Cividale  - Museo Archeologico - Miniatura russa sec. XI

Cristo incorona i principi russi

 

CIRILLO - METODIO

E I POPOLI SLAVI

 

MICHELE ENRICO PUGLIA

SOMMARIO. LA POPOLAZIONE SLAVA E I PRIMI INSEDIAMENTI ETNICO-NAZIONALI; CIRILLO E METODIO: GLI SUDI; I PRIMI INCARICHI; LE TRE LINGUE SACRE; IL PAPA ACCOGLIE IN PROCESSIONE I DUE FRATELLI; IL PRINCIPE DI PANNONIA CHIEDE AL PAPA DI MANDARGLI CIRILLO; IL VESCOVO WIKING E LA QUESTIONE DEL FILIOQUE; LA CONVERSIONE  DEI BULGARI-L’ALFABETO CIRILLICO SOSTITUISCE IL GLACOLITICO.

 

 

LA POPOLAZIONE SLAVA

E I PRIMI

INSEDIAMENTI ETNICO-NAZIONALI

 

I

 popoli che con le invasioni diedero un nuovo assetto all’Europa nel IV e V sec., sovrapponendosi e integrandosi con le popolazioni autoctone, furono tre, Germanici, Slavi e Asiatici.

Gli Slavi (*), quasi certamente discendenti dagli Sciti (appartenenti alla popolazione indo-europea), sin dall’antichità erano noti, per Tolomeo col nome di Vendi, per Plinio Venedi e per Tacito Veneti; Vendi o Vindi erano designati da tutte le tribù germaniche e in epoca recente i tedeschi chiamavano Winden o Wenden gli Sloveni della Carniolia, della Carinzia e della Stiria, come pure i Serbi o Sorabi della Lusazia.

Essi occupavano originariamente la parte centrale della Russia (per gli antichi, Scizia) che si estendeva da nord a sud dalla Lituania ai Carpazi e al Mar  Nero fino a quando non furono sottomessi dai Goti capeggiati da Ermanrico (350), il quale fu a sua volta sconfitto dagli Unni che tennero sottomesse parte di quelle popolazioni.

Il successore di Ermanrico, Vinitaro mosse prima contro gli Slavi (383) e fatto prigioniero il loro capo Boz con i suoi figli e settanta maggiorenti, li trucidò mettendoli tutti in croce. Vinitaro poi, l’anno seguente si rivolse contro gli Unni  capeggiati da Balamiro (Balamber), ma fu trucidato.

Come il gruppo dei Celti che si erano divisi in Germani, Teutoni Franchi, Goti, Longobardi ecc., in quanto  prendevano i nomi delle località in cui si stanziavano, anche gli Slavi prendevano il nome dai luoghi in sui si stanziavano e  quindi, quelli che si erano stanziati lungo la Morava presero il nome di Moravi, così i Polabi dell’Elba (in slavo Laba, da cui presero il nome, all’epoca già estinti) i Ljachi (Polacchi) e di questi, quelli che erano lungo il Dnieper presero il nome di Poliani, e così i Dregovici lungo la Dvina, e quindi  i Czechi (appartenenti al ramo dei Moravi e Slovaki), Serbi o Sorabi, Croati (Serbi e Croati erano tribù affini), Sloveni nome col quale gli Slavi chiamavano se stessi (tutti comunque, come abbiamo detto, appartenenti alla stirpe indo-eruopea).

Gli unici di stirpe turco-mongola erano gli Unni (v. in Schede di Storia: Attila e gli Unni*), che integratisi con gli Slavi avevano dato origine ai Bulgari che nel IX sec. avevano fondato lo Stato Bulgaro (tra quella che sarà la Serbia orientale oltre la Sava e si protendeva nel Sirmio, e nell' Ungheria meridionale).

L’altra popolazione di origine asiatica,quella degli Avari, si diresse (560) nell’area germanica, spingendo Longobardi e Gepidi verso l’Italia, e  nel 568 occuparono tutta l’Ungheria.

Gli Slavi-Sloveni incominciarono a trasferirsi (dal III al VI sec.) nella penisola balcanica e continuarono per trecento anni,  quando si mossero nuovamente nel periodo delle grandi migrazioni (V-VI secolo), invadendo la Dacia; di costoro, una parte, oltrepassò il Danubio e si stabili nelle provincie che stanno al di sotto di questo fiume; una seconda parte rimase nella Valachia e nella Transilvania, il resto si diresse (nella seconda metà del sesto secolo), verso ponente, e popolò quei paesi della Pannonia che si estendono a sud-ovest dell' Ungheria nonché l'antica Carantania, la quale abbracciava l'odierna Carinzia, la Gorizia, il Litorale, la Carniolia, la Stiria e le parti dell'Ungheria e della Croazia adiacenti alla Stiria (1).

Da qui si estesero fino nell'Istria e quindi passarono nel Friuli (603), ma i fratelli duchi longobardi Tasone e Caccone (610) tolgono agli Slavi il territorio conquistato .

Successivamente (670) gli Slavi ritornano in Friuli e mettono sotto assedio Cividale, senza riuscire a prenderla. Essi torneranno nell’VIII sec., affronteranno l’esercito del duca Ferdolfo e lo annienteranno con tutti i nobili che lo avevano accompagnato occupando il Friuli orientale.

Gli Slavi si stabilirono anche in Germania dividendosi in quattro principali rami: i Lutizii (Ljutiéi) o Veleti, gli Obodriti (Bodrici), i Serbi polabi e i Pomerani (Pomorzi). Ognuno di questi rami era a sua volta era  suddiviso in tribù,  ciascuna delle quali aveva il suo nome particolare. Essi occupavano tutta la parte settentrionale della Germania, vale a dire, la Prussia occidentale, la Pomerania, il Brandeburgo, la provincia di Sassonia, il ducato di Anhalt, la parte orientale dell’Hannover, i due granducati di Mecklenburg-Schwerin e Mecklenburg-Strelitz, le contrade a sud-est dello Schleswig-Holstein, le isole di Fehmarn, di Etigen, di Usedom, di Wollin erano fin dal VI secolo terre slave, dalle quali i Tedeschi, nei secoli posteriori, parte con le armi, parte con le proprie colonie e con una forzata germanizzazione, fecero sparire l'elemento slavo.

Pur avendo fama di essere sanguinari (e lo erano in guerra), era gente pacifica, industriosa, dedita alla casa, alla coltivazione dei campi; dal corpo snello e slanciato, ma robusto e resistente, resistevano per giorni accovacciati sotto un albero in attesa della preda o, stavano per lunghe ore sott’acqua con una cannella per respirare; essi   avevano la passione del canto che accompagnavano con la guzla-chitarra.  

Si erano stanziati in Ungheria, e quando gli Avari conquistarono la Pannonia, li sottomisero e la  dominazione durò dal 568 al IX sec..

La Moravia era il regno che aveva raggiunto le più estese dimensioni e comprendeva la Slesia, la Boemia, la Moravia, parte dell’odierna Ungheria a sud-ovest del Danubio e si protendeva sino alla Stiria orientale.

