LIBER VAGANS


In questa rubrica parleremo di quei libri, a carattere saggistico-memorialistico (e non solo) da cui si è tratto un tal diletto che non se ne può fare a meno di parlarne e che, dopo aver letto, hanno lasciato il dolce sapore della lettura.
Insomma, visto che i libri hanno una loro sensualità, anche questi, ma non tutti, lasciano il segno, come lo può lasciare una donna (o viceversa, un uomo) della quale si è stati innamorati o con la quale si è folleggiato, e che, se non la si é sposata (e in questo caso le cose possono cambiare!), ha lasciato un bel ricordo.
Li indichiamo nella speranza che in altri lettori (i gusti però sono sempre soggettivi) suscitino lo stesso piacere e le stesse sensazioni.
Il libro sarà vagante in quanto quelli che saranno indicati non avranno tra di loro un nesso logico, non saranno legati da un filo conduttore e potranno essere anche non tanto freschi di stampa.
La rubrica non è da considerare di recensione, essendo stata a questa dedicata altra sezione della rivista
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INDICE

STORIA AMOROSA DELLE GALLIE

STORIA DELLA MONACA ALFIERE SCRITTA DA LEI MEDESIMA

 


STORIA AMOROSA DELLE GALLIE

 

Questa Storia amorosa delle Gallie di Roger de Bussy-Rabutin non è né saggio né libro memorialistico. L' autore lo definisce un romanzo satirico. Lo si può invece definire memoriale romanzato, meglio semplicemente memoriale, nonostante gli sforzi dell' autore per non farlo apparire tale.
Il libro è stato pubblicato (1992) da Sellerio (nella piccola e preziosa collana La memoria n.266) che ha il merito e la capacità di pubblicare piccoli tesori che vengono cercati con la lanterna di Diogene.
Il libro scritto intorno al 1655 aveva creato all'autore, di nobiltà feudale, parecchi grattacapi. De Bussy-Rabutin, spirito vivace e di vena satirica ereditata dagli antenati, gente molto allegra e di grande comicità, aveva suscitato parecchi risentimenti e invidie tali da far risolvere Luigi XIV a mandarlo prima alla Bastiglia (che all'epoca era la prigione dei nobili) e poi in esilio nelle sue terre (che per un nobile era la peggior punizione). Ce lo racconta lo stesso autore nella Lettera al duca di Saint-Aignan, che viene implorato per chiedere al re la sua benevolenza (questa lettera, riportata nel libro, costituisce un antefatto, che è una storia nella storia).
DeBussy-Rabutin racconta che, trovandosi in campagna, per scacciare l'ozio, decise di scrivere una storia, ma senza l'intenzione di farne cattivo uso, e, facendo ricorso alla fantasia, aveva inventato fatti di cui non aveva sentito parlare. Poiché sarebbe stato insignificante scegliere come eroine due donne senza nascita e senza merito, racconta l' autore, ne prese due che non mancavano di nessuna buona qualità, anzi, avendone tante, l'invidia avrebbe reso credibile tutto il male che avrebbe potuto inventare sul loro conto.
De Bussy-Rabutin aveva usato la leggerezza di mostrare il libro a un'amica, che era in un monastero. Costei glielo chiese per sole quarantott'ore, ma qualche giorno dopo tutta Parigi conosceva la storia. Le quarantott'ore erano servite per copiare il libro, che era stato poi ulteriormente copiato e falsificato. Una di queste copie era stata consegnata al re, al quale De Bussy aveva precipitosamente fatto avere una sua copia originale. A Luigi XIV il libro era piaciuto, ma, oramai, l'offesa non poteva essere perdonata perchè era stata innanzitutto arrecata a due nobili donne di corte e, inoltre, nella sua storia aveva coinvolto personaggi troppo vicini al re.
Inutilmente egli aveva fatto sapere al re che, dopo tanti anni al suo servizio, non aveva voluto mancargli di rispetto, ma questo non lo affrancò dall'essere caduto per sempre in disgrazia , che gli aveva procurato tredici mesi di Bastiglia e diciassette anni di esilio, ai quali De Bussy aveva aggiunto dieci anni di confino volontario.
Che dire del libro? Intelligente, spiritoso, intrigante, brioso… <Poiché sotto Luigi XIV la guerra durava da più di vent'anni…la maggior parte delle donne era diventata meno pudica di un tempo. Rendendosi conto che avrebbero languito nell'ozio se non avessero preso l'iniziativa, o peggio, se si fossero comportate crudelmente, molte erano accondiscendenti, alcune addirittura sfrontate. A quest'ultima schiera apparteneva M.me d'Olonne. Essa aveva il viso tondo, il naso ben fatto, la bocca piccola, gli occhi brillanti e vivaci e i tratti delicati. Il riso che fa diventare chiunque più bello su di lei faceva l'effetto contrario. Aveva i capelli d'un castano chiaro, un seno meraviglioso, il collo, le mani e le braccia ben fatti. Aveva però una figura ordinaria, e, se non fosse stato per il viso, non le si sarebbe perdonato il suo aspetto…Gli adulatori dissero che aveva un corpo ben fatto, che è ciò che dice di solito chi vuole scusare le donne che hanno qualche chilo di troppo>.
E la descrizione di un altro personaggio, M.me de Fiesque: <Aveva gli occhi neri e brillanti, il naso ben fatto, la bocca gradevole e di un bel colore, la pelle bianca e liscia, la forma del viso allungata. Era l'unica persona al mondo che fosse stata resa più bella da un mento a punta. Aveva i capelli d'un biondo cenere, era sempre molto curata ed elegantemente vestita, anche se la sua eleganza le veniva più dal portamento che dai magnifici abiti che indossava…Non so se la sicurezza dei propri meriti le togliesse la voglia di cercarsi degli amanti, ma certo non si dava nessuna pena per averne. Comunque quando se ne presentava spontaneamente uno, non aveva né la severità per respingerlo né la dolcezza per trattenerlo. Che se ne andasse, se voleva; rimanesse pure, se desiderava, e qualsiasi cosa volesse fare, che la facesse a proprie spese.>

