito l’ennesima inutile e costosa
commissione di studio!
LE SPESE DEL QUIRINALE
Tra l’altro si è tanto parlato delle enormi
quanto inutili spese del Quirinale (con i 243milioni di euro all’anno, pari a
500 mld. vecchie lire, e pari a quattro volte quelle della monarchia spagnola e
inglese; con un organico di 267 corazzieri che, visto che se utilizzano due per
volta e non vi sono più grandi parate, potrebbero essere ridotti a
L’ITALIA SENZA FUTURO
Il mondo va avanti e l’Italia è immobile (ferma a
trent’anni fa; il Sud lo è ancora di più!). “L’Italia
senza futuro”,
aveva scritto Leopardi: “la vita degli
italiani è appunto tale, senza prospettiva di miglior sorte futura, senza
occupazione, senza scopo, e ristretta al solo presente”. Questa
constatazione dell’Italia senza futuro vale ancora oggi (confermata da una
ricerca in base alla quale è risultato che tra vent’anni l’Italia, a parte un
certo sviluppo del tessile, si troverà nelle stesse condizioni di oggi!) e
l’unica speranza viene riposta nelle lotterie in cui gli italiani hanno il
primato in Europa. Ciò è dovuto alla assoluta mancanza di lungimiranza dei
politici italiani che pensano solo a risolvere i vari problemi giorno per
giorno, man mano che si presentano, senza mai pensare a programmi e progetti di
grande respiro valevoli per il futuro (unica grande opera degna di nota è stata
realizzata dagli amministratori del Veneto, con l’inaugurazione
dell’avveniristico ospedale di Mestre).
Il paese è paralizzato dai NO.
Non si fanno progetti su fonti energetiche di cui l’Italia è priva; vi è
bisogno di centrali nucleari (la Francia dalla quale ci riforniamo, ne ha
sette) e invece si assiste al loro smantellamento, di fonti alternative, di
rigassificatori, termovalorizzatori (che proprio quelli che sono sommersi dall’immondizia non
vogliono), i cui progetti sono bloccati dalla cieca opposizione delle comunità
locali.
Le prospettive per le generazioni future saranno
quelle che dovranno continuare ad arrangiarsi come potranno, e tra le due
Italie il divario tra Nord e Sud (che ha sperperato valanghe di finanziamenti)
continuerà ad aumentare, con maggiore arretratezza del Sud che non riesce ad
avere uno scatto di orgoglio per auto-svilupparsi.
PREMESSA
Leopardi nel
periodo in cui scriveva questo saggio, si trovava in una Italia non ancora
unificata e in parte sotto il dominio della Chiesa, e lui si trovava in
condizioni economiche disperate, alle quali contribuiva il detestabile, arido e
gretto genitore Monaldo, che dal punto di vista dei sentimenti, a parte il
morboso attaccamento alla ritualità religiosa, era un sasso, e sulla cui
generosità il figlio non
poteva fare alcun affidamento (ma dopo la sua morte aveva mostrato tutta la sua
avidità per accaparrarsi le sue opere e riscuoterne i diritti!). Le
risorse di cui Giacomo poteva disporre e che gli consentivano l’evasione
dei viaggi, erano quelle scarse della pubblicazione dei suoi lavori e di quelle
derivanti dalla generosità degli amici (*). Egli avrebbe avuto bisogno
di una sistemazione di impiego, già di per sé difficile per le
sue precarie condizioni di salute. Un incarico che gli stava procurando il
cardinale Della Somaglia presso la segreteria dell’Accademia delle Belle
arti, non gli fu assegnato perché la sua amicizia con Pietro Giordani
considerato un mangiapreti, era sospetta (mentre la Prussia gli aveva offerto
una cattedra di greco che non aveva potuto accettare!). Insomma era il tempo in
cui chi poteva aver bisogno, doveva stare molto attento alle amicizie, al proprio
comportamento e a ciò che scriveva e come lo scriveva.