Nell’840 il duca dei Moravi, Moimiro (Mojmar)  scacciando uno dei principi slovaki, il principe Privina (Pribina), costui si rivolse a Ludovico il Pio,che gli concesse (dopo averlo fatto battezzare) in feudo il territorio che comprendeva la maggior parte della odierna Ungheria a sud-ovest del Danubio e giungeva fino alla Stiria orientale e attratte tribù di Slavi fondò (circa 840) una città, Mesemburg (Urbs paludarum), certamente sul Balaton, ponendo le basi della futura Austria, che era ancora Pannonia.

Privina che da Ludovico il Pio era stato riconosciuto come vassallo, dal figlio Ludovico il Germanico fu riconosciuto (848) sovrano indipendente. Morì combattendo contro i Moravi  (862?) e gli succedette il figlio Kozel (Kocel) che regno probabilmente fino all’874.

Nell’883 la Pannonia è invasa da Svatopulk, duca di Moravia  ma dopo la sua morte (894)  la Pannonia passa ad Arnolfo di Carinzia (figlio bastardo di Carlomanno: v. Articoli: I Carolingi e la dissoluzione dell’Impero)  che cede la parte inferiore al principe di Croazia, Brazslav.

La Pannonia non doveva aver pace perché arrivano i Magiari ritenuti appartenenti al popolo misto turco-tartarico, i quali dopo due tentativi falliti, al terzo la invadono definitivamente (riportando la vittoria nella battaglia di Presburgo, 907). Poiché non sono giunte notizie sugli Slavi pannonici di quel periodo, gli storici (G.Markovic) ritengono che i Magiari li abbiano tutti annientati.  

Gli Sloveni della Carantania subirono invece l’invasione di Tassilone, duca di Baviera (595) che voleva allargare i propri confini, ma essendo stato respinto ritorna l’anno successivo con duemila Bavari, ma viene sconfitto e tutti i duemila Bavari sono fatti a pezzi.

All’inizio del VI sec. gli Slavi si erano stabiliti nella Dacia, ossia in Moldavia e Valacchia, in Transilvania e nel banato di Temesvar: come aveva detto Costantino VII Porfirogenito (905-959),”sotto il regno di Costantino Copronimo (741-775) tutta la Grecia divenendo slava, si era imbarbarita”.

Nel 578 masse di Slavi penetrarono e si stabilirono nel Peloponneso, e successivamente invasero altri territori della Grecia amalgamandosi con i greci, fino a diventare essi stessi greci.

Per la Polonia, non si sa bene in quale periodo gli Slavi-Veneti si fossero stanziati lungo la Vistola e l’abbiano costituita unitariamente. Si sa che nel X sec. avevano costruito la città polacca Gnjezno (Gnesen), sulla riva occidentale della Vistola, dove risiedettero i primi duchi, successivamente trasferiti nella capitale Mosaburg (Zalavar).

Sui Polacchi, cominciò regnare (circa 960) il duca Mieczislao, della famiglia Piast, il quale regnò sino al 992 sopra i paesi che costituivano la Polonia Grande (le Provincie polacche che nel XIX sec. appartenevano alla Prussia ed alla Russia); mentre nella Polonia Piccola (la Galizia) dominavano parecchi principotti indipendenti, fino a quando gli Czechi non si impadronirono del paese.

Mieczislao dovette sostenere più guerre coi Tedeschi, cioè coi primi tre Ottoni; ma non gli riuscì di scuotere il loro giogo, né di rendere indipendente il suo paese.

Gli succedette Boleslao il Grande (967-1025), per i Russi Hrobri-l'Intrepido, il quale diede lustro al suo regno; il Papa Silvestro II gli concedette il titolo di re, e Ottone III lo affrancò da ogni tributo verso l’impero.

Quando alla morte di Carlo il Grosso fu eletto re Arnolfo di Carinzia (887-896), a causa della politica autonomistica dei grandi feudatari egli fu costretto ad appoggiarsi ai vescovi ai quali concesse feudi e immunità, rendendoli potenti quanto i feudatari laici. Alla morte di Arnolfo gli succede l’imbelle Ludovico il Fanciullo (896-911) che non seppe affrontare gli assalti di Normanni, Moravi e Ungheri, e i feudatari dovettero difendersi da sé, col  risultato dello sgretolamento di ciò che rimaneva dell’impero Carolingio e la costituzione dei ducati di Sassonia, Franconia, Baviera, Svevia e Lorena il cui destino li porterà a suo tempo a formare il Sacro Romano Impero Germanico (888-1024).

 

*) Si tenga presente che in seguito ad analisi genetiche è risultato che Ebrei e Palestinesi (che si combattono mortalmente), Siriani e Libanesi discendono tutti da un  unico progenitore.

 

**) Degli Unni si raccontava che ai bambini per far perdere vigore alla barba e non farla crescere, usassero praticare sulle due guance un taglio, ma era una leggenda dovuta al fatto che essi avevano il volto attraversato da due profonde rughe, e come asiatici erano glabri.

 

 

 

CIRILLO E METODIO:

GLI STUDI

 

 

I

l vero nome di Cirillo era Costantino (n. 826/27), lo cambiò come usavano quelli che prendevano i voti (qualcuno dice quando era stato fatto diacono,altri prima di morire, ma era conosciuto col nome di Costantino il Filosofo) noi lo chiameremo col nome di Cirillo con cui è divenuto famoso.

Con il fratello Metodio (n. 815) erano nati nella città di Tessalonica (attuale Salonicco)  a nord del Peloponneso che faceva parte del Tema di Tessalonica (per i Temi v. Articoli: I mille anni dell’impero bizantino, Cap.V), di nuova istituzione,  il cui territorio, come abbiamo visto, era occupato da Slavi che avevano sottomesso le popolazioni locali (anch’esse originarie slave, che avevano iniziato le loro trasmigrazioni nel 550,  e vi si stabilirono nel 589).

La popolazione sottomessa era stata affrancate dalla servitù, dall’imperatore Basilio I, il quale aveva rispettato le loro usanze, ma essi poco per volta si amalgamarono nella multietnica popolazione bizantina, venendo addestrati alle armi e utilizzati nell’esercito.

Gli Slavi, erano ancora rozzi e incolti e incapaci di comunicare con chi parlava altre lingue, e, sia per poter comunicare sia per l’esercizio del commercio, era necessario imparare la loro lingua .

Il Tema  di Tessalonica era governato da uno “stratego” che sotto di lui aveva un “drumgario” (un vice, corrispondente al grado di colonnello) di nome Leone, padre dei due fratelli che a contatto con quella gente, avevano imparato i rudimenti della loro lingua.

Costantino, fu mandato a Costantinopoli dove sarebbe stata fondata l’Università della Magnaura, ma già dal tempo di Bardas (855) vi insegnava il matematico Leone e il filosofo Fozio, poi patriarca.

Cirillo, per l’acutezza della sua mente riuscì ad imparare la grammatica greca, seguita dallo studio di Omero, della geometria e delle scienze. Fozio lo introdusse alla dialettica e alle dottrine filosofiche; seguirono lo studio della musica, l’aritmetica, l’astronomia e le altre materie.

