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Torre del Castello di Windsor

 

 

 

LE STREGHE DI WINDSOR

E LA STORIA DI JOHN PODGERS

E DEL NIPOTE WILL MARKS

DURANTE IL REGNO DI GIACOMO I

Racconto umoristico di Charles Dickens

(1812-1870)

Narrato da Mr Samuel Pickwick

Pubblicato in La Semaine des Familles 15.9.1883

nella traduzione francese

di Robert de Cerisy

 (pseud. di M.me G. Paris, alias

Marie Sophie Marguerite Mahou

 1852-ca 1917)

Fonte: Google Libri

Master Humphrey’s Clock

L’Horloge de Maitre Humphrey

E

MATTEW HOPKINS

IL TERRIBILE

SCOPRITORE  DI STREGHE

(nel racconto storico di Walter Scott)

a cura di Michele E. Puglia

 

 

 

JOHN PODGERS

 

 

D

opo un buon numero di anni il vecchio John Podgers viveva nella cittadina di   Windsor dov’era nato e dove egli fu a suo tempo seppellito; all’epoca regnava Giacomo I (*) e Windsor era una vecchia e curiosa città; John Podgers era un vecchio e curioso personaggio, di sorta che Windsor e lui legavano bene insieme e si lasciavano raramente, se non quando lui si assentava per una mezza giornata.

John Podgers era un uomo grosso e basso, dalla spalle larghe, un ventre rotondo; pettinato alla fiamminga; mangiava bene, beveva ancora meglio, così che arrivava a somigliare alle persone che si trovano nelle sue stesse condizioni.

Poiché era fortemente incline al sonno, divideva esattamente il suo tempo tra la tavola e il letto; si addormentava regolarmente con il suo ultimo boccone e non mancava di far visita alla dispensa non appena aveva aperto gli occhi, così ingrassava e ogni giorno diventava sempre più pesante.

Raccontava che di solito egli non dormiva così bene, di quando faceva un giro in lungo e in largo, al sole, nella strada, prima di pranzo, ciò che non mancava di fare   con il bel tempo.

Diverse persone pretendevano che vi fossero delle calunnie: non l’avete mai guardato quando osserva i buoi al mercato? Qualche persona degna di fede, avendolo ben osservato, riferiva che, compiaciuto a questa vista, mormorava con delizia: Bel bue, bel bue!

Fu su questa sagace osservazione che si basavano i saggi di Windsor (a cominciare dalle autorità del luogo), per affermare che John Podgers era un uomo di grande buon senso, a parte quelli che lo consideravano maligno;  che se appariva svogliato e apoplettico, egli aveva ancora dei lati solidi e aveva in lui molto più giudizio, che non si curava di mostrare: ciò che confermava anche questa impressione, era la sua maniera, piena di dignità, di scuotere la testa.

Insomma egli passava per uno di quegli uomini che caduti nel Tamigi non avrebbero fatto vani sforzi per spingersi a salvarsi, ma si sarebbero lasciati colare a picco borbottando, con l’aria di suprema gravità: così egli era profondamente stimato da tutte le persone oneste.  

Senza alcun affanno, sopportava passabilmente il suo vedovato, godendo di un grande appetito e un sonno eccellente; John Podgers, vi fa un certo effetto, non è vero? quello di un formidabile fortunato.

Ma le apparenze spesso ingannano, specialmente quando ne hanno almeno l’aria, e la verità è che, malgrado una esteriorità così pacifica, egli è tormentato e orribilmente molestato da una costante apprensione che lo assilla notte e giorno.  

Voi non ignorate che in quest’epoca certi nuovi spiriti femminili, designati sotto il nome di streghe, seminavano il disordine nel paese e infliggevano mille orribili torture ai poveri cristiani, lardellandoli a colpi di spilli e aghi, quando meno se lo aspettavano, e li menavano per aria con la testa in basso, con gran terrore delle loro donne e delle loro famiglie, evidentemente sconcertati di vedere il padrone di casa entrare all’improvviso, battere alla porta con i piedi e servirsi del raschino come un pettine. Queste erano le minori facezie di queste streghe; ma certi giorni esse ne commettevano cento altre, tutte più reprensibili, le une più delle altre e   per di più qualcuna disdicevole.

Il risultato fu che si gridava vendetta contro tutte le donne vecchie, per le quali lo stesso re, per una singolare contraddizione, non aveva alcuna simpatia.

In effetti, con la sua graziosa mano, egli scrisse una graziosa ordinanza, votando questi soggetti all’odio eterno, emanando editti con una quantità di graziose misure per ricercarle e massacrarle.

Così non passava giorno senza che almeno una strega non fosse più graziosamente al mondo, appesa, affogata o bruciata, in qualsiasi  luogo del regno.

La stampa rigurgitava di notizie straordinarie e spaventose, giunte dal nord al sud, dall’ovest e dall’est dove non si parlava che di streghe e delle loro vittime. Tutto ciò faceva drizzare i capelli del popolo inglese, al punto che più di un cappello non rimaneva sulla testa: tutti i volti erano letteralmente bianchi per il terrore.

Pensate che la piccola città di Windsor non si sottrasse al contagio generale; il giorno dell’anniversario della nascita del re, gli abitanti fecero bollire una strega e inviarono in una bottiglia il brodo così ottenuto al sovrano, accompagnata da un rispettoso indirizzo e protestando la loro profonda sottomissione.

Il re impressionato da questo strano presente, piamente lo mandò  all'arcivescovo di Canterbury.

