Tarocchi d’Arte della Produzione Lo Scarabeo - Torino

 

 

 

IL LIBRO DI THOT

TRA LIBRO DEI TAROCCHI

E CORPUS HERMETICUM

 

Michele E. Puglia

 

SOMMARIO: INTRODUZIONE; LE XXII CARTE DEI TAROCCHI E LA LORO ALLEGORIA; DIVISIONE DELLE CARTE LE VIRTU’ CARDINALI IL RE TRIONFANTE; TAROCCHI CINESI SPAGNOLI E FRANCESI; L’ESOTEISMO DEI TAROCCHI E LA DIVINAZIONE; IL CORPUS ERMETICUM: LA LEGGENDA - I ROSA-CROCE E LA MASSONERIA; IL CORPUS HERMETICUM: LA RIVELAZIONE E IL CONTENUTO; NASCITA E VICISSITUDINI DI ISIDE E OSIRIDE E DIVINITA’ EGIZIE; ISIDE E OSIRIDE E IL TRIBUNALE DEI DEFUNTI.

 

 

INTRODUZIONE

 

 

I

n un libro pubblicato ad Amsterdam nel 1787, “Leçons theorique et pratique du Livre de Thot (in sei volumi), senza indicazione degli autori, facente parte di una “Collana di Scienza”, nella Introduzione (scritta dall’anonimo autore!), si affermava che Court de Gébelin (1725-1784), aveva scritto nella sua opera sul mondo primitivo (*) che (il biblico) Giuseppe, per la interpretazione dei sogni, quando questa gli veniva richiesta, usava il Libro di Thot,  e che questo libro, era stato stampato e in vendita in quel periodo; l’anonimo autore affermava inoltre che in questo libro si parlava del gioco dei tarocchi.  

Di queste affermazioni, mentre quella dell’uso del libro da parte di Giuseppe per l’interpretazione dei sogni (di cui de Gébelin non citava la fonte) non poteva essere presa come verità storica; per quanto invece riguardava il riferimento al gioco dei tarocchi non era veritiera in quanto de Gébelin non aveva mai scfatto una simile affermazione, ma aveva invece dedicato uno degli argomenti della sua poderosa opera, a un anticoLibro del Gioco dei Tarocchi”, sostenendo che questo fosse un gioco di origine egiziana; de Gébelin non parlava né del Libro di Thot né collegava a questo il gioco dei tarocchi: il libro di Thot stampato ad Amsterdam era quindi un falso!

La esistenza del libro egiziano dei Tarocchi (de Gébelin che ne parlava, scriveva   ai nostri giorni”, di essere venuto a conoscenza che delle copie circolavano in Italia, ma che lui non era riuscito a trovarne!), era solo leggendaria e secondo questa leggenda sarebbe stato l’unico libro che si sarebbe salvato, come scriveva de Gébelin, nelle “superbe biblioteche degli egizi” (sarebbe stato scritto nel’anno 171 del Diluvio), descrivendolo come “formato da settantasette fogli o quadri, divisi in cinque classi, ciascuno dei quali offre materia di divertimento ed istruttiva e aveva per titolo appunto, “Il gioco dei Tarocchi”.  

Questo gioco, in tempi più recenti, era sconosciuto a Parigi ma conosciutissimo in Italia, Germania, Provenza ed è senz’altro da considerare “bizzarro” sia per le figure offerte da ciascun foglio, sia per il loro numero, la cui origine  si perde nella notte dei tempi (o almeno si fa risalire all’Egitto del XXII sec. a.C.).      Questa mancata conoscenza era sfuggita all’attenzione degli studiosi francesi i quali (come tutti i francesi - e ciò è encomiabile! - considerano originariamente francese tutto ciò che si fa in Francia!), hanno sempre parlato di “carte francesi” o “di quelle in uso a Parigi”, e, dopo averne provato l’invenzione moderna, hanno creduto di potersi appropriare della stessa materia!

Ma la forma, la disposizione, la impostazione di questo gioco (scrive de Gébelin) e le figure che esso offre, sono così manifestamente allegoriche e queste allegorie, così conformi alla dottrina civile, filosofica, religiosa degli antichi egizi, che non si può non collegare con questo popolo di saggi - che ne sono stati i puri inventori - rivali a questo riguardo degli indiani, che sono stati gli inventori del gioco degli scacchi (appreso dai crociati dagli arabi che dalla Terrasanta lo avevano portato in Occidente).