Per queste sue doti intellettive era entrato in rapporti con il logoteta (ministro) Teoctisto che lo introdusse a Corte.

Terminati gli studi, e acquisito il titolo di “filosofo”, attraverso l’imperatrice Teodora (in Articoli: I mille anni... ecc. Cap. VI; La nuova Teodora) ebbe l’incarico di “cartulario” (vale a dire direttore della segreteria imperiale che si occupava del ramo patriarcale) e per avere questo incarico fu ordinato diacono (prendendo il nome di Cirillo).

Ma Cirillo non era fatto per ricoprire una carica a corte e vivere e sempre in un posto, e presentò le dimissioni, andandosene in un monastero del Bosforo. Ma non vi rimase molto perché Teoctisto aveva intenzione di utilizzare il giovane talento e lo richiamò a Costantinopoli assegnandogli l’incarico di maestro con l’insegnamento della filosofia in una scuola privata (come d’altronde facevano Leone e Fozio) in quanto la Magnaura non era stata ancora aperta.

Anche questo incarico non doveva durare molto in quanto l’imperatore, che riteneva di regnare per grazia di Dio e riteneva di rappresentare Dio sulla terra, era anche il custode della ortodossia e si preoccupava della diffusione  della fede cristiana, per cui nei suoi programmi di diffusione della fede (strettamente collegata ai rapporti politici) aveva previsto per lui l’incarico di missionario, inscindibile da quello diplomatico.

 

 

 I PRIMI INCARICHI

 

 

A

l raggiungimento dei ventiquattro anni  gli fu affidato il primo incarico e  mandato in delegazione presso il califfo al-Mutasim della dinastia degli abbasidi, il quale aveva trasferito la capitale da Bagdad a Somara, antica città assira sul corso superiore del Tigri, che aveva arricchito di palazzi e moschee, il cui figlio, al-Mutawakkil (847-861) aveva invaso il territorio bizantino.

Gli arabi in questo periodo, oltre ad aver esteso le loro conquiste, avevano affinato la loro cultura (v. Articoli: La scienza araba alle origini della cultura europea), e alla delegazione bizantina furono riservati intrattenimenti con ricchi pranzi in cui si svolgevano dispute, dalle quali emerse la vastità delle conoscenze di Cirillo che affascinarono gli arabi i quali gli chiesero come facesse ad avere tutte quelle conoscenze, Cirillo rispose con una massima bizantina (che ne esprimeva tutto il  loro orgoglio) “tutte le arti provengono da noi”.

Cirillo non era portato per questo genere di vita in quanto amava la vita semplice e appena rientrato era andato a vivere in povertà e privazioni in un monastero.

Anche il fratello Metodio, che nel frattempo aveva svolto l’incarico in una regione abitata da slavi, era entrato in uno dei monasteri del monte Olimpo di Bitinia (l’altro Olimpo più famoso dei greci era quello di Macedonia).

La regione era adatta alle necessità culturali di Metodio in quanto era abitata  dai discendenti degli slavi trasferiti a decine di migliaia dall’imperatore Giustiniano II (tra il 688 e il 689)  il quale aveva imitato Costanzo II (v. Pagina-indice dei Mille anni dell’impero bizantino).

Nel frattempo il khan della Cazaria, il cui territorio si trovava chiuso a sud dai due laghi del mar  Nero e mar Caspio e a nord dal Don e dal Volga, e per l’impero bizantino costituiva uno stato cuscinetto contro le invasioni di slavi orientali e magiari, aveva chiesto all’imperatore Teofilo (v. Articoli, cit. Cap.VI) di costruirgli una fortezza sul corso del Don e l’imperatore gli aveva mandato  Petronas Kamateros (che rivestiva la carica di spatharocandidatus) per eseguire i lavori, e la fortezza fu costruita nella città di Sarkel sulle rive del Don.

Nello stesso periodo il khan dei cazari aveva scritto all’imperatore Michele III (l’Ubriacone in cit. art. cap. VI) in cui riferiva che la sua popolazione adorava fin dall’antichità il Sole nascente, seguendo gli antichi costumi: vi erano però gli ebrei e gli arabi che proponevano di seguire la loro religione e gli arabi li allettavano anche con doni. Il khan chiedeva il parere dell’imperatore e chiedeva che gli fosse mandato un dotto in grado di confutare ebrei e arabi.

L’imperatore inviò Cirillo che portò con sé Metodio (860) e la loro funzione, come abbiamo detto, non era solo religiosa ma anche diplomatica, per i risvolti politici che ne derivavano (dietro l’imperatore vi era Fozio che lo indirizzava).

In uno dei viaggi di ritorno i due fratelli ebbero occasione di fermarsi sulla punta della Crimea dove Cirillo ebbe modo di apprendere la lingua ebraica maneggiando una grammatica che subito divise in otto parti e, incontrato un samaritano (di lingua ebraica) che gli procurò una Bibbia ebraica, lo riempì di meraviglia con la conoscenza della lingua  che Cirillo aveva mostrato di avere.

Nel ritorno con la sua delegazione, Cirillo fu attaccato da un’orda di magiari e stava per essere ucciso, ma costoro, avendolo visto pregare mitigarono la loro ferocia e Cirillo riuscì a salvare la sua vita.

I due fratelli presso i cazari fecero opera di conversione da cui emerse l’acutezza dell’intelligenza di Cirillo, mentre Metodio gli organizzava il lavoro predisponendo otto discorsi che Cirillo tradusse in slavo, per consultazione, nelle dispute teologiche con gli ebrei.

I primi duecento nobili cazari si convertirono e furono battezzati con il compiacimento del khan che pur essendosi convertito all’ebraismo, scrisse all’imperatore per ringraziarlo di avergli mandato un uomo che aveva ottenuto quel risultato, al quale si augurava di giungere anche lui.

I due fratelli, attraversando la Tauride,  si erano fermati nella città di Phul dove con rito pagano, sotto un albero, si compivano sacrifici. Cirillo riuscì a convertirne gli abitanti facendo bruciare l’albero e organizzando tutta la penisola in Archidiocesi che passò sotto il dominio bizantino.

Partendo dalla Crimea Cirillo aveva portato con sé le reliquie di san Clemente con l’intento (l’idea era stata suggerita da Fozio), che potessero essere utili per il futuro, per un dono alla Chiesa di Roma, come poi avvenne.

Cirillo nel periodo di permanenza  in Crimea aveva preso familiarità  non solo con l’ebraico, ma anche con il samaritano, e il siriaco che però già conosceva, e aveva appreso anche le basi del russo.

Infatti in Crimea Cirillo era entrato in contatto con un folto gruppo di slavi della Rus’ (il termine sta per navigatori-vogatori): in pratica si trattava di una popolazione multietnica, fondamentalmente slava, con i quali Cirillo parlando, riuscì a capire e farsi capire, e i due fratelli riuscirono anche a convertire, ponendo le basi della futura conversione (867).