Quanto all’indirizzo ricevuto, egli rispose con un messaggio contenete preziose indicazioni per scoprire le streghe, raccomandando particolarmente certe protezioni dagli incantesimi. Così che tutti gli abitanti di Windsor si misero ad attaccare ferri di cavallo sulle porte delle loro case e tanti genitori mandarono i loro fanciulli come apprendisti dai maniscalchi  per metterli al sicuro dai malefici, tanto che la professione si trovò presto nobilitata e fece furore

In mezzo a tutta questa emozione, John Podgers mangiava e dormiva come al solito,  ma scuoteva la testa più spesso dell’ordinario. Era stato notato che guardava meno i buoi e più le donne vecchie.

Si era fatto mettere sul muro della sua camera un’asse dove in una lunga fila, segnava tutte le notizie che riguardavano la stregoneria,  notizie il cui numero aumentava ogni settimana; egli lavorava allo studio degli incantesimi e degli esorcismi e parlava di certe femmine dal comportamento bizzarro che aveva visto la sera dalla sua finestra cavalcare attraverso l’aria, a cavalcioni sui manici delle scope: in breve egli viveva in preda a un perpetuo terrore di essere stregato.

Alla fine, assillato da questa idea che da sola si trovava nel suo cervello,  si potette concedere una libera attività – la paura delle streghe divenne la passione della sua esistenza.

Lui che fino ad allora aveva completamente ignorato cosa fosse un sogno, incominciò ad avere delle visioni di streghe su cui si fermavano i suoi occhi e dormendo o da sveglio, non ebbe più un istante di riposo. Si metteva nelle strade a tendere trappole per le streghe, dopo di che, in agguato in un angolo, spiava per delle ore intere.

I suoi strumenti erano di costruzione molto semplice, due fili di paglia messi in croce o dei piccoli frammenti di Bibbia, coperti da un pizzico di sale. Ma, bisogna dire che erano infallibili e se qualche vecchia vi incespicava passandovi sopra (ciò che capitava assai di frequente, in quanto il luogo prescelto era generalmente una carreggiata cosparsa di sassi), John, uscendo dal suo assopimento, si precipitava  su di essa e si appendeva al suo collo fino a quando non arrivavano a dargli man forte. Dopodiché la strega era immediatamente portata via e affogata.

A forza di catturare a questo modo vecchie donne e sottoporle a esecuzione sommaria, egli acquistò una grande popolarità; e siccome ne usciva sano e salvo, se non qualche volta con una scalfittura sul viso, finì per essere considerato invulnerabile.

Una sola persona si mostrò leggermente scettica nei confronti degli exploits di John Podgers.  Questa persona era suo nipote, un giovano stordito da costumi vagabondi, che aveva circa vent’anni e viveva con suo zio.           

Avendo compiuto i suoi studi, era lui a leggere ad alta voce le novità che componevano la letteratura fantastica collezionata da John Podgers; queste letture erano fatte di norma la sera, sulla piccola scala d’ingresso della casa; i vicini si riunivano lì, numerosi, per ascoltare questi raccapriccianti racconti. La paura, infatti, ha un tale fascino per l’uomo che quando gliene è data la prova, senza motivo reale e a spese altrui, allora la sua gioia sale al colmo.

In una bella serata d’estate, si trovavano dunque riuniti, ascoltando attentamente Will Marks (era il nome del nipote). Il berretto audacemente abbassato sull’orecchio, col suo braccio strettamente avvinghiato alla vita di una ragazza carina seduta accanto a lui, il giovano, con tono grave, ma con una vena d’ironia, leggeva - Dio sa di quanto ricamo era accresciuta - la raccapricciante storia di un gentiluomo di Northamptonshire che il demonio aveva completamente stregato.

John Podgers, coperto da un immenso cappello a pan di zucchero e vestito con un giustacuore molto corto, era seduto di fronte al lettore e considerava gli uditori con una espressione di fierezza e di orrore, molto edificante da vedere. Di tanto in tanto Will si fermava per osservare il suo uditorio in ansia; dopodiché il suo sorriso si accentuava, egli cambiava posizione approfittando per stringere più amorosamente ancora la sua cara compagna e si lanciava nella lettura di qualche nuovo prodigio che superava tutti gli altri.

 Il sole tramontava, dorando con i suoi ultimi raggi il piccolo gruppo, che, completamente assorbito, non faceva attenzione all’approssimarsi della notte né allo splendore di questo fine di giornata. Tutto a un tratto il rumore di un passo di cavallo che si avvicinava turbò il silenzio di quest’ora avanzata: il lettore si fermò bruscamente e gli uditori girarono la testa con stupore. Questo stupore non diminuì allorquando il cavaliere, bloccando la scala e arrestando bruscamente il cavallo, chiese dove abitasse un certo John Podgers.

Proprio qui” gridarono una dozzina di voci e dodici mani indicarono il grosso John.

Il cavaliere, gettando le briglie a uno di quelli che lo circondava, mise piede a terra, si avvicinò a John, il cappello in mano, ma l’aria fortemente preoccupata. “Da dove venite” gli chiese John. “Da Kingston, maestro” “E perché?”  Per una faccenda urgente”. “Di che natura?” , “Stregoneria”; Stregoneria! Quelli che assistevano contemplarono con sbigottimento il messaggero trafelato; costui a sua volta, guardava con non minore sbigottimento quelle persone, con l’eccezione di Will Marks il quale approfittando di non essere osservato, strinse ancora di più a lui la ragazza dandole due grossi baci. Certamente doveva essere stregato anche lui perché altrimenti non avrebbe osato abbracciarla a quel modo, senza che lei non lo avesse lasciato fare. “Stregoneria!” , urlò Will per soffocare il rumore del suo secondo bacio che era stato alquanto risonante. Il messaggero si rivolse verso di lui e, aggrottando le ciglia, ripeté la parola con maggior solennità di prima. Poi espose l’argomento di cui era stato incaricato: gli abitanti di Kingston, terrificati dalle orribili orge fatte dalle streghe intorno alla forca posta a un miglio dalla città, lo mandavano a chiedere aiuto al grande Podgers. Molte persone avevano distintamente sentito le grida delle megere durante il loro terribile sabba al quale tre vecchie donne della città erano veementemente sospettate di aver preso parte. Erano stati esaminati i precedenti, era stato tenuto un solenne consiglio e riconosciuto che per stabilire l’identità delle streghe in questione occorreva che una sola persona passasse la notte nel posto designato; ora, nessuno si era sentito il coraggio di affrontare tale pericolo e si era pensato a un dispaccio espresso a John Podgers, uomo di grande fama del quale un incantesimo proteggeva la vita e contro il quale il più diabolico sortilegio non aveva alcuna efficacia, per supplicarlo di andare questa notte stessa in quel terribile posto.