Il nome dei Tarocchi è formato da “Taro” che significa via, cammino e  Ros-Rog che significa “Re-Reale”, nell’insieme: “cammino reale della vita”; essi nel corso dei secoli hanno  conservato alcuni nomi orientali come Taro, Mat, Pagad: Mat è il nome del Folle-Matto, ammazzatore, omicida, pazzo e i folli sono stati rappresentati come aventi il cervello incrinato; Pagad è il giocatore di coppe, termine che non ha nessun significato nelle lingue occidentali; in Oriente Pag significa Capo, Maestro Signore e gad è la Fortuna, rappresentata con l’asta di Giacobbe o la verga dei Magi.

 

 

*) Le monde primitif analisé et comparé par le monde moderne, etc. in sei volumi, Paris,1781.

 

 

 

 

L’imperatore

 

 

LE XXII CARTE DEI

DEI TAROCCHI

E LA LORO ALLEGORIA

 

 

L

e carte sono 77 più una 78ma, divise in carte vincenti (atous), in quattro colori; le “atous in numero di XXII rappresentano in generale i capi temporali, spirituali della società, i capi fisici dell’agricoltura, le virtù cardinali, il matrimonio, la morte, la resurrezione, o creazione, i diversi giochi della fortuna,  il saggio e il folle, il tempo che conferma tutto ecc. .

Si comprende come queste carte rappresentino l’allegoria relativa all’insieme della vita e suscettibile di una infinità di combinazioni.

I tarocchi sono diretta derivazione dei geroglifici del Libro di Thot e rappresentano una sintesi della conoscenza e religione egizia; i tarocchi sono quindi un alfabeto geroglifico e numerale, riservato in origine ai sommi sacerdoti, che esprime il sapere universale originario, da cui si sono sviluppate le varie culture e religioni  (come aveva sostenuto Giorgio Gemisto Pletone, v. in Specchio dell’Epoca, Polemiche Umanistiche ecc. e successivo La polemica...continua).

Quindi il Libro del gioco dei Tarocchi non può essere certamente  il Libro di Thot che risulterebbe invece collegato al Corpus Hermeticum che più avanti vedremo cosa esso fosse.

Passiamo ora a esaminare cosa esse rappresentano; si noterà che non sempre le riproduzioni si attengono ai canoni descritti: le numero II e III rappresentano due donne, la IV e la V i loro mariti: costoro sono i capi temporali e spirituali della società; in particolare la IV rappresenta il re, la III la regina; essi hanno per attributo l’aquila su uno scudo, lo scettro è sormontato da un globo taurizzato o coronato da una croce chiamata tau, il segno per eccellenza; il re è visto di profilo, la regina di faccia; essi sono ambedue assisi sul trono.

La regina ha un vestito con strascico; lo schienale del suo trono è alto; il re è come in una gondola o sedia a conchiglia con le gambe incrociate; la sua corona è a mezzo cerchio sormontato da perla a croce; quella della regina termina a punta; il re porta un ordine di cavalleria.

La V rappresenta il capo ierofante o gran sacerdote la  II la sacerdotessa sua moglie; occorre sapere che in Egitto il capo dei sacerdoti era sposato e la moglie era considerata gran sacerdotessa o papessa.

La gran sacerdotessa è assisa su una poltrona, essa ha un vestito lungo con una specie di velo dietro la testa che le ricade sullo stomaco; ha una duplice corona  con due corna come Iside e ha un libro aperto sulle ginocchia; due sciarpe guarnite di croce si incrociano sul suo petto formando una x.

Il gran sacerdote è in abito lungo con un gran mantello e porta una triplice tiara; con una mano si appoggia a uno scettro a tripla croce (oggetto tipicamente egiziano), con l’altra con due dita estese dà la benedizione a due personaggi che si vedono in ginocchio.

Lo scettro si rapporta al triplo fallo che era portato nella festa delle “pamilie” con la quale si festeggiava il ritrovamento di Osiride, ed era il simbolo della rigenerazione delle piante e, in genere,  della natura.

La VI, il matrimonio: un giovane uomo e una giovane donna si giurano fede eterna, un prete li benedice, l’Amore li trafigge con i suoi dardi; il nome dato alla carta è gli innamorati; alla carta è stato aggiunto per renderla più parlante,  Amore è con l’arco e le frecce.