 Tutta questa facilità di apprendimento delle lingue era dovuta non solo alla predisposizione della sua mente (doveva essere una specie di Pico della Mirandola che verrà nei secoli successivi) ma perché aveva un suo metodo fondato sulla ricerca delle radici delle parole che con la lingua usata dagli slavi, balcanici e slavi orientali avevano una certa comunanza.

Nell’862 il principe di Moravia Ratislav scrisse all’imperatore dicendogli che il suo popolo si era convertito al cristianesimo ma non aveva un vescovo che potesse rafforzarli nella loro lingua e nella fede e gli chiedeva quindi un vescovo o ministro in quanto erano giunti dalla Germania dei cristiani che insegnavano il cristianesimo in modo diverso e il popolo, nella sua semplicità aveva bisogno di chi lo guidasse verso la verità e nella loro lingua e con un testo scritto (i moravi all’epoca non avevano una loro scrittura).

Relativamente ai missionari cristiani che giungevano dalla Germania è da dire che ai tempi di Carlo Magno san Bonifacio, monaco anglosassone, dopo che Carlo aveva conquistato la Baviera, aveva fondato quattro diocesi in Baviera, a Salisburgo, a Ratisbona e Passau e i primi missionari giunti in Moravia, provenivano dalla Baviera e seguivano il rito latino.

Il problema rappresentato dal clero germanico era determinato da motivazioni di carattere espansionistico della popolazione germanica e Ratislav voleva evitare un simile pericolo.

L’imperatore convocò Cirillo che pose la condizione che sarebbe partito a “condizione che i moravi avessero un proprio alfabeto”; e l’imperatore gli rispose che  il nonno, il padre e molti altri “avendolo cercato, non lo avevano trovato”; alla fine l’imperatore , mettendolo alle strette, gli suggerì di rivolgersi a Dio “che dà a tutti quelli che chiedono, senza dubitare” e così Cirillo, dopo aver pregato, chiamò Metodio e insieme, con l’aiuto di collaboratori,  prepararono l’alfabeto e dopo aver composto un sermone, partirono.

L’agiografo, la invenzione, la fa apparire come avvenuta per ispirazione divina che come tutte le ispirazioni non viene dall’esterno ma è frutto della mente umana, e nel caso di Cirillo e Metodio la invenzione non era avvenuta da un giorno all’altro ma era stata frutto anche di studi con un gruppo di lavoro formato da greci che parlavano slavo e slavi che parlavano greco, iniziati già da prima della partenza di Cirillo per la Cazaria, dove Cirillo aveva portato con sé un primo abbozzo di traduzione del Vangelo e del Salterio, e l’invenzione non si limitava all’alfabeto ma coinvolgeva anche la lingua, per l’espressione del pensiero e di concetti astratti, con vasto repertorio di sostantivi e aggettivi nello slavo, del tutto inesistenti, e creati in slavo, per poter poi essere tradotti in greco, il che  aveva portato alla creazione di una lingua ricca ed espressiva: con la conseguenza che l’invenzione della lingua fu più importante di quella dell’alfabeto.

Il primo testo fu il “Lezionario” che conteneva passi del Vangelo per la lettura in chiesa con una Introduzione in cui si spiegava il metodo.

La missione partiva (863) per la Moravia (Grande Moravia), ricevuta da Ratislav e i due fratelli si misero subito al lavoro, sostituendo con  lingua e liturgia slava, non solo tutto il latino della liturgia introdotto dai missionari germanici, che si rifaceva alla liturgia ortodossa.

Ciò preparava il terreno alla costituzione di una identità culturale e spirituale degli slavi.   

 

LE TRE LINGUE SACRE

 

 

L

a conseguenza dell’interesse degli ortodossi per gli slavi, fu un risentimento del clero germanico che fece perno su una teoria comparsa in Occidente nel VII sec. , in base alla quale vi erano solo tre lingue sacre in cui il nome di Dio poteva essere pronunciato e queste erano l’ebraico, il latino e il greco; questa tesi era scaturita dalla iscrizione che Ponzio Pilato (che in questo caso non veniva esecrato!), aveva fatto apporre sulla croce di Cristo in queste tre lingue.

Questa teoria era stata condannata da vari Concili, che comunque avevano escluso l’uso dei dialetti locali, ma in dottrina continuava ad essere applicata.

Insomma il clero germanico (con l’appoggio di Roma) si opponeva a cambiamenti che fossero introdotti nell’uso della liturgia latina, escludendo lo slavo che non poteva essere considerata una lingua sacra, scardinando così tutta l’opera di Cirillo e Metodio che furono convocati dal papa.

I due fratelli mettendosi in viaggio per recarsi a Venezia, attraversarono la Pannonia.

Questa aveva un territorio molto più esteso dell’attuale Ungheria in quanto comprendeva l’Austria orientale, la Slavonia e la Croazia.

Qui furono ricevuti dal principe Kocel che rimase entusiasta sia dell’alfabeto sia della liturgia in lingua slava e diede ai due fratelli una cinquantina  di discepoli da istruire. In tal modo il principe, adottando la liturgia slava, si sarebbe liberato dalla oppressione germanica  e si sarebbe avvicinato agli slavi di Moravia, accrescendo così il suo potere politico.

Compiuta quest’altra opera, i due fratelli ripresero il viaggio e giunsero a Venezia, centro importante non solo commerciale ma ecclesiastico in quanto sede del patriarcato latino, da dove si sarebbero imbarcati per Costantinopoli.

Tutto il clero si riunì in quanto non condivideva l’innovazione introdotta dai due fratelli ed era fondamentalmente trilinguista.

Il problema riguardava anche la questione della giurisdizione che il patriarca di Venezia, Vitale, riteneva di avere sulla Pannonia, contestata dal vescovo germanico di Salisburgo.

Insomma i due fratelli furono messi sotto accusa. Cirillo si difese sostenendo: “Non scende la pioggia da Dio, uguale per tutti? E il sole non brilla forse allo stesso modo per tutti? E non respiriamo l’aria, tutti allo stesso modo?”Aggiungendo che molte  popolazioni possiedono libri che glorificano Dio, ciascuno nella propria lingua,con  citazioni della Sacra scrittura.

 

 

IL PAPA

ACCOGLIE IN PROCESSIONE

I DUE FRATELLI

 

 

L

a diatriba non tardò a giungere alle orecchie del papa Nicolò I (858-867) per il quale la questione della evangelizzazione dei territori abitati dagli slavi assumeva grande importanza. Il papa, che aveva troncato i rapporti con Fozio, e influenzato dai risentimenti che nella santa sede molti nutrivano per i due fratelli, li invitò a Roma, ma nel frattempo moriva (867) e veniva eletto Adriano II  (867-872) che si mostrò disponibile ad accogliere i due fratelli.

Essi, non sapendo a cosa andassero incontro, e oramai  diplomatici navigati, per evitare sorprese, per rivolgere la situazione in loro favore, fecero sapere che portavano le reliquie di san Clemente... e fu un trionfo, con il papa  che,  si mosse in processione per andare ad accoglierli alle porte della città.