Questi motivi
avevano certamente influito sul saggio che sarebbe stato critico nei confronti
degli italiani, con la conseguenza che Leopardi si era trovato nella condizione
in cui, per esprimere il suo pensiero in tutta la sua crudezza, non potendo
affrontare subito l’argomento, si era concesso lunghe premesse, con un
linguaggio involuto e pieno di elucubrazioni, quasi si fosse sforzato a
manifestarlo (lui che abbondava in profondità di pensiero, ma il suo
sforzo era teso a rendere più accettabile la critica che ancora ai
suoi tempi era pericolosa) e quando
finalmente lo esprime, lo fa con tutte le accortezze possibili, come p.es.
quando parla del grado di incivilimento degli italiani. Per dire che non lo avevano ancora raggiunto, scrive
che era incompleto e difettoso; come,
per dire che gli italiani non hanno
profondità di pensiero e non sono dediti al culto del pensiero
filosofico, come in altri paesi,
si affretta subito a darne una
giustificazione, affermando che… “quanto a filosofia pratica… (che poi consiste nella famosa
arte di arrangiarsi per cavarsela nella vita ndr.) “sono più filosofi degli altri filosofi”…cioè
sono più bravi degli altri!
E’ da dire
comunque che questo modo di fare è stato comune a tutti gli italiani,
tra i quali molti “grandi”,
a ciò abituati da secoli di dominio papale (che puniva con la mano della
Inquisizione chi avesse manifestato una propria idea critica, con la generica
accusa di eresia), che quando si
muovono sul terreno delle critiche, lo fanno con molta circospezione, non esprimendo subito il loro pensiero,
ma ricorrendo, come è avvenuto
con lo scritto di L., all’uso di lunghe e contorte perifrasi.
E Leopardi non
è stato il solo: era stato preceduto dal grande Leonardo che aveva usato
la sua genialità per non farsi capire scrivendo da mancino e per di
più all’incontrario, facendo in modo che la sua scrittura potesse
essere letta solo facendo ricorso allo specchio.
L’esempio
eclatante di personaggio altalenante, che aveva addirittura abiurato la sua
scoperta, come aveva rilevato Beltolt Brecht, è stato Galileo che aveva
presentato la sua scoperta appoggiandola al sistema eliocentrico di Copernico, da questo solo teorizzata, ma in concreto la
scoperta con la sua conferma, era stata esclusiva di Galileo. E Galileo,
accusato di eresia, per salvare la pelle (scampandola per un pelo) aveva
sconfessato tutte le sue ricerche,
rimangiandole con l’abiura, anche se tra i denti aveva pronunciato
la ben nota frase (l’abbia o
non l’abbia detta) “eppur si muove”.
Da ciò
deriva che caratteristica comune agli italiani è che quando devono
manifestare una propria idea in contraddittorio con altri interlocutori (lo vediamo attualmente
tra politici), e non sono d’accordo (si provi poi a trovare due italiani
che siano d’accordo su un qualsiasi argomento!), prima di esporre la
propria opinione, sono soliti precisare …“di essere
senz’altro d’accordo… però…
e con il però manifestano
tutto il proprio dissenso sulle posizioni dell’interlocutore e sostengono
tutto il contrario di ciò che egli ha affermato...vanificando la
precisazione di essere d’accordo!
Insomma, per gli
italiani la “dissimulazione”, secondo gli insegnamenti dati da
Torquato Accetto nel 1641 con il trattatello
“Della dissimulazione honesta” è
un’arte che sebbene con altri intenti, della “dissimulazione”
ne hanno fatto tesoro.
Passiamo ora a
esaminare cosa Leopardi ha inteso
dire degli italiani.
*) “Recanati e morte sono per me
tutt’uno, fra qualche dì andrò a morire in Recanati. Tutti
i miei lunghi sforzi si rompono
alla fine incontro al Fato che mi
conduce a quel mio odiato sepolcro. Il generale Colletta volle trarmene e
raccogliendo intorno a sé molti di questi signori, ni fece un peculio
per un anno”.
LA SOCIETA’ ITALIANA
Leopardi in
questo “Discorso sopra lo stato
presente del costume degli italiani” (scritto tra il 1824 e il 1826),
osserva la realtà italiana di quegli anni che con l’acutezza che
lo distingue, trova dal punto di
vista morale (inteso come grado di civiltà, o condotta, costume e modo di agire e di comportarsi diffuso),
in un processo di incivilimento non
ancora compiuto.