Dello stesso tenore le descrizioni di tutti gli altri personaggi (il libro riporta un regesto, curato da Roberto Tinti, in cui sono elencati tutti i personaggi storici ivi elencati). Non parliamo degli intrecci. Quasi non si crede che questo libro sia stato scritto nel Seicento!
Nella postfazione, Castelli in aria, che contiene notizie biografiche dell'autore, Daria Galateria dice che anche le Memorie, scritte da Bussy-Rabutin durante l'esilio, sono tra le più belle della letteratura.
Chissà se vi sarà mai qualche editore coraggioso che le pubblicherà in Italia.

 

FINE

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STORIA DELLA MONACA ALFIERE
SCRITTA DA LEI MEDESIMA

 

Si tratta di uno dei libri mignon della collana Il divano (Sellerio, 1991). E' il racconto avventuroso della vita di Catalina Erauso, che sarebbe di genere picaresco se ciò che è raccontato non fosse tutto vero. Scritto con linguaggio secco, ridotto all'essenziale, senza lasciarsi andare ad approfondimenti di fatti o di stati d'animo o emozioni, che, visto l'interesse con cui si legge, il lettore avrebbe voluto anche conoscere.
Catalina è messa in convento all'età di quattro anni e vi rimane fino a quindici, fino a quando, dopo essere stata malmenata da una suora, si trova in mano le chiavi della cella della superiora, e a volo prende la decisione di andarsene (aveva maturato la decisione e desiderava farlo da tempo, era preparata a farlo? Non è dato sapere!). Raccolte poche cose, filo, ago, forbici e delle monete, esce dal convento. Rimane per tre giorni nel castagneto vicino al convento intenta a ritagliare dalla gonna un paio di brache e dalla sottana una camicia. Tagliati i capelli eccola trasformata in un ragazzo (come il romanzo M.lle de Maupin di Teophil Gautier) e per tale si farà passare per tutto il resto della vita, assecondata dal fatto di avere un fisico asciutto con un seno appena accentuato che in seguito farà in modo che rimanga tale, con applicazione di un intruglio.
Stranamente, pur essendo vissuta tra uomini non aveva mai destato alcun sospetto, lasciandosi all'occorrenza passare per castrato (e rimarrà vergine). Di questa sua condizione ne approfitterà per avere rapporti con donne che preferiva, come aveva scritto, belle, agli uomini, e che spesso le venivano tranquillamente affidate.
Si mise in cammino senza avere una meta nutrendosi di radici finché giunse a Vittoria dove trovò un professore del luogo che l'accolse e la rivestì a nuovo e scoprendo che conosceva il latino volle darle insistentemente delle lezioni…fino ad alzare le mani. Per Catalina non occorreva altro. Decise di andarsene.
Quello che meraviglia in questa donna alfiere, è la immediatezza delle decisioni. Vale a dire che, nel momento in cui si accorge che qualche cosa non va o sta per non andare bene, prende immediatamente una decisione.
Va via dopo aver prelevato del danaro e incontrato un mulattiere si accordo per il trasporto e si reca a Valladolid. Qui c'era la Corte del re. Si fa assumere dal segretario del re, come paggio. Dopo sette mesi arriva dal segretario, il padre che però non la riconosce, raccontando che la figlia era fuggita dal convento e la sta cercando. Catalina non fa altro che prendere la sua roba e recarsi alla locanda dove trova un carrettiere con cui concorda, senza sapere cosa fare e dove andare, di farsi portare come piuma al vento. Giunge a Bilbao dove le capita la prima avventura (se ciò che ha fatto fino ad ora non lo fosse!). C'era un gruppo di ragazzi che le si avvicina circondandola e lei (Catalina però parla sempre al maschile), presa una pietra, ne colpisce uno. Viene acciuffata e tenuta in carcere per un mese.