Il papa, dopo essersi fatto consegnare i libri slavi, li pose sull’altare e li consacrò annunciando che erano accettati e approvati come sacri, non solo, ma partecipò a una messa durante la quale furono usati i libri slavi.

Poi, dopo aver personalmente ordinato sacerdote Metodio,aveva dato incarico ai vescovi Formoso (futuro papa: v. Articoli, Storia sconosciuta dei primi re d’Italia e corruzione del papato ecc.) e Gauderico, di ordinare sacerdoti tre dei loro discepoli,e consacrare due lettori e nei giorni seguenti furono celebrate messe in lingua slava nella basilica di san Pietro e nelle chiese di santa Petronilla e san Paolo fuori le Mura.

Con questo riconoscimento Roma ottenne un duplice risultato: quello di contendere a Bisanzio il riconoscimento delle lingue locali nella vita ecclesiastica e quello di contendere alle sedi vescovili germaniche di Salisburgo e della Baviera la loro supremazia, a Roma non molto gradita.

Le grandi fatiche sopportate da Cirillo lo esaurirono fino a condurlo in fin di vita. Egli sentendo vicina la morte scrisse dei versi in cui diceva che “da questo momento non sono più servo né dell’imperatore né di nessun altro sulla terra ma solo di Dio pantocratore, lo sono stato e lo sarò in eterno, amen”.

Egli volle essere anche tonsurato e volle indossare il saio; in questa occasione prese il nome di Cirillo; il papa aveva disposto che il suo corpo fosse sepolto  nel suo sepolcro personale in san Pietro ma Cirillo chiese di essere sepolto nella chiesa di san Clemente di cui aveva portato le reliquie.

Si spense all’età di 42 anni (869), ma in una vita così breve aveva compiuto realizzazioni che hanno superato i secoli.

 

 

 IL

PRINCIPE DI PANNONIA

CHIEDE AL PAPA

DI MANDARGLI CIRILLO

 

I

l principe Kocel di Pannonia aveva scritto al papa chiedendogli di mandargli Cirillo che nel frattempo era morto, e il papa scrive ai tre principi Kocel (o Kozel), Sventopulk di Nitra, e Ratislav di Moravia, dichiarando di mantenere la sua giurisdizione sui paesi slavi e  preannunciando  (869) l’arrivo di Metodio, mandato da Dio e dall’apostolo Pietro, autorizzando Metodio a formare altri  giovani, e, per non inasprire i rapporti col clero germanico, disponeva che i Vangeli e le Epistole degli apostoli, fossero lette prima in latino e poi in lingua slava.

Dopo essersi incontrato con Kocel, Metodio ritorna a Roma con venti giovani che Kocel voleva che fossero istruiti.

Metodio viene quindi consacrato vescovo della sede arcivescovile dell’antica città di  Sirmio nei pressi Belgrado e nominato legato del papa per la Moravia e la Pannonia e questo per evitare complotti da parte del clero germanico, in modo che la giurisdizione rimanesse nelle mani del papa. Con la nomina di Metodio ad arcivescovo di ambedue i paesi, si evitava la possibilità che la Chiesa slava potesse passare sotto la giurisdizione di Bisanzio.

Il principe Sventopulk nel frattempo aveva esautorato lo zio Ratislav ed era divenuto vassallo di  Ludovico II il Germanico (v. Articoli: cit. I carolingi e la dissoluzione dell’impero bizantino) al quale aveva consegnato lo zio che,  condannato a morte, fu graziato, ma venne accecato.

Questi cambiamenti non erano ben accetti al clero germanico in quanto, mentre  fino ad allora gli slavi avevano dovuto studiare il tedesco per comprendere il proprio prete, ora dovevano essere i preti tedeschi a studiare e imparare lo slavo con l’ulteriore umiliazione di vedere le loro chiese dove si officiava in latino, abbandonate, in quanto il popolo si sarebbe recato in quelle dove si officiava in slavo.

Il vescovo metropolita di Salisburgo, Adalvino, convocò quindi un concilio al quale aveva invitato Metodio (870), avendo accanto i vescovi bavaresi Ermanrico di Passau e Annone di Frisinga, presente anche Ludovico il Germanico.  

Per come si svolse in effetti più che concilio fu un vero processo intentato contro Metodio, che non solo era pari grado di Adalvino ma capo della chiesa slava, attualmente (con i riconoscimenti del papa) indipendente dalla chiesa tedesca, quindi la sua convocazione non era legittima

Metodio aveva anche perso il suo protettore Ratislav, che come abbiamo visto era stato esautorato da Svatopulk (870) cristiano solo di nome, al quale nulla interessava di Metodio, mentre Kocel non aveva forza ed energia per proteggerlo.

Tutto era stato preordinato per la condanna del “filosofo” del “greco” considerato come semplice sacerdote, trasgressore dei sacri canoni, che aveva osato predicare nei paesi sotto la loro giurisdizione, senza avere ottenuto alcun permesso

Metodio si rese conto che l’ambiente gli era ostile e anche Ludovico ironizzava  su di lui: egli si difese con coraggio facendo notare che la giurisdizione apparteneva al papa; ma fu accusato di usurpare la giurisdizione dell’arcivescovo bavarese e  subissato da accuse e minacce; il vescovo Ermanrico tentò anche di prenderlo a frustate con uno staffile, ma fu fermato in tempo.

Prevalse il fanatismo dei vescovi germanici che lo condannarono all’esilio per aver violato i sacri canoni; la sentenza fu eseguita proprio da Ermanrico, il vescovo che lo voleva frustare, il quale certamente lo fece torturare; fu condotto in un monastero della Svevia, a Ellwangen in una cella senza copertura, esposta alle intemperie dove Metodio rimase due anni e mezzo. Un suo tentativo di inviare un messaggio al papa, non riuscì perché il messaggero fu preso e ucciso; i discepoli che lo accompagnavano furono dispersi.

Il papa Adriano morì (872) senza aver conoscenza di ciò che fosse successo. Il nuovo papa Giovanni VIII (872-882) ne venne a conoscenza in ritardo e subito interdisse i  vescovi germanici fino a quando Metodio non fosse stato liberato, scrivendo a Ludovico e chiedendo senza mezzi termini la sua liberazione.

Il papa scrisse  a Ermanrico  dicendogli che   torrenti di lacrime appena potrebbero bastare per lavare la tua iniquità; vi fu al mondo, non dico un vescovo, ma un uomo, un tiranno sì bestialmente crudele come fosti tu; hai gettato in carcere il nostro fratello e collega nell’episcopato,esposto ai rigori di un duro inverno e alle intemperie; lo hai tenuto lontano dalla sua sede affinché non potesse governare la Chiesa a cui è stato preposto: e neppure ciò ti bastò e imperversasti a tal segno contro di lui trascinandolo davanti al consiglio dei vescovi; e se non ti avessero fermato, lo avresti flagellato con lo staffile: è questo il fare conveniente di un vescovo? Ma che vescovo può essere chi ha ardito maltrattare un collega  consacrato direttamente dalla Santa Sede e da lei costituito suo legato a latere”.