John ascoltò questa comunicazione con infinita calma e rispose con poche parole che egli  aveva un piacere inesprimibile a rendere un così piccolo servizio agli abitanti di Kingston, senza questa sciagurata predisposizione al sonno che nessuna persona al mondo deplorava più di lui in queste occasioni, ma che era un argomento maledettamente senza replica.

Pur tuttavia, egli aggiunse, egli conosceva un uomo (e guardava fissamente un robusto maniscalco), che, avendo passato tutta la vita a fabbricare ferri di cavallo, doveva essere assolutamente corazzato  contro il potere delle streghe, e che, la reputazione della sua bravura e compiacenza ne era sicura garanzia, avrebbe accettato l’incarico proposto.

Il maniscalco  lo ringraziò gentilmente per la sua opinione, di cui egli si sforzava di esserne degno, ma, egli aggiunse, che nelle presenti circostanze gli era impossibile accettare un simile incarico , atteso che la sua donna, alla quale tutti sapevano che egli era teneramente attaccato, sarebbe sicuramente morta.

Ora, dato che questa circostanza era notoriamente pubblica, ciascuno era esattamente a conoscenza del contrario, perché il maniscalco aveva l’abitudine di picchiare sua moglie  molto più spesso, che i mariti veramente affettuosi non hanno l’abitudine di fare. Nondimeno tutti i mariti presenti applaudirono con tutte le loro forze a questa risoluzione; essi dichiararono lo stesso tutti quelli che rimanevano saldamente al loro posto, pronti a sacrificare la loro vita, se fosse necessario (fortunatamente non lo era!), per difendere i loro compagni legittimi.

Placata questa esplosione di entusiasmo, tutti ritornarono di comune accordo verso Will Marks, che, il berretto più che mai sull’orecchio, seguiva la discussione con prodigiosa noncuranza. Non si era mai sentito confessare il suo scetticismo nei confronti delle streghe, ma egli aveva spesso fatto a loro spese degli scherzi da cui era stato dedotto che egli non vi credeva.

Tutti guardavano Will, gli assistenti bisbigliavano e mormoravano tra di loro. Alla fine , uno di essi esclamò: “Perché non proponete per la spedizione Will Marks?”

E come se ciascuno avesse avuto lo stesso pensiero, tutti insieme presero la parola e gridarono con una sola voce: Ah! Sì, certo! Perché non Will Marks? – Egli non ci pensa proprio, disse il maniscalco. Oh! Se non è lui, chi può prendersene cura, replicò un’altra voce tra la folla.

Egli non crede, lo sapete, sghignazzò un uomo piccolo dall’aspetto giallognolo, con il naso e il mento che si minacciavano l’un l’altro. E poi, disse, ingrossando la voce un gentiluomo dal viso scarlatto, lui è celibe. E’ precisamente quello che serve, aggiunse il maniscalco, e tutti gli uomini sposati ripeterono: “E’ giustamente ciò che serve”, come se tutti rimpiangessero di non essere anch’essi celibi. Come se avessero allora mostrato di avere coraggio!

Il messaggero lanciò a Will Marks uno sguardo supplichevole. “C adrà della pioggia questa notte e il mio cavalluccio grigio  è stremato” disse il ragazzo. Un sogghigno generale serpeggiò tra gli astanti. Non importa, riprese Will guardando tutto intorno a lui con un sorriso; “poiché nessuno ha miglior diritto da far valere su di me, per l’onore della città, io sono il vostro uomo e anche se mi fareste andare a piedi, sarei io stesso il vostro uomo. In cinque minuti sarò in sella, a meno che non sia privato da uno di questi degni gentiluomini dell’avventura, ciò che non farei per tutto l’oro del mondo”.

A questo punto si sollevò una duplice difficoltà; perché solamente John Podgers contrastò questa risoluzione con tutta la sua eloquenza, che era sottile, ma anche la ragazza la combatté, lei, con tutte le sue lacrime, e Dio sa se ne versò. Ma Will Marks rimase inflessibile. Per scherzo , egli ripeté le obiezioni di suo zio; in tre parole mormorò all’orecchio della ragazza e lei si illuminò con un fresco sorriso sulle labbra. Quando fu chiaro che egli aveva irrevocabilmente deciso e sarebbe andato, John Podgers tirò dalla sua borsa un carico di incantesimi di prima qualità; ma Will li rifiutò rispettosamente e ricevette dalla ragazza un bacio che lui ricambiò.

 “Guardate, disse Will, che bello essere maritata, e come tutti i mariti sono coscienziosi  e sensati. Non ve n’é uno tra di loro del quale il cuore non brucia di desiderio di soppiantarmi in questa avventura, e per tutti, nondimeno, il sentimento del dovere è il più forte: essi lo inchiodano al suo posto. I mariti di questa piccola città sono un esempio per il mondo!”.