Egli parte da
una distinzione di massima della società italiana, in due categorie: dei
bisognosi cioè di coloro che si procurano
da vivere con il lavoro manuale che definisce “largo genere di società” caratterizzato da coloro
che si trovano nella condizione di
provvedere con il lavoro manuale alla propria e all’altrui sussistenza
(sono gli operai e i contadini con le loro famiglie che in quell’epoca,
non avevano la possibilità di disporre di tempo libero e potersi
prendersi un divertimento ndr.), e non
bisognosi, quelli che poi
saranno definiti borghesi
(attualmente siamo nell’ambito della media-borghesia,
che corrisponde alla maggioranza della popolazione)
vale a dire di coloro che usufruendo di un certo benessere abbiano la
possibilità di godere del tempo libero. Questa popolazione. osserva
Leopardi, manca del senso del vincolo del consorzio
umano, vale a dire di quel rapporto più intimo degli individui tra
loro che li tenga uniti, precisando
che: di questo senso del vincolo
del consorzio umano gli italiani sono assolutamente privi.
Molte sono le
ragioni, scrive L., che concorrono a privarlo, che senza ulteriori
approfondimenti, si possono indicare nel
clima che li porta naturalmente a vivere gran parte del giorno allo
scoperto e quindi al passeggio e cose del genere, la vivacità stessa
del carattere italiano che fa
loro preferire i piaceri degli spettacoli e gli altri diletti dei sensi a
quelli più particolarmente
propri dello spirito, e che li spinge
all’assoluto divertimento scompagnato
da ogni fatica dell’animo che
li porta alla negligenza e
pigrizia.
Queste cose non
sono che le minime e le più
facili a vincere tra le ragioni che li priva di quel rapporto più intimo
degli individui tra loro, che porta al legame che tiene unito l’intero consorzio umano.
Ora, il
passeggio, gli spettacoli e le Chiese, prosegue L., sono le principali
occasioni di società (dello stare
insieme) che hanno gl’italiani, e in esse consiste, si può
dire tutta la loro società,
perché gli italiani non amano la
vita domestica né gustano la conversazione che certamente non hanno.
Essi dunque
passeggiano, vanno agli spettacoli e divertimenti alla messa e alla predica,
alle feste sacre e profane: in questo consiste tutta la vita e le occupazioni di tutte le classi non bisognose in Italia.
Conseguenza
necessaria di questo, è che gl'italiani non temono e non si curano per
nessun conto di essere o sembrare diversi l'uno dall'altro, e ciascuno di essi
dalla maggior parte, in nessuna cosa e in nessun senso.
Non parliamo del
fatto che l’Italia, non avendo un
centro non ha una popolazione italiana coesa; non parliamo della mancanza di un teatro nazionale, e della
mancanza di una letteratura veramente
nazionale moderna che presso le
altre nazioni - principalmente in
questi ultimi tempi - è un grandissimo mezzo e fonte di
uniformità di opinioni, gusti, costumi, maniere, caratteri individuali,
non solo entro i limiti della nazione stessa, ma anche tra più nazioni.
La mancanza di queste ultime sono anch’esse conseguenza della mancanza di
un centro e di molte altre cause.
Ma lasciandole
tutte da parte e restringendoci alla sola
mancanza di società-convivenza civile, questa è fatta in modo
che l’ Italia non ha una maniera,
un comportamento italiano determinato
e quindi manca assolutamente di
un bon-ton vale a dire di un
buon modo di comportarsi (non si può dire che non lo abbiano in
negativo ndr.), oppure questo è inteso come cosa così vaga, larga e indefinita che lascia quasi
interamente in arbitrio di ciascuno il suo modo di procedere in ogni cosa.
Non solo ciascuna città italiana, ma ciascun
italiano ha un modo tutto suo di comportarsi .
Non essendovi un
buon modo di comportarsi, non possono esservi le c.d. convenienze di
società (bienséances).
Mancando queste, e mancando la società stessa cioè il senso del saper vivere insieme, non può esservi gran cura del proprio
onore ovvero, l'idea dell'onore e delle particolarità che l'offendono o
lo mantengono e vi si conformano, è vaga e niente stringente.
Ciascun italiano
è pressappoco ugualmente onorato e disonorato. prosegue L., vale a dire
che non è né l'uno né l'altro, perché non vi
è onore dove non vi è senso del vivere civile, essendo
l’onore totalmente un’idea prodotta dalla società, e che in
essa e per essa sola può sussistere ed essere determinata.