Il papa quindi  lo convocava con Metodio a Roma per essere uditi da lui...”e se verrà provata la enorme temerità sopra accennata, certo non mancherà la giusta condanna: no, non verrà meno il vigore della sede apostolica se si proverà che veramente abbiano avuto luogo quei mostruosi eccessi”. 

Il papa scrisse anche ad Annone dicendogli “La tua audacia e la temerità oltrepassano le nuvole e arrivano al cielo; tu usurpasti diritti della Sede apostolica e ti arrogasti il potere di giudicare un arcivescovo quasi fossi il (suo) patriarca, e ciò che è peggio, sprezzando i canoni ti comportasti da tiranno con un tuo confratello che fu creato legato dalla apostolica Sede. Perfino tu lo credesti indegno di stare nel consesso dei tuoi preti: il che ridonda a ingiuria della Santa Sede. E quando egli si appellò a questa  Santa Sede,  secondo i sacri canoni, gli negasti codesto diritto; e ancora tu e quelli che sono tuoi pari lo condannaste e lo gettaste in carcere, togliendogli la facoltà di celebrare i divini uffizi ....non basta, tu che ti vanti di essere devotissimo di s. Pietro...non solo tralasciasti di informarci, come era tuo dovere della prigionia e dei patimenti del nostro fratello ...ma quando fosti a Roma, interrogato ...mentendo, dicesti di non conoscerlo, mentre tu pure fosti la causa diretta dei suoi mali; ... devi pertanto portarti a Roma per rendere ragione di tutto ciò che è accaduto, salvo che sia stata data completa soddisfazione allo stesso venerabile ed egli voglia dimenticare ...tutti i torti ...in caso contrario, passato il mese di settembre ti interdiciamo l’uso della santissima comunione fino a quando perseverai nella disobbedienza alla Nostra persona”.

Metodio, dopo questi avvenimenti si recò in Moravia dove trovò una situazione completamente cambiata in quanto i moravi si erano ribellati a Ludovico (873) e avevano cacciato i vescovi germanici, costringendo Ludovico il Germanico a firmare un trattato di pace in base al quale i vescovi germanici dovettero far ritorno in patria e fu  ripristinato il rito slavo.

Il principe Sventopulk non ostacolò Metodio, il quale intraprese una intensa attività pastorale ed educativa  convertendo molti pagani e facendo aumentare il numero di chierici in tutte le città.

Il principe intanto diventava sempre più potente e allargava i confini della Grande Moravia annettendo tutta la regione polacca. Quivi si era recato Metodio dove aveva cercato di convincere, senza riuscirvi, il signore locale di convertirsi, altrimenti avrebbe perso il territorio che sarebbe finito nello stato moravo e si sarebbe visto imporre il cristianesimo germanico, come in effetti avvenne.

Metodio ritornò in Moravia e oltre alla attività pastorale, incominciò a scrivere.

E’ da dire che mentre Cirillo conosceva lo slavo piuttosto in via teorica, Metodio lo conosceva molto meglio nella pratica e nella forma parlata in quanto aveva vissuto per molti anni fra gli slavi e si dedicò alle traduzioni, occupandosi di organizzazione e amministrazione ecclesiastica.

Metodio aveva anche  un’ottima preparazione giuridica e nelle sue traduzioni mirava sempre a introdurre argomentazioni giuridiche con il fine di indirizzare la legislazione del paese, verso quella bizantina.

In quest’ottica, tradusse il Nomocanone  (Synagogé: insieme di norme giuridiche ecclesiastiche) di Giovanni Scolastico, una esortazione, indirizzata probabilmente al principe della Grande Moravia, in cui erano riportate argomentazioni giuridiche tratte da passi biblici; preparò un codice traducendo le relative disposizioni dall’Ecloga bizantina degli imperatori isaurici, con l’aggiunta di sue annotazioni che gli furono dettate dalle particolari condizioni socio-religiose della Moravia. Occorre dire che tutto il lavoro di scrittura veniva svolto dai monaci del monte Olimpo dove vi erano monaci o di origine slava o che conoscevano lo slavo.

Poiché a Bisanzio l’Ecloga isaurica era stata sostituita dal Nomos procheyron di Basilio I (v. Articoli cit., Cap. VII e Corpus Juris), egli rivide tutto il testo precedentemente redatto con queste nuove disposizioni (872), col risultato che la Moravia nella sua organizzazione amministrativa  veniva ad essere inserita nell’alveo della legislazione bizantina.

Il clero germanico non finiva di tramare contro Metodio e uno di quei sacerdoti di nome Wiking inviò a Roma un chierico di nome Giovanni per fare intervenire il papa.

Il nuovo  papa Giovanni VIII  (872-882), aveva cambiato orientamento rispetto ai suoi predecessori e aveva scritto a Metodio una lettera con cui gli rimproverava di celebrare la liturgia nella “lingua barbarica slava”, piuttosto che in latino o greco, sebbene gli consentisse solo di predicare in lingua slava.

Lo convocava, comunque, a Roma,  unitamente a Wiking (ordinato vescovo di Nitra, che apparteneva alla giurisdizione di Metodio), e Metodio dopo aver chiarito la sua posizione, rientrò (880) in Moravia, portando una lettera del papa a Sventopulk.

Wiking con i suoi sostenitori, ritenendo che la lettera del papa contenesse una condanna di Metodio, pretese che fosse aperta e letta in pubblico, e con sorpresa si rese conto che non conteneva nessuna condanna, ma il papa  ritornando sulle sue posizioni, dichiarava che la lingua slava non fosse meno degna delle altre due.

Wiking non si diede per vinto e con le sue continue pressioni ottenne una nuova convocazione di Metodio a Roma; Metodio, invece di recarsi a Roma, andò a Costantinopoli con numeroso seguito, ricevuto con onore dall’imperatore e dal patriarca Fozio che furono aggiornati su tutta la sua attività.

Al suo ritorno in Moravia a Metodio non rimanevano che quattro anni di vita che egli dedicò ancora a traduzioni delle Scritture e dei Libri dei Padri.

Alla sua morte Metodio lasciò al popolo slavo tutto questo patrimonio letterario, giuridico e religioso, introducendo anche il culto di san Demetrio protettore della sua Tessalonica.

Prima della morte di Metodio, il vescovo Wiking aveva iniziato a propagandare la dottrina del “filioquericonosciuto nel rito latino ma ritenuta eretica dagli orientali: contro di lui Metodio pronunciò l’anatema, e sentendo vicina la fine, si affrettò a designare come suo successore il discepolo Gorazd, morendo tre giorni dopo, la domenica delle Palme dell’885.    

 

IL VESCOVO WIKING E LA

QUESTIONE DEL FILIOQUE

 

L

a questione del  filioque” ( *) introdotta dal vescovo Wiking nell’area germanica,  qualche secolo più tardi (1054) sarà la causa della separazione della Chiesa greca da quella di Roma.

Egli, come abbiamo visto, come germanico seguiva il rito latino, mentre Metodio seguiva quello bizantino.