Senza attendere la risposta di questo sarcasmo, egli rientrò nella casa  facendo schioccare le sue dita e si diresse verso la scuderia mentre gli uni davano da bere al messaggero, gli altri dissetavano il suo cavallo. I cinque minuti richiesti non erano ancora passati che Will riapparve, un buon mantello sulle braccia, un buon pugnale alla cintura, portando il cavallo alla mano, tutto bardato. E ora, esclamò Will saltando in sella, a cavallo e sulla strada! Coraggio, amico e pungiamo in due. Buonasera!”.

Egli baciò la mano alla ragazza, fece un saluto con la testa al suo grosso zio, salutò gli altri con il suo berretto e tutti e due partirono al galoppo, come se i loro cavalli avessero tutte le streghe d’Inghilterra alle calcagna. Un minuto dopo essi erano sulla strada.

Gli abitanti di Kingston erano al loro primo sonno quando Will Marks e la sua guida attraversarono la città e s’arrestarono davanti alla porta di una casa dove diversi dignitosi personaggi lì riuniti, attendevano ansiosamente l’arrivo del famoso Podgers.

Essi furono leggermente contrariati vedendo al suo posto quel giovane e gioioso compagno. Ma gli fecero ugualmente buon viso e gli diedero tutte le istruzioni possibili: come doveva nascondersi dietro la forca, prestare orecchio all’arrivo delle streghe, lanciarsi su di esse a un certo momento e caricarle di punta e di taglio, in modo che l’indomani le persone sospette potessero essere riconosciute e messe di fronte all’evidenza. Gli diedero ancora molti altri salutari consigli, e (ciò che andava meglio per l’impresa di Will) a fare una buona cena. Fatto tutto ciò, quando era prossima la mezzanotte, si uscì per indicare la forca dove doveva svolgere il suo lugubre appostamento.

La notte era oscura e minacciante, il rombo lontano dei tuoni e il sibilo prolungato del vento tra gli alberi aveva qualcosa di sinistro. Gli alti personaggi della città si stringevano così bene contro Will che egli camminava letteralmente sui talloni, urtando contro i suoi piedi e  inciampando sulle sue gambe a ogni passo.

Infine si arrestarono, arrivati in un posto solitario e desolato; essi mostrarono da lontano a Will  qualcosa di nero, dicendogli: Vedete bene quello, laggiù? Sì, rispose, ebbene? Gli risposero in poche parole che quell’oggetto indicava la forca dove doveva vegliare, gli augurarono buona notte nella maniera più amichevole e se la diedero a gambe, con tutta la velocità possibile.

Will si diresse arditamente verso la forca. Quando vi giunse al di sotto, egli alzò gli occhi e constatò con una certa soddisfazione che era sgombra e che niente pendeva dall’alto, salvo la catena di ferro che con l’azione del vento dondolava tristemente.. Egli osservò attentamente i quattro punti cardinali e decise di mettersi di fronte alla città in modo da dare le spalle al vento e quindi, se fosse stato minacciato da qualche sorpresa o da qualche cattivo colpo, sarebbe stato verosimilmente da quella parte che sarebbe sopraggiunto il primo attacco. Una volta prese queste precauzioni si avviluppò nel suo mantello in modo da tenere il manico del suo pugnale libero e alla portata della sua mano; e appoggiando il dorso contro la forca, il berretto questa volta un pò meno calcato sull’orecchio, si apprestò a passare la notte.


Giacomo I (1566–1625) figlio di Maria Stuarda, re di Scozia, alla morte di Elisabetta I (1603) le succedette nel regno; per la sua grande cultura i suoi  ventidue anni di regno d'Inghilterra furono indicati come “epoca giacobita”, che sostituiva l’epoca elisabettiana.

Per la sua duplice sessualità' si diceva che “Elisabetta era stata il re, ora Giacomo è la regina” (Rex fuit Elisabeth, nunc est regina Jacobus.

Per i rapporti avuti con George Villiers, lo aveva riempito di cariche, creandolo duca di Buckingam; era il primo della nuova dinastia, la precedente dinastia  si era estinta con l'ultimo duca, mandato al patibolo da Enrico VIII che aveva incamerato tutti i suoi beni.

Fece tradurre la Bibbia inglese che va sotto il nome di Bibbia di re Giacomo considerata eretica dai cattolici; esperto di stregoneria, scrisse un libro intitolato: Demonologia di re Giacomo.

 

 

SECONDO CAPITOLO

DEL RACCONTO

DI MR PICKWICK

WILL MARKS

 

A

bbiamo lasciato Will Marks addossato alla forca, il viso rivolto verso la città, cercando di scrutare nella oscurità della notte e aspettando la prima apparizione. Ma tutto era tranquillo e salvo l’ululato del vento che soffiava con raffiche attraverso la brughiera, salvo lo scricchiolio delle catene che pendevano al di sopra della sua testa, nessun rumore turbava il tetro silenzio della notte.

Passata circa mezz’ora Will si trovò più turbato dalla monotonia che non avrebbe avuto da un furioso fracasso e chiamò con tutti i suoi voti qualche antagonista contro cui poter intraprendere una bella e buona lotta, che non sarebbe servita che per riscaldarsi un pò.

A dire il vero il vento era pungente e sembrava penetrare fino al cuore del ragazzo, donde il sangue riscaldato per la rapidità della sua corsa, era al momento più impressionabile a questo soffio ghiacciato.

Will era coraggioso; la più rude stoccata, la lama più tagliente egli l’avrebbe considerata come un fuscello ma non poteva decidersi ad abbandonare il suo atteggiamento difensivo, perché egli aveva il vago presentimento di un attacco improvviso verso cui sarebbe stato più a suo agio a resistere, se fosse stato appoggiato a qualcosa, se questo qualcosa fosse stato una forca.