L'Italia in
fatto di profondità di pensiero, inteso
come scienza filosofica e di cognizione matura e profonda dell'uomo e del
mondo, scrive L., è
incomparabilmente inferiore alla Francia, all'Inghilterra, alla Germania, e,
aggiunge: “benché ciò
parrà un paradosso, se le dette nazioni sono più dotate
nell'intelletto degl'italiani, gl'italiani nella pratica (vale a dire nel
sapersela cavare nella vita, che non è da prendere come fattore positivo
ndr.) sono mille volte più dotati
del maggior dotato che si trovi in qualunque delle dette nazioni”.
LA PUBBLICA OPINIONE
Principalmente
di ciò che costituisce la pubblica
opinione, gl'italiani non ne fanno alcun conto.
Corrono e si
ripetono tutto il giorno cento proverbi che affermano che in Italia non si deve
far caso a quello che il mondo dice o dirà di loro, e che ciascuno deve procedere a modo suo senza
curarsi del giudizio degli altri e cose simili (si tenga presente che il
termine furbo che è
dappertutto considerato negativo, solo in Italia è considerato positivo
ndr.).
Gli italiani
sono ben lontani dal considerare, come i francesi, la perdita o l'alterazione della pubblica opinione nei loro
confronti come la maggiore delle sventure e siano pronti, come i francesi ben
educati, a soffrire e sacrificare qualunque cosa piuttosto che incorrere anche
a torto, in questo inconveniente. Essi non
si creano alcun problema della perdita, giusta o ingiusta che sia,
dell'opinione pubblica, e stimano ben dappoco chi pospone a questo fantasma
i propri interessi e i propri
vantaggi reali.
Insomma, un
italiano non è disposto a sacrificare all'opinione pubblica nessuna
cosa, ancorché minima, e
questi italiani che così pensano ed operano, sono la maggior parte.
LA VITA DEGLI ITALIANI
SENZA PROSPETTIVA, SENZA OCCUPAZIONE,
SENZA SCOPO, RISTRETTA AL SOLO PRESENTE
Ora la vita
degli italiani è appunto tale, senza
prospettiva di miglior sorte futura, senza occupazione, senza scopo, e
ristretta al solo presente. Ma lasciando questo e ristringendoci alla sola
mancanza di convivenza civile, certo
è che uno dei grandissimi e principali mezzi che restano oggi agli
uomini, per non avvedersi affatto
della nullità delle loro cose e per non essere nella pratica persuasi
della totale frivolezza delle loro occupazioni qualunque esse siano, e della
totale indegnità della vita ad essere coltivata, studiata ed esercitata,
uno dei principali mezzi e forse il principale in assoluto è la società (consorzio umano).
L'uomo è
animale imitativo e d'esempio. Questa è cosa provata. Tale egli è
sempre, anche dopo emancipato (se mai arriva ad esserlo) dal giogo delle
credenze, dal modo di pensare e di vedere gli altri.
Per questi
motivi gl'italiani privi come sono del
senso di convivenza civile, sentono tutti, generalmente parlando,
più degli stranieri, la
vanità reale delle cose umane e della vita, e ne sono più
pienamente, più efficacemente e più praticamente persuasi.
IL CINISMO
Ed ecco che
gl'italiani, scrive L. possono essere considerati filosofi ma solo
perchè sono tanto addomesticati, convivono e sono immedesimati con
quella cognizione che è la somma di tutta la filosofia, cioè la cognizione della vanità d'ogni
cosa, e in questa opinione o sentimento sono versati praticamente assai
più delle altre nazioni.
Ora, aggiunge L,
da ciò nasce ai costumi il maggior danno che mai si possa pensare. Come
la disperazione, così
né più né meno il disprezzo
e l'intimo sentimento della vanità
della vita, sono i maggiori nemici del ben operare e autori del male e
della immoralità. Nasce da quelle disposizioni la indifferenza profonda, radicata ed efficacissima verso se stessi
e verso gli altri, che è la maggior peste dei costumi, del carattere e
della morale.
Non si
può negare che la disposizione più ragionevole e più
naturale che possa contrarre un uomo disingannato che ben conosce la
realtà delle cose, senza però essere disperato e incline alle
risoluzioni feroci, ma quieto e pacifico nel suo disinganno e nella sua
cognizione, è quella di un pieno e
continuo cinismo d'animo, di pensiero, di carattere, di costumi, d'opinione, di
parole e di azioni.