Wiking con il rito latino seguiva anche il “Credo latino” modificato a Toledo (633, ma la questione era emersa nel 589), che aveva introdotto la variante dello “Spirito Santo” che procedeva dal Padre “e” dal Figlio, modifica che il clero ortodosso non aveva accettato in quanto il suo Credo era rimasto quello introdotto a Nicea (325), con lo Spirito Santo che procedeva dal Padre (e non anche dal Figlio).

La questione non era al momento importante ma comportava delle involuzioni politiche (che saranno più macroscopiche in seguito v. Schegge: Libri Carolini e iconoclastia) in quanto stando con Wiking tutta la Moravia che seguiva il rito latino si sarebbe spostata sulla sua posizione allontanandosi dalla impostazione data da Cirillo e Metodio che era bizantina.

Il nuovo papa Stefano VI (885-891) succeduto ad Adriano III (884-885) era sulle posizioni di Wiking anatemizzato da Metodio, il quale confermando la sua  ortodossia, fu confermato capo della Chiesa morava, con la conseguenza che così veniva smentita la liturgia slava che si appoggiava a Bisanzio.   

In questa diatriba intervenne Sventopulk che senza la presenza della personalità di Metodio (nonostante l’intervento dei suoi discepoli Garazd e Clemente) aveva cambiato posizione appoggiando Wiking e il clero germanico, non solo , ma dopo aver convocato i circa duecento discepoli di Cirillo e Metodio  li consegnò ai germani, che ne vendettero  una parte al mercato di schiavi di Venezia, e altri li  rinchiusero in carcere.

Quelli che erano stati venduti a Venezia, vennero riscattati dall’imperatore Basilio, i prigionieri invece furono mandati nella regione del Danubio dove molti morirono di stenti, Gorazd si recò in Polonia e altri sopravvissuti si dispersero in varie regioni.

Il sogno di fondare una grande regione slava d’influenza bizantina veniva a cadere, con tutto il lavoro di Cirillo e Metodio, ma il seme da essi sparso si trasmetteva nella vicina Bulgaria in fase di costituzione.

 

 

*) Il mistero della Trinità  introdotto dai cristiani aveva già sollevato l’accusa (musulmani) di essere  politeisti”. In seno agli stessi cristiani era sorta  la questione del ”filioque” (v. in Schede storiche: La Chiesa ortodossa e in Schegge: Libri Carolini e iconoclastia) fondata su una sottigliezza che introdotta autonomamente (per affermare la consustanzialità tra il Padre il Figlio e lo Spirito Santo, contestando così l’eresia ariana che considerava lo Spirito Santo creatura del Figlio), non era stata accettata dai  bizantini che eccellevano sulle distinzioni dogmatiche, e sebbene la questione fosse apparsa  inizialmente trascurabile, si era andata ingigantendo nel tempo, fino  a creare la secolare divisione tra cattolici e ortodossi, con la reciproca accusa di eresia, divisione che appare assolutamente insuperabile ai fini della riunificazione (sebbene nel 1965 tra il papa Paolo VI e il patriarca ortodosso Atenagora vi sia stata una dichiarazione congiunta con cui essi si assumevano le reciproche responsabilità dello scisma...dichiarazione che evidentemente non porta alla soluzione del problema!) .

La questione  era stata dibattuta, tra le tante, in una conferenza del 1875 (ne parla Giovanni Markovic nelle prefazioni del libro “Gli Slavi e i papi” che si trova nella grande biblioteca multimediale creata da “Google”) tra cattolici e ortodossi (ricordiamo che anche papa Wojtila si era attivato e vi erano stati incontri per discutere sulla unificazione).

La decisione presa al Concilio di Firenze (1438) sulla unione (tratteremo l’argomento in apposito articolo), voluta e accettata dall’imperatore (Giovanni VIII Paleologo: 1425-1448) per essere salvato dall’Occidente dalla stretta dei turchi, è da considerarsi una occasione unica e irripetibile: a Costantinopoli popolo e clero non l’avevano accettata (per averne un’idea si legga Ducas: Historia turco-bizantina v. in Recensioni).

Essa a parere di chi scrive  non potrà più aver luogo  perché  il nocciolo del problema non è tanto la processione dello Spirito Santo dal Padre “e” dal Figlio (che comunque gli ortodossi non accettano perché per loro lo Spirito Santo è personalmente prodotto dal Padre e procede per il Figlio e non dal Figlio!), come è sotto specificato, ma è quella del Capo della Chiesa, che hanno i cattolici, e  gli ortodossi non hanno, per essere acefali; e non avendo nessun Capo sarebbe arduo riuscire a convincerli ad accettarne uno...che alla fin fine non potrebbe essere  che  il papa!  Come sarebbe difficile  convincere i cattolici a fare a meno del papa!

Un esempio può essere dato dal caso del cardinale Bessarione  (ne parleremo in uno specifico articolo), il quale aveva strenuamente  combattuto per la unione, ma pur riconoscendogli questo merito,  quando stava per essere eletto papa, anzi lo era stato in pectore  solo per una notte, i suoi colleghi cardinali rinunciarono a eleggerlo. Infatti alla morte del papa Pio II  (1464) durante lo scrutinio per l’’elezione del nuovo papa, la sera precedente alla elezione, i cardinali avevano deciso che la mattina seguente avrebbero eletto Bessarione,  ma poi si erano lasciati prendere dal dubbio “sulla opportunità di eleggere un eretico e così la mattina seguente uscì  eletto papa Paolo II (1464-1471).

E, valga come curiosità (storica) al Concilio di Firenze era giunto il patriarca di Costantinopoli Giuseppe, il quale per essere ricevuto dal papa Eugenio IV ufficialmente, doveva sottoporsi al bacio del piede... impensabile per un bizantino e per giunta patriarca di Costantinopoli; conclusione  il papa lo accolse non ufficialmente ma privatamente!

Nella  detta conferenza del 1875 gli ortodossi avevano precisato la problematica in sei punti con cui confermavano la loro posizione, che come si vede, mantiene la questione allo stesso punto di partenza:  nel senso che il riconoscimento della processione dello Spirito Santo dal Figlio come sostengono i cattolici, non sarà mai accettato. Ed ecco i sei punti:

1. lo Spirito Santo procede dal Padre, come dal principio, dalla causa, dalla fonte della divinità;

2. lo Spirito Santo non procede dal Figlio, perché nella divinità non vi è che un principio, una causa, per cui  tutto ciò che è nella divinità,  è prodotto (nella divinità);

3. lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio;

4. lo Spirito Santo è l’immagine del Figlio, che è l' immagine del Padre, esso procede dal Padre e riposa nel Figlio, come sua forza emanante;

5. lo Spirito Santo è personalmente prodotto dal Padre, egli è del Figlio, ma non è dal Figlio, essendo egli lo spirito della bocca divina la quale pronunzia il Verbo;

6. lo Spirito Santo forma la mediazione tra il Padre e il Figlio, ed è mediante il Figlio congiunto col Padre.