Egli non aggiungeva alcuna ulteriore credenza alle superstizioni dell’epoca eppure quelle che gli venivano alla memoria non erano fatte per rendere la sua situazione più gradevole. Egli ricordava come, a ciò che si raccontava, le streghe si riunivano all’ora dei fantasmi intorno alle forche, nei cimiteri e in altri luoghi raccapriccianti, per sbucciare la mandragora sanguinante o per strappare ai cadaveri la loro carne, ingredienti indispensabili per la preparazione dei loro malefici; come, accovacciate la notte, in luoghi deserti, scavavano sulle tombe con le loro unghie, e non mancavano mai, prima di cavalcare nell’aria, di ungere il proprio corpo con una delicata pomata fatta col grasso di bambini bolliti di fresco ... Il ricordo di tutti questi orrori passava e ripassava nello spirito di Will Marks che, coraggioso com’era, incominciò a trovare la sua situazione molto poco invidiabile. Presto, così come aveva previsto, la pioggia si mise a cadere abbondantemente e, sferzata dal vento in una spessa nebbia, oscurava  i pochi oggetti che la profondità della notte permetteva ancora di distinguere confusamente.

“Guarda!” gridò improvvisamente una voce, “Signore Dio! E’ caduto, però è lì in piedi come se fosse ancora vivo” Era stato dietro Will, nei suoi confronti, che avevano parlato! La voce era risuonata alle sue orecchie. Egli gettò il suo mantello, sfoderò il suo pugnale, imprimendo all’altra mano un movimento circolare, incontrò un pugno di donna che afferrò! Questa donna indietreggiò con un grido acuto e cadde in ginocchio dibattendosi. Un’altra donna con l’abito di lutto come la prima, in piedi immobile come radicata al sole, fissava su di lui uno sguardo selvaggio e scintillante che lo fece impallidire.

“Chi siete” urlò Will dopo averla esaminata un momento; “Chi siete voi?” ribatté la donna, “voi che deturpate finanche questo immondo asilo dei morti e spogliate la forca del suo prezioso fardello. Che avete fatto del cadavere?”

Stupefatto e terrificato, Will guardava alternativamente la donna che lo interrogava e quella di cui teneva il braccio.

“Che avete fatto del cadavere?” ripeté con maggior fermezza, la prima. Voi non portate la livrea  che indica che siete addetto al governo dei defunti. Voi non rientrate tra i nostri amici, altrimenti vi riconoscerei, perché le persone che sono nostre amiche sono poche! Chi siete dunque voi, e che cosa fate qui?

“Io non sono il nemico degli sfortunati e dei disperati”, rispose Will. “Siete voi tra costoro? Non lo direi a vedervi”. “Sì, noi siamo di loro”. “E siete voi che siete state sentite piangere e gemere con il favore della notte?”, domandò Will.  “Sì, siamo noi” replicò duramente la donna e indicando con un colpo d’occhio la compagna, “essa piange un marito e io un fratello”, soggiunse. La legge barbara che aveva appagato la sua vittoria con la morte, quella stessa legge non vieta di piangere i morti; e quando lo vietasse, cosa ci importa? Noi siamo al disopra delle sue minacce, come dei suoi favori”.

Will guardò le due donne: egli poteva tutt’al più vedere che la sua interlocutrice era di molto più anziana e che l’altra, la più giovane , pareva debole e delicata. Tutte e due erano mortalmente pallide; i loro vestiti erano logori e bagnati dalla pioggia: i loro capelli fluttuavano al vento: esse sembravano abbattute dal dolore e dalla sfortuna; esse avevano l’aria spossata, disperata, afflitta...

Uno spettacolo così differente da quello al quale si erano preparate, le aveva toccate giusto sul vivo; sentivano svanire in loro tutt’altri sentimenti che la pietà risveglia nella loro miserabile situazione.

“Chi sono?” disse Will, un semplice e grossolano contadino.” Perché sono qui?” Ve lo dico in due parole”. Vi hanno sentito gemere da lontano, nel silenzio della notte e mi hanno incaricato di venire a controllare ciò che credevano essere delle streghe o degli spiriti. Sono venuto aspettandomi un’avventura e deciso ad avere l’ultima parola. Se può servire qualcosa, vi posso prestare la mia assistenza o il mio appoggio, ditelo, e sulla fede di un uomo che sa essere discreto e leale, vi sosterrò fino alla morte. ù

Come mai questa forca è vuota? chiese la più anziana delle donne.

“Io vi giuro”, ribadì Will, “che io l’ignoro, come voi; ma so che è circa un’ora da quando sono arrivato ed era già vuota.”  E così, come posso concludere da quanto mi dite, non è stato altrimenti la notte scorsa, e sono persuaso che gli abitanti della città, laggiù, non sanno niente di questo stato di cose. Guardate piuttosto se avete degli amici con gli stessi vostri interessi ai quali la legge ha fatto le stesse vittime, che abbiano potuto prendere queste tristi spoglie per seppellirlo.”

Le donne si misero a parlare a voce bassa e Will arretrò di un passo o due mentre loro parlavano in disparte. Egli poteva sentire i loro singhiozzi e o loro gemiti, le vedeva torcersi le mani con una espressione di sterile disperazione, ma non gli era possibile capire cosa esse dicevano, però alcune parole che arrivavano alle sue orecchie bastarono a dimostrare che la sua supposizione non fosse lontana dalla verità, e che non solamente le due donne supponevano da parte di chi era stato prelevato il corpo, ma anche in quale luogo era stato portato. Infine esse andarono verso di lui e questa volta fu la più giovane a prendere la parola. 

“Ci avete offerto la vostra assistenza?”  “Effettivamente”. “Avete fatto una promessa che siete disposto a mantenere?” “Sì, certamente, fino a quando sarà in mio potere”; “Allora seguiteci, amico”.