Conosciuta ben a
fondo e continuamente sentendo la vanità e la miseria della vita e la
cattiva natura degli uomini, non volendo o non sapendo o non avendo coraggio, o
anche col coraggio, non avendo forza di disperarsene e di venire agli estremi
contro la necessità e contro se stesso, e contro gli altri che sarebbero
sempre ugualmente incorreggibili; volendo o dovendo pur vivere e rassegnarsi e
cedere alla natura delle cose; continuare in una vita che si disprezza,
convivere e conversare con uomini che si conoscono per tristi e da nulla, il partito più saggio è
quello di ridere indistintamente e
abitualmente d'ogni cosa e d'ognuno, incominciando da sé stessi.
Questo è certamente il modo più naturale e ragionevole di
affrontare la situazione.
Ora gl'italiani
nella generalità si sono appigliati a questo partito. Gl'italiani ridono
della vita, ne ridono assai più, e con più verità e
persuasione intima di disprezzo e freddezza che non faccia nessun'altra nazione. Questo è
ben naturale, perché la vita per loro vale meno assai che per gli altri,
e perché è certo che il carattere più vivace e caldo di
natura, come è quello degl'italiani, diventa il più freddo e
apatico quando sono combattuti da circostanze superiori alle loro forze.
Così
è negl'individui, così è nelle nazioni. Le classi superiori d'Italia sono le
più ciniche di tutte le loro pari delle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il
più cinico dei popolacci.
Quelli che
credono superiore a tutte per cinismo la nazione. francese, s'ingannano.
Nessuna vince né uguaglia in
ciò l'italiana.
Essa unisce la
vivacità naturale (assai maggiore di quella dei francesi)
all'indifferenza acquisita verso ogni cosa e al poco riguardo verso gli altri
cagionato dalla mancanza di senso della
convivenza civile, che non li fa curar gran che della stima e dei riguardi altrui:
laddove la società francese influisce tanto, com'è noto, anche
sul popolo, che è pieno di riguardi sia verso i propri individui, sia
verso gli altri a qualsiasi classe appartengano.
Se
gli stranieri non conoscono bene il modo di trattare degl'italiani, questo deriva appunto dalla mancanza in
Italia del senso di convivenza civile, onde è difficile a uno straniero
farsi una precisa idea delle nostre maniere sociali ordinarie.
LA DERISIONE
Nei nostri
rapporti e relazioni, prosegue L., il cinismo è tale che supera di gran
lunga quello di tutti gli altri popoli. Per tutto si ride, e questa è la
principale occupazione delle conversazioni; gli altri popoli con maggior senso
della socialità e
maggior comunione, ridono piuttosto delle cose che degli uomini,
piuttosto degli assenti che dei presenti, perché una società non
può durare tra uomini continuamente occupati a deridersi in faccia gli
uni e gli altri, e darsi continui segni di scambievole disprezzo.
In Italia il
riso è presente dappertutto, la canzonatura o la presa in giro e la
beffa (raillerie e persiflage) che
sono cose che occupano poco spazio
nella buona conversazione altrove, occupano e formano tutto quel poco di vera
conversazione che vi è in Italia. Questo è l'unico modo, l'unica
arte di conversare che vi si conosca. Chi si distingue in essa è fra noi
considerato “uomo di mondo”,
considerato superiore agli altri nelle maniere e nella conversazione, quando
altrove sarebbe considerato come il più insopportabile e il più
estraneo al modo di conversare.
Gl'italiani
posseggono l'arte di perseguitarsi scambievolmente e di andare fino in fondo (se pousser à hout) con le parole,
più che qualsiasi altra nazione.
Il prendere in
giro degli altri è certamente molto più sottile, il nostro spesso
è per lo più grossolano, ed è una specie di scherzo, monelleria (polissonnerie).
NON RISPETTANDO GLI ALTRI
NON SI E’
RISPETTATI
Gl'italiani
passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue.
Come altrove il maggior pregio è
rispettare gli altri, così in Italia la principale e la
più necessaria dote di chi vuol conversare, è il mostrare colle
parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso gli altri, l'offendere quanto
più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia
possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza degli altri.
Sono
incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo. Non rispettando gli altri, non si
può essere rispettati.
Gli stranieri e
gli uomini di una buona società non rispettano gli altri se non per
essere rispettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non
si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro
ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari
ad armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri per essere
inerme e non difendendosi non viene risparmiato.