 

 

 

LA CONVERSIONE DEI BULGARI

L’ALFABETO CIRILLICO

SOSTITUISCE IL GLACOLITICO

 

 

I

 bulgari, diversamente dagli slavi, erano di origine turcomanna, come gli Unni dai quali discendevano e si erano stabiliti nella zona dell’estuario del Danubio, in Dobrugia; nel corso delle loro migrazioni si erano rimescolati con gli slavi e avevano creato (583) uno stato che sotto la guida di Kuvrat e con l’aiuto dell’imperatore Tiberio, si estendeva dal Caucaso al fiume Dniepr, ma dopo la morte di Kuvrat avevano ripreso e migrare.

Con il figlio di Kuvrat,  Asparuch (680-700) essi si spostarono verso il Danubio e ancora in Dobrugia col permesso dell’imperatore, ma poi combattendo contro gli stessi bizantini, cominciarono ad espandersi appropriandosi dei loro territori.

La regione ora occupata si estendeva dal Danubio ai Balcani e dal Mar Nero alla Serbia designata come Bulgaria, essa era abitata da tribù slave che furono sottomesse.

La loro definitiva affermazione si ebbe con il khan Krum (802-814) che catturò tremila bizantini trasferendoli in Bulgaria. Tra costoro vi erano certamente religiosi che predicavano il cristianesimo al quale Krum era contrario e suo figlio Omurtag (814-831) li perseguitò in maniera sistematica fino a giustiziarli in massa(818).

Omurtag aveva tre figli, Malamir che era succeduto al padre (831-836) e Vojin, Zvaniz:  uno di questi due (indicato da altri storici col nome di Enrabot), era stato convertito da un greco di nome Cinamus e Malamir li aveva fatti uccidere entrambi.

Come è sempre successo nella storia, che i popoli conquistatori hanno assorbito usi e costumi dei conquistati, anche i bulgari a contatto con i bizantini, come lingua usavano il greco e quella scritta era un misto di lingua protobulgara e greca, il ceto dominante invece manteneva usanze turche.

Nel campo della religione, il re Boris (852-889) aveva capito che solo con la religione il suo popolo sarebbe entrato a far parte tra quelli civilizzati, e fu il primo a farsi battezzare (864) da un missionario mandato da Fozio. I boiari però lo avversarono e organizzarono una cospirazione che Boris riuscì a sventare in tempo.

Fozio aveva mandato dei missionari per cristianizzare la popolazione, ma Boris aveva deciso di subordinare la nuova chiesa bulgara alla autorità di Roma piuttosto che a Bisanzio, e aspettava che il papa nominasse un  vescovo per la Bulgaria, ma il papa trascurò di prendere una decisione immediata e dopo alcuni anni Boris decise di rivolgersi a  Costantinopoli.

Bisogna ricordare che alcuni dei discepoli dispersi di Metodio, stavano attraversando la Bulgaria (Clemente il Presbitero,Naum, Savva e Angelario) e  si erano fermati nella capitale, Preslav dal re Boris il quale si rese conto della grande occasione che offriva la lingua slava con il riconoscimento dato dal papa come lingua sacra e ciò  avvicinava i bulgari ancor più a Bisanzio.

Boris aveva proseguito nella politica espansionistica di Krum, e aveva annesso diversi territori da giungere fino all’Adriatico (con territori presi all’Albania, Macedonia ed Epiro, parte orientale della Serbia, la Dardania, la Pelagonia).

Nel frattempo la lingua slava aveva soppiantato il greco e con la liturgia slava introdotta da Clemente (nel frattempo ordinato vescovo) il re Boris si rese conto della grande occasione di consolidamento della influenza bulgara, appoggiata dalla politica di  Clemente che incrementava la diffusione di traduzione di testi greci in lingua slava, ma ponendo le prime basi della cultura proto-bulgara alla quale attese anche il successore di Boris, il figlio Simeone (893-927).

Dopo  la morte di Clemente (916), anche l’impero bulgaro non doveva durare molto, destinato a entrare nell’orbita dell’impero bizantino.

Con la vittoria conseguita dall’imperatore Basilio II (Bulgaroctono-uccisore di bulgari, 957-1025) su Joann Vladislav (1018),  l’amministrazione bulgara fu assorbita da quella bizantina; anche quella religiosa fu posta sotto la diretta protezione dell’imperatore il quale istituì l’arcidiocesi di Ocrida che comprendeva tutto l’ex impero bulgaro e includeva le etnie greche. slave e valacche.

Basilio II aveva lasciato che l’istruzione e la vita spirituale bulgara proseguissero, dando alla popolazione greca e slava le stesse opportunità, in modo da mantenere l’equilibrio tra le varie etnie.

L’arcidiocesi di Ocrida era stata affidata a Clemente di Preslav il quale era un ottimo scrittore e aveva posto le basi della protostoria bulgara traducendo scritti esegetici delle Chiesa greca e trasmettendo così l’eredità di Cirillo e Metodio.

Non solo, ma fu probabilmente l’autore del secondo alfabeto cirillico (kirilica) in onore del maestro che sostituiva il “glacolitico” di Cirillo .

Il cirillico era più semplice del più complesso e difficile “glacolitico”,  che andava a sostituire (ma alcuni studiosi ritengono fosse precedente a Cirillo) ed era composto da trentotto lettere  di cui ventiquattro erano riprese dal greco e le altre quattordici erano state create per riprodurre i suoni peculiari della lingua slava: in particolare la sua forma si basava sulla maiuscola greca, già in uso, che si era estesa alla Russia e alla Serbia con la loro conversione al cristianesimo; con la conseguenza che l’alfabeto cirillico segnava i confini culturali e religiosi delle diverse popolazioni che facevano parte del mondo slavo.

Da quest’ordita si esclusero la Moravia che dimenticò tutta l’opera di Metodio, non solo, ma adottò l’alfabeto latino seguita, molto più tardi dalla Romania che aveva usato  il cirillico fino al XIX sec..

Nel XIV sec. il “cirillico” fu drasticamente riformato dal patriarca di Bulgaria, Eutimio con la eliminazione di tutte le lettere corrispondenti ai suoni, cadute in disuso, adattando l’ortografia alla necessità dei nuovi tempi.

Successivamente furono apportate correzioni alla ortografia e all’alfabeto, in Russia da Pietro il Grande (nel 1708/10), e dall’Assemblea dei Commissari del popolo (1918); in Serbia dal filologo Karadžić (1818) e in Bulgaria dal politico A. Stambolinski (1821) e dal nuovo regime (1945).

In Unione Sovietica, negli anni Venti del XX sec. stava per scomparire in quanto molti gruppi etnici non slavi, tra i quali i turchi, lo avevano sostituito con quello latino e si era fatta strada l’idea lungimirante di estenderlo agli slavi, sostenuta da A.V. Lunačarskij (che sosteneva che “l’alfabeto ci ha tenuti lontani dall’Occidente, ma anche dall’Oriente”), ma l’idea fu abbandonata dopo dieci anni, mentre l’alfabeto cirillico fu introdotto nella parte sovietica della Moldavia.

 

 

 

FINE

 

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