Will rientrò nel pieno possesso del suo sangue freddo e non si fece ripetere una seconda volta l’invito. Il suo pugnale nella mano destra, il mantello avvolto intorno al suo braccio sinistro per servirgli da scudo, senza ostacolare la libertà dei suoi movimenti, egli si lasciò guidare dalle due donne. Essi fecero così più di mezza lega in un buio spesso e profondo, sotto il vento e la pioggia: tornarono: girarono infine su una strada oscura in mezzo alla quale apparve tutt’a un tratto, sotto un gruppo di alberi dove aveva cercato riparo un uomo che teneva alla mano tre cavalli sellati. Rispettoso all’ordine dato a bassa voce dalle due donne, lo scudiero diede uno dei cavalli (senza dubbio il suo) a Will che guardando le sue compagne salire in sella, fece altrettanto; poi, senza che una parola fosse pronunciata, tutti e tre si allontanarono senza più occuparsi dello scudiero.

Si diressero al galoppo verso Putney, senza arrestarsi né rallentare la loro andatura una sola volta. Arrivati davanti a una grande casa in legno, un pò isolata, scesero da cavallo e diedero le redini dei loro cavalli a un uomo che pareva attenderli. Entrarono attraverso una porta nascosta e dopo essere saliti attraverso una scala stretta, dove gli scalini scricchiolavano sotto i loro piedi, entrarono in una piccola stanza con le finestre chiuse dagli scuri, dove Will fu lasciato solo. Poco tempo dopo, la porta si aprì senza far rumore e il nostro amico vide entrare un cavaliere che aveva il viso coperto da una maschera nera.

Will si mise in guardia e osservò dalla testa ai piedi il nuovo venuto; il suo aspetto era quello di un uomo  molto avanti negli anni ma da una corporatura robusta e imponente; i suoi vestiti erano ricchi e sontuosi ma sporchi e in disordine; indossava stivali e speroni e tutta la sua persona portava le tracce di lunghi percorsi come lo stesso Will Marks. Costui osservò tutti questi particolari, tanto che gli occhi dell’uomo mascherato lo avevano squadrato con uguale attenzione. Terminato il loro reciproco esame, fu il cavaliere a rompere il silenzio.

“Tu sei giovane e audace; senza dubbio, vorresti diventare più ricco di quello che sei?”

“Sono giovane e audace” rispose Will; “Quanto a essere ricco non me ne sono ancora troppo preoccupato, fino ad ora; ma ammettiamo che sia così, supponiamo che io desideri in effetti la fortuna. In questo caso....?  --- “Tu hai davanti a te il cammino che ti conduce” --- “Mostramelo” ---- “Sappi che se ti hanno portato qui è stato per impedirti di raccontare troppo sulla tua avventura a coloro che ti hanno affidato l’incarico.” --- “Io l’ho ben pensato seguendo le mie due guide. Ma sono tranquillo, io non sono chiacchierone.” 

“Bene, riprese la maschera,, Ora ascolta: colui che deve prendersi cura di seppellire il cadavere, --- che come tu avrai supposto, è stato tolto questa notte dalla forca --- ci ha lasciato in imbarazzo---“

Will approvava con la testa. Tra di sé egli pensava che se la maschera avesse tentato qualche colpo di sorpresa,  la prima asola del suo giustacuore, contando dai bottoni in mezzo al petto, sarebbe stato un buon punto per infilare esattamente la sua spada.

“...Ma tu, ecco, e l’occasione è unica. Io ti propongo il lavoro di colui che ci ha abbandonati. Portaci domani sera il corpo, che si trova in una bara che si trova nella chiesa di Saint-Dumstan, a Londra, nel modo che tui suggerirò e tu sarai largamente pagato. Tu potresti aver voglia di sapere che cosa è questo corpo: Ebbene, credi a me! Non t’inquietare, non cercare di indovinare. I morti della polizia di Stato, loro vittime, loro vendette non sono cose buone da conoscere per persone della tua sorte.

--- Il mistero che circonda questa impresa , ribatté Will, ne indica tutto il pericolo. Qual’é la ricompensa? --- Cento ghinee d’oro, replicò il cavaliere. Per chiunque non possa essere riconosciuto come affiliato a un partito distrutto, il pericolo non è grande, ma vi sono dei pericoli da correre. Decidi tra i pericoli e la ricompensa offerta.

--- E se rifiuto? Chiese Will. --- “Va in pace in nome del Signore, rispose la maschera con malinconia; e mantieni il nostro segreto. Ricordati che tu sei stato portato da due povere donne oppresse, annientate dal dolore e che colui che ti ha lasciato partire liberamente  avrebbe potuto con una sola parola, avere la tua vita senza che nessuno potesse venirne a conoscenza.” 

In quei tempi lontani, si era più disposti di oggi a tentare delle avventure disperate. Per di più, in questa circostanza particolare, la tentazione era grande e altrettanto era la punizione, in caso di scoperta; Will non pensava potesse essere tanto severa, perché era uscito da una famiglia ben pensante;  suo zio godeva di un’ottima reputazione e sarebbe stato facile per il nostro eroe trovare un motivo plausibile per spiegare come il corpo di uno sconosciuto si trovasse in suo possesso.

Il cavaliere spiegò che un carretto coperto era stato già pronto; che l’ora della partenza doveva essere fissata in modo da attendere sul ponte di Londra all’imbrunire e attraversare la città alla caduta del giorno; che al termine del trasporto avrebbe trovato delle persone in attesa per rilevare la bara e deporla in una tomba senza perdere un istante; che per lui sarebbe stato facile, per gli ufficiali che  lo avessero interrogato per strada, raccontare che andava a interrare il cadavere di un uomo morto di peste: in breve, la maschera gli espose tutte le ragioni per le quali doveva riuscire nell’impresa, e non ne trovò una che potesse farlo fallire.