Tutto ciò
non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e
disprezzo e somma indifferenza verso se stessi. E non vi è cosa
più nociva in questo modo di conversare, che l'esser delicati e
sensibili sul proprio conto. Ecco che allora tutti coloro che ridono piombano su chi è timido e
incapace di offendere e incapace di difendersi convenientemente. E basta che uno si mostri sensibile alle
punture perché gli altri più s'infervorino a pungerlo e
annichilirlo.
E certo che il
principale fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che
esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si
può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la
delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senza amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si
dice, è impossibile che sia giusto,
onesto e virtuoso di carattere, di inclinazioni, costumi e pensieri, se non
nelle azioni.
LA CONVERSAZIONE IN ITALIA
Di quel poco
che vi è di conversazione in Italia -
che si svolge per la massima
parte nei caffè e ridotti pubblici, piuttosto che presso i privati, dove
propriamente non si conversa, ma si gioca o si danza o si canta o si suona o si
passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che si
usano altrove (es. i salotti letterari francesi ndr.) - quel poco, che vi è in Italia di
conversazione - essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua,
senza trattati, e senza speranza di quartiere - benché questa guerra sia
di parole e di modi e su argomenti di nessuna sostanza, pure è manifesto
quanto essa debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre
offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi
divenendo come un esercizio per una
parte, e per l'altra uno sprone nell'offendere gli altri, nelle quali cose
precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la
malvagità morale delle azioni e dei caratteri.
Ciascuno
combattuto e offeso da ciascuno deve per necessità restringere e
riconcentrare ogni suo affetto e inclinazione verso se stesso, il che si chiama
appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e
rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia.
L'uno e l'altra le maggiori pesti di questo secolo.
Così che le conversazioni d'Italia sono un ginnasio
dove con le offese delle parole e dei modi s'impara da una parte e si riceve
stimolo dall'altra a far male ai propri simili coi fatti. Nel che è riposta la
rovina e l'infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma
della pravità e della corruzione dei costumi.
Laddove presso
le altre nazioni la società e la conversazione, in cui si rispetta ed
anche si alimenta da parte di tutti
l'amor
proprio di ciascuno, come efficace mezzo d'amore scambievole sia nazionale
che generalmente sociale, in Italia per la causa contraria, la società
stessa è un mezzo di odio e disunione degli uomini contro gli uomini,
massimamente contro i più vicini, che più importa di amare e
beneficare o risparmiare; tanto che
sarebbe assai meglio che la conversazione non vi fosse affatto, e che
gl'italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per i soli
bisogni, come avviene in alcune nazioni poco raffinate e molto bisognose, o
molto occupate e industriose (vale a dire più arretrate ndr.).
Certo che quella
convivenza civile che vi è in Italia, è tutta a danno dei costumi e del carattere morale, senza
vantaggi di sorta.
Queste sono le
conseguenze della poca convivenza civile e della poca socievolezza che vi
è in Italia. Dalla poca
società-convivenza civile
nasce che non vi è buona società e che quella poca che
c’è nuoce alla morale. La
poca società, la poca convivenza civile e la poca azione sono sinonimi
di società e vita cattiva e scostumata, triste e immorale.