Rilasciata, si reca ad Estella di Navarra facendo il paggio presso il signore del posto. Vi rimane due anni trovandosi anche bene, e non avendo altro motivo che la irrequietezza, va via recandosi al suo paese. Nessuno la riconobbe e addirittura andando in chiesa incontra la madre che pur guardandola non la riconobbe. Da lì si reca a Pesajes dov'era una nave diretta a Siviglia. Pattuito il prezzo, si imbarca per Sanlucar. Qui trova un compaesano, capitano di una flottiglia che andava nelle Indie occidentali. Catalina si imbarcò come mozzo. Era il 1603, Catalina aveva diciotto anni.
A Panamà fu assunta da un mercante che dopo alcune tappe la portò a Sa(g)na dove Catalina assolve bene al compito di amministrare e gestire l'attività del mercante che ne è soddisfatto. Un giorno Catalina se ne va a teatro e mentre è seduta su uno sgabello, le si mette davanti un tipo che alla sua richiesta di spostarsi le risponde di andarsene altrimenti le (gli) avrebbe tagliato la faccia. Al momento Catalina non reagisce perché disarmata, perciò va via con la rabbia addosso. Il giorno dopo lo vede passare davanti alla bottega, immediatamente chiude la bottega prendendo un coltello e recandosi da un barbiere per farlo affilare. Raggiunge il tipo, lo chiama, quello risponde, che c'è…che questa è la faccia da tagliare risponde Catalina e quello si trova con un bel taglio al viso. L'amico che era con lui prende la spada e dopo aver duellato per poco, Catalina (portava sempre la spada con sé ed era brava nell'usarla) lo trafigge facendolo stramazzare al suolo. Presa e arrestata, dopo qualche altra vicissitudine il padrone la fa trasferire a Trujillo.
Le avventure continuano, e Catalina era riuscita a sopravvivere a duelli, durante i quali infilza parecchie persone compreso suo fratello che non aveva riconosciuto, uccidendolo, ricevendo in molte occasioni gravi ferite da cui era uscita viva per miracolo (oltre che di spada era lesta di lingua; durante una partita a carte un giocatore che stava perdendo si alza dicendo che voleva vedere. Cosa risponde Catalina; vedere un corno! fa l'altro. Bene, fu la risposta, io vedo l'altro che le rimane!; la faccenda non finisce qui perché il giocatore uscito l'aspetta in strada per aggredirla, ma rimane infilzato), combattimenti e agguati, era anche sfuggita per un pelo a una impiccagione, per fortuna dovuta al fatto che il boia non riusciva a infilarle il cappio e nel frattempo arriva l'ordine di sospensione della esecuzione.
Ci fermiamo qui altrimenti corriamo il rischio riportare tutte le centoventi pagine del libro,facendo un torto all'Editore!.
Catalina era riuscita a sopravvivere a tanti avvenimenti venendo infine gratificata dal re di Spagna che le concesse il titolo di alfiere, chiamandola alfiere donna Catalina de Erauso, a Roma baciò il piede al papa (Urbano VIII) e con provvedimento del Senato venne iscritta nel registro dei cittadini romani, e il papa le diede la dispensa di vestire da uomo. Andò a finire i suoi giorni in Messico dove durante un viaggio si ammalò e mori nel 1650 quasi sessantenne.

 

FINE

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