Qualche istante dopo, ambedue furono raggiunti da un altro personaggio, ugualmente mascherato che aggiunse nuovi argomenti a quelli già esposti dal primo cavaliere; poi giunse la moglie desolata che mescolò le sue lacrime e le sue suppliche alle domande più calme dei suoi due compagni. Alla fine  Will, preso da compassione e spinto dalla sua naturale bontà, per amore del meraviglioso, per un malizioso presentimento di terrore che avrebbero provato  le persone di Kingston il mattino, nel constatare la sua scomparsa, e finalmente anche la prospettiva  di una bella ricompensa, dichiarò di accettare la missione e impiegò tutte le sue facoltà per assicurare il buon esito della esecuzione. L’indomani sera, quando si era fatto buio, gli echi sonori del vecchio ponte di Londra ripercorrevano il rullio del carretto che conteneva il sinistro carico affidato alle cure dei Will Marks. Costui, sufficientemente travestito per non attirare gli sguardi, camminava alla testa del cavallo, dall’aspetto così noncurante come poteva essere un ragazzo pieno di ardire e sicurezza come lui, si sentiva giunto al punto più pericoloso del suo tragitto. Erano le otto. A partire dalle nove non si poteva più circolare per le strade senza rischiare la propria vita e da quest’ora i furti a mano armata, i morti stessi, erano cose frequenti. Sul ponte, tutte le botteghe erano chiuse; le basse arcate di legno poste al di sotto del selciato sembravano tanti ripari per servire da imboscata per gruppi di tre o quattro individui dall’aspetto malvagio; qualcuno faceva la guardia stando in piedi addossato al muro, altri si nascondevano negli anditi delle porte, altri ancora andavano e venivano, urtando a ogni istante un passante o un cavallo per far nascere qualche lite. Nello stesso momento Will sentì alle sue spalle un tintinnio di spada;  ma egli conosceva la città e le sue abitudini e continuò nel suo cammino senza girare la testa.

Le strade che allora non erano pavimentate, erano state convertite dalla pioggia della veglia in una vera e propria cloaca, inzaccherate dalle grondaie dei tetti, l’immondizia, le acque, ulteriormente ingrossate delle massaie di tutte le case vicine. Tutto questo orribile sudiciume che si lasciava corrompere nell’atmosfera pesante e densa, sprigionava un fetore insopportabile al quale ciascuna casa, ciascun passaggio contribuiva per la sua parte, in molti punti, specie nelle vie principali, grazie ai piani delle case che superavano l’allineamento,  minacciavano la testa dei passanti e impedivano  quasi interamente la vista del cielo, si sarebbe creduto di essere in una canna di un grande camino, piuttosto che in piena aria. Ad alcuni incroci erano stati accesi dei grandi fuochi per prevenire lo sviluppo dei miasmi della peste, che, da ciò che si raccontava, aveva di recente fatto alcune vittime. E tra questi che, approfittando del chiarore dei fuochi, si fermavano un istante per guardarsi intorno, ben poco avrebbero potuto meravigliarsi dell’esistenza della epidemia e dubitare di questa terribile verità.

Ma non fu in scene di questo genere, né nello stesso tempo nella profondità fangosa e acquitrinosa della strada che Will Marks aveva trovato i più seri ostacoli alla sua marcia. I corvi e gli avvoltoi che avevano annusato il carico del carro, che lo seguivano, erano appostati e dimostravano con il loro gracchiare, la perfetta conoscenza del suo contenuto, così bene che il loro appetito vorace, l’inquietava ancora di più.

Lì vi erano due o tre uomini che si precipitarono su Will e gli ordinarono, sotto pena di morte, di mostrare ciò che trasportava; qui vi era una pattuglia di sorveglianza che gli sbarrava la strada. Tutti questi disturbatori, Will dovette allontanarli, sia con belle parole, sia con ingiurie e sia con la forza di un pugno. Egli non era un ragazzo che arretrava o cambiasse strada  una volta giunto così vicino al suo scopo; e poiché avanzava lentamente, egli continuò a discendere Fleet Street e giunse infine alla chiesa. Così come tutto era stato concordato, tutto era pronto. Appena arrivato, la bara fu presa da quattro uomini apparsi repentinamente come se fossero scaturiti dalla terra. Un quinto salì sul carro e prima che Will avesse avuto il tempo di riprendersi dalla sorpresa, partì in gran fretta: il nostro amico non rivide mai più né il carro, né l’uomo.

Will seguì il corpo nella chiesa e fece bene a non perdere tempo perché la porta si chiuse immediatamente alle sue spalle. L’oscurità era completa all’interno del monumento; solo due uomini, avviluppati in grandi mantelli, portavano due torce illuminate e si tenevano ai bordi di un sotterraneo. Ciascuno di essi sosteneva due figure femminili. Tutti osservavano il più profondo silenzio. Con quel barlume confuso Will riconobbe gli uomini che, con la testa scoperta, avevano portato la bara nel sotterraneo, che lo fermarono subito. Uni di quelli che portavano le torce  si rivolse verso di lui e gli consegnò una borsa piena d’oro.

“Prendi, gli disse a voce bassa il cavaliere che Will riconobbe come l’uomo mascherato della villa, e ritieniti fortunato.  Ben che queste esequie sono state bene affrettate e che nessun prete abbia benedetto questa faccenda, tu non avrai da pentirti per aver depositato le spoglie di questo sfortunato, accanto a quelle dei suoi. Non parlare di questo con nessuno e che Dio lo guardi.  

--- “Che ti benedica come io stessa ti benedico, gridò la più giovane delle donne, io che non ho più né marito né figlio la cui speranza e la pace riposano in questa tomba” .