IL BENEFICIO
DELLA CIVILTA’ DEI LUMI
Il grandissimo e
incontrastabile beneficio della rinata civiltà dei lumi è di
averci liberato dall’epoca ormai lontana della cultura e della natura
propria dei tempi più bassi e corrotti di quello stato che non era
né civile né naturale, ma propriamente e semplicemente barbaro,
da quella ignoranza molto peggiore e più dannosa di quella dei fanciulli
e degli uomini primitivi, dalla superstizione, dalla viltà e codardia
crudele e sanguinaria, dall'inerzia e timidezza ambiziosa, intrigante e
oppressiva, dalla tirannide all'orientale, inquieta e micidiale, dall'abuso
eccessivo del duello, dalla feudalità, dal baronaggio e dal
vassallaggio, dal celibato volontario o forzoso, ecclesiastico o secolare,
dalla mancanza di ogni industria e deperimento e languore dell'agricoltura,
dalla spopolazione, povertà, fame, peste che seguivano ad ogni tratto da
tali cause, dagli odi ereditari e di famiglia, dalle guerre continue e mortali
e devastazioni e incendi di città e di campagna tra re e baroni, re e
sudditi, baroni e baroni, baroni e vassalli, città e città,
fazioni e fazioni, e suddivisioni di partiti, famiglie e famiglie, dallo
spirito non d'eroismo ma di cavalleria e di assassineria, dalla ferocia non mai
usata per la patria né per la nazione, dalla totale mancanza di nome e
di amor patrio nazionale, dai disordini orribili nel governo, anzi dal nessun
governo, nessuna legge, nessuna forma costante di repubblica e amministrazione,
incertezza della giustizia, dei diritti, delle leggi, degl'istituti e
regolamenti, tutto in potestà e a discrezione e piacere della forza, e
questa per lo più posseduta e usata senza coraggio, e il coraggio non
mai per la patria e i pericoli non mai incontrati per lei, né per
gloria, ma per danari, per vendetta, per odio, per basse ambizioni e passioni,
o per superstizioni e pregiudizi. I vizi non coperti da alcun colore, le colpe
non curanti di giustificazione alcuna, i costumi sfacciatamente infami anche
nei più grandi e in quelli che facevano anche professione di vita e
carattere più santo, guerre di religione, intolleranza religiosa,
inquisizione, veleni, supplizi orribili verso i rei veri o pretesi, o i nemici,
nessun diritto delle genti, tortura, prove del fuoco, e cose tali.
Da questo stato
ci ha liberati la civiltà moderna; da questo, di cui sono ancora grandissime
le reliquie, ci vanno liberando sempre più i suoi progressi giornalieri;
dai suoi effetti e dai suoi avanzi e dalle opinioni che li favoriscono procura
e si sforza di liberarci la nuova filosofia, nata si può dire, non ancor
sono due secoli, e intenta propriamente a terminare e perfezionare il nostro
risorgimento dagli abusi, pregiudizi (peggiori assai dell'ignoranza),
depravazione e barbarie dei tempi bassi; degna perciò solo di lode e
gratitudine e gloria e favore ed essere
coltivata, e perciò solo
o almeno principalmente utile.
GLI USI E COSTUMI
Gl'italiani hanno piuttosto usanze e abitudini che costumi, prosegue Leopardi. Poche usanze e abitudini hanno che si
possano dir nazionali, ma queste poche, e le altre assai più numerose
che si possono e debbono dir provinciali e municipali, sono seguite piuttosto
per sola assuefazione, che per spirito nazionale o provinciale, per forza di
natura.
Gli usi e i
costumi in Italia si riducono generalmente a questo: che ciascuno segua l'uso e il costume proprio, qualunque egli sia.
E gli usi e costumi generali e pubblici, non sono, come ho detto, se non
abitudini, e non sono seguiti che per liberissima volontà, determinata
quasi unicamente dalla materiale assuefazione, dall'aver sempre fatta quella
tal cosa, in quel tal modo, in quel tal tempo, dall'averla veduta fare ai
maggiori, dall'essere stata sempre fatta, dal vederla fare agli altri, dal non
curarsi o non pensare di fare altrimenti o di non farla (al che basterebbe il
volere); e facendola del resto con pienissima indifferenza, senz'attaccarvi
importanza alcuna, senza che l'animo né lo spirito nazionale, o
qualunque, vi prenda alcuna parte.
Da tutte le cose
considerate come causa della totale mancanza o incertezza di buoni costumi in
Italia, e della mancanza anche di costumi propriamente italiani - la
qual mancanza è sempre compagna e causa di mali costumi - segue un
effetto reale, che può parere un paradosso, cioè che vi sono
migliori o meno cattivi costumi nelle capitali (quando L. scriveva
l’Italia non era ancora unificata ndr.) e città grandi d'Italia,
che nelle provincie, e nelle città secondarie e piccole. La ragione
è che in quelle vi è un poco più di convivenza, quindi un
poco più di cura dell'opinion pubblica, e un poco più di
esistenza reale di questa opinione, quindi un poco più di studio e
spirito di onore e gelosia della propria fama; un poco più di
necessità e di cura di esser conforme agli altri, un poco più di
costume, e quindi di buono o men cattivo
costume.
Al contrario di
quello che può sembrar verosimile, le città piccole e le province
d'Italia sono di costumi e di principi assai peggiori e più sfrenati che
le capitali e città grandi, che sembrerebbero dover essere le più
corrotte, e per tali sono state sempre considerate, e si considerano
generalmente anche oggi, ma a torto. In generale è certo che dopo la
distruzione o indebolimento dei principi morali fondati sulla persuasione,
distruzione causata dal progresso e diffusione dei lumi, si verifica una cosa,
che spesso affermata, è stata forse falsa in ogni altro tempo;
cioè che nel mondo civile le nazioni, le province città, le
classi, gl'individui più colti, più educati, più
socievoli, esperimentati nel mondo, istruiti, e insomma più civili, sono
anche i meno scostumati e immorali nella condotta, e in parte ancora nei
principi, cioè in quei principi di morale che si fondano sopra discorsi
e ragioni del tutto umane.
LA
NATURA DEL CLIMA
E
DEL CARATTERE NAZIONALE:
POPOLI SETTENTRIONALI
E
MERIDIONALI
Fin qui,
prosegue L., abbiamo considerato negli italiani la mancanza di convivenza
civile. A questa si deve anche aggiungere come altra causa degli stessi o
simili effetti, la natura del clima e del carattere nazionale che ne dipende e
risulta.
È tanto
mirabile e simile a paradosso, quanto vero, scrive L., che non vi è
né individuo né popolo così vicino alla freddezza,
all'indifferenza, all'insensibilità e ad un grado così alto e
profondo e costante di freddezza, insensibilità e indifferenza, come quelli che per natura sono più
vivaci, più sensibili,
più caldi: la freddezza è vero ghiaccio, come accade nel gran
caldo, che i vapori elevati in
altezza stringendosi nel più duro gelo, precipitano ridotti in
grandine.
I popoli settentrionali meno caldi nelle
illusioni, sono anche meno freddi nel disinganno. Di più sono meno
facili a questo disinganno. Poca cosa basta ad alimentare la loro
immaginazione, a conservare le loro illusioni.
Quanto alle cose
reali che favoriscono l'immaginazione e le illusioni, l'Italia è in uno stato molto inferiore a quello di tutte
l'altre nazioni civili (parlo delle circostanze della vita, e non di quelle
del clima e naturali, che anzi nuocciono per le dette ragioni); non ci
meraviglieremo per nulla che gl'italiani la più vivace di tutte le
nazioni colte e la più sensibile e calda per natura, sia ora per
assuefazione e per carattere acquisito la più morta, la più
fredda, la più filosofa in pratica, la più circospetta,
indifferente, insensibile, la più difficile ad esser mossa da cose
illusorie, e molto meno governata dall'immaginazione neanche per un momento, la
più ragionatrice nell'operare e nella condotta, la più povera,
anzi priva affatto di opere d'immaginazione, nelle quali una volta, anzi due
volte, superò di gran lunga tutte le nazioni che ora ci superano, di
poesia qualunque (non parlo di versificazione), di opere sentimentali, di
romanzi e la più insensibile all'effetto di queste tali opere e generi (
proprie o straniere).
E d'altra parte
non farà maraviglia che i popoli settentrionali e massimamente i più
settentrionali, siano oggi i più caldi di spirito, i più
immaginosi in fatto, i più mobili e governabili dalle illusioni, i
più sentimentali e di carattere e di spirito e di costumi, i più
poeti nelle azioni e nella vita, e negli scritti e letterature.
I popoli meridionali ai tempi antichi superarono
tutti gli altri nella immaginazione e quindi in ogni cosa; i settentrionali per
la stessa immaginazione superano di gran lunga i meridionali ai tempi moderni.
E però in
pratica, l'immaginazione dei popoli meridionali era tanto più attiva di
quella dei settentrionali quanto è ora al contrario, perché la
freddezza della realtà ha tanta più forza sulle immaginazioni e
sui caratteri quanto essi sono più vivi e più caldi.
Sembra che sia
venuto il tempo del settentrione. Finora ha sempre brillato e potuto nel mondo
il mezzogiorno, ed esso era veramente fatto per brillare e prevalere nei tempi
antichi. Il settentrione viceversa è propriamente fatto per tenersi al
disopra nei tempi moderni: così la superiorità del settentrione
non è da stimarsi accidentale né sembra potere essere passeggera,
né da aspettarsi che passi, almeno in uno spazio di tempo prevedibile.
FINE