Will rimase immobile, con la borsa in mano, fece il gesto involontario come per restituirla,  perché egli non credeva alle grandi cose in quanto era un’anima generosa e leale. Ma i due uomini che tenevano le loro torce, gli fecero segno di ritirarsi, il saluto era dettato dalla più estrema prudenza. Will obbedì e riprese il percorso attraverso il quale era entrato e si trovò nella strada.

Nel frattempo le autorità locali di Kingston erano rimaste sul piede di guerra e avevano vegliato tutta la notte; immaginavano che di tanto in tanto il vento avrebbe fatto sentire delle urla orribili. Essi si guardavano tra di loro in ogni momento, si serravano tra di loro presso il fuoco e bevevano alla salute della povera sentinella abbandonata, sul conto della quale un gentiluomo appartenente al clero, che si trovava là, si esprimeva con una  severità tutta particolare.

Due o tre dei personaggi più seri dell’assistenza, che avevano il gusto  profondo delle questioni teologiche gli chiesero se non pensasse che questo giovane fosse ben insufficientemente armato per un singolare combattimento contro il demonio e se egli stesso con il suo carattere sacro non avesse per lo spirito del male un più temibile avversario; ma il gentiluomo che apparteneva al clero rispose acidamente che erano piuttosto presuntuosi  per discutere di simili questioni e dimostrò loro chiaramente che non avrebbero potuto scegliere un campione migliore di Will: in effetti, non solamente costui, come figlio di Satana, era meno esposto ad avere paura all’apparizione di suo padre; ma ancora, da un altro punto di vista, Satana stesso doveva essere ben più a suo agio in simile compagnia: lui non si farà scrupolo di scagliarsi e dibattersi ben altrimenti che non si sarà avventurato a farlo sotto gli occhi di un membro del clero.

Ma quando arrivò l’indomani mattina senza aver portato Will Marks, quando un gruppo numeroso (essi dovevano essere numerosi per azzardarsi là, anche se in pieno giorno) si fu recato sui luoghi, dopo aver constatato la scomparsa di Will, oh! allora la cosa incominciò a sembrare grave! Il giorno passò senza portare nuove notizie: arrivò la notte, niente... la situazione diveniva ancora più critica .... poco a poco si venne a familiarizzare così bene con questo spaventevole mistero, che era positivamente da chiedersi se l’impressione generale non fosse tutto semplicemente un sentimento di disinganno profondo. Infine il mattino del secondo giorno, Will comparve.

Alla generale sorpresa egli giunse perfettamente calmo e placido, non pareva per niente preoccupato, se non nei confronti di John Podgers che era stato inviato a cercarlo e che installato al municipio gemeva debolmente e si addormentò per un istante.

Will abbracciò suo zio e lo rassicurò di essere sano e salvo e salì su un tavolo per raccontare la sua odissea alla folla.

Questa folla era ansiosa e voleva a ogni costo essere informata. Così vi assicuro che Will non risparmiò niente a questo effetto. Egli raccontò della danza delle streghe descrivendone i movimenti, persino i più insignificanti delle loro gambe; e l’eseguiva anche sul tavolo con l’aiuto di un manico di scopa; egli raccontò come quelle megére avevano tolto il cadavere dalla forca e lo avevano messo in un paiolo di rame e lo avevano così ben affascinato, lui, Will Marks, che egli aveva perso conoscenza; e riprendendo i sensi egli si era trovato a quattro leghe di distanza, su una siepe, da dove era arrivato esattamente nelle condizioni che tutti potevano vedere.  

Questo racconto suscitò un entusiasmo generale, che ebbe per effetto, poco tempo dopo di mandare espressamente da Londra il grande “scopritore” di streghe dell’epoca, il divino Hopkins (*).

Dopo qualche questione posta a Will in particolare, egli dichiarò che la sua avventura era la storia di streghe la più bella e la più degna di fede che possa essere stata raccontata. E fu proprio con questo titolo che apparve nella libreria delle Tre Bibbie sul ponte di Londra, in formato piccolo in-quarto, con la riproduzione di un paiolo con uno schizzo originale e il ritratto di un gentiluomo appartenente al clero, rappresentato nella stessa posizione che egli occupava nel cantone del fuoco.

Will fece una descrizione talmente straordinaria delle streghe che aveva visto, che esse avevano appena la figura umana; fu così che egli salvò la vita agli sfortunati che erano sospettati e a tutte le donne vecchie che gli portavano davanti per farle riconoscere.

Questa circostanza contrariò vivamente John Podgers; egli si consolò un giorno facendo bruciare vive la sua donna di casa che soffriva di reumatismi e che egli accusava di stregoneria: Questa azione strepitosa lo fece creare immediatamente cavaliere e a datare da questo momento egli divenne sir John Podgers.

Will Marks non scoprì mai la chiave del misterioso enigma. Egli ebbe in seguito, la possibilità di tornare a Saint-Dunstan, e non trovò in alcun modo una minima iscrizione esplicativa e le ricerche, forzatamente limitate che credette di poter fare,  non gli rivelarono niente.

Egli osservava religiosamente il suo segreto ciò che l’obbligava a non spendere l’oro se non con la più grande circospezione.

In capo a qualche tempo, egli sposò la ragazza di cui ho già avuto occasione di parlarvi, il cui nome non ci è pervenuto e visse con lei nella fortuna e nella prosperità. Alcuni anni dopo questa avventura egli arrivava a raccontare, durante le notti di temporali, alla sua donna, che per lui era una gran consolazione pensare che quel cadavere, quel che fu, non si sbiancasse nell’atmosfera avvelenata di un ossario, ma che la sua polvere si sarebbe confusa con quella dei suoi parenti e dei suoi figli nella pace della tomba.

 

 

*) E’ Mattew Hopkins il terribile scopritore di streghe; a lui Dickens si ispira con il personaggio di John Podgers, v. Scheda. Mattew Hopkins Scopritore di Streghe ecc. .

 

 

FINE