Questa carta è intitolata “Simulacrum fidei carta della fede coniugale, i personaggi sono designati con i nomi di Verità, Onore e Amore. La verità designa la donna  perché la fedeltà costante è più essenziale nella donna

La VII, Osiride trionfante, avanza come un re trionfante con in mano lo scettro e la corona sulla testa; egli è sul carro di guerriero tirato da due cavalli bianchi; Osiride era la divinità egiziana che rappresentava il Sole (Aton) simbolo della divinità suprema invisibile ma che si manifesta nel suo capolavoro della natura; egli perdeva forza durante l’inverno e rinasceva in primavera in nuovo splendore, trionfando su tutti coloro ai quali faceva la guerra.

L’ VIII, XI, XII, XIII: rappresentano le Quattro Virtù cardinali.

La XI rappresenta la Forza; è una donna che ha domato un leone che gli apre la bocca con la facilità con cui la apre il proprio cagnolino; essa sulla testa ha un berretto di lana di pecora

La XIII: la Temperanza: una donna alata che versa l’acqua da un vaso all’altro per temperare il liquore che esso contiene.

La VIII la Giustizia: è una regina, è Astrea assisa su un trono, tiene in una mano un pugnale, nell’altra una bilancia.

La XII, la Prudenza, fa parte delle quattro virtù cardinali; spesso però non si trova tra le carte, mentre è rappresentato un uomo appeso per i piedi; ma cosa fa questo Appeso? E’ stato l’errore di un riproduttore di carte presuntuoso che non comprendendo la bellezza dell’allegoria originale, aveva preso l’iniziativa di correggerla, sfigurandola interamente. La prudenza non potendo essere rappresentata in modo da apparire in piedi con un piede che poggia per terra e avanza con l’altro tenendolo sospeso esaminando il posto dove potrà poggiarlo con sicurezza; il nome di questa carta era quindi “l’uomo dal poede sospeso”; il produttore non sapendo cosa volesse significare, ne aveva fatto un uomo sospeso per i piedi! Pertanto, alla domanda perché un uomo appeso in questo gioco? Non si è mancato di dire: è la giusta punizione per l’inventore del gioco per aver voluto rappresentare una papessa.

Messo infatti tra la forza, la temperanza e la giustizia, chi non vede che era la prudenza che doveva essere inizialmente rappresentata?

La IX, il Saggio o cercatore della verità o del giusto; rappresenta un filosofo venerabile con un lungo mantello e un cappuccio sulle spalle che cammina curvo sul suo bastone con una lanterna nella mano sinistra. E’ il saggio che cerca la giustizia e la virtù; è stato immaginato sulla base di alcune pitture egiziane, la storia di Diogene che, con la lanterna in mano, cerca un uomo in pieno mezzogiorno: si tratta di un epigramma che vale per tutti i secoli. I produttori delle carte, di questo filosofo saggio, molto meritatamente ne hanno fatto un eremita in quanto i filosofi vivono volentieri ritirati in solitudine; Eraclide passava per folle agli occhi dei suoi concittadini in quanto in oriente darsi alle scienze speculative era come astrarsi dal mondo esterno.

Le carte della luce sono la XIX, XVIII e XVII.

La XIX rappresenta il Sole, il padre fisico degli umani e di tutta la natura, illumina il mondo e le città, i suoi raggi distillano lacrime d’oro e di perle con le quali sono rappresentate le felici influenze di questo astro.

La XVIII, la Luna che segue il Sole è accompagnata anch’essa dalle lacrime d’oro e di perle per sottolineare che ha la sua parte nella vita sulla terra.

Pausania ci racconta, nella descrizione della Focide, che secondo gli egiziani che sono le lacrime di Iside che cadono ogni anno nel Nilo e rendono fertili le campagna dell’Egitto; le relazioni di questo paese parlano di gocce o lacrime che cadono dalla Luna nel momento in cui le acque del Nilo si ingrossano.

Alla base della carta si vede un granchio o cancro, sia per indicare la marcia retrograda della Luna, sia per indicare  che il Sole e la Luna sorgono  dal segno del cancro quando arriva l’inondazione causata dalle loro lacrime al sorgere della canicola che è riprodotta nella carta seguente.

La XVII, la Canicola: nel gioco dei tarocchi è inserito un simbolo assolutamente egiziano intitolato la Stella in cui si vede una stella brillante circondata da altre sette stelle più piccole; al di sotto è rappresentata una donna che poggia su un ginocchio e tiene due vasi da cui fuoriescono due fiumi; sul suo lato vi è una farfalla su un fiore: è tutta simbologia egiziana. La stella per eccellenza è la Canicola, vale a dire Sirio  stella che sorge quando il Sole è nel segno del cancro col quale termina la carta precedente; le sette stelle che la circondano , che sembrano farle la corte sono i pianeti; essa è in qualche modo la loro regina poiché fissa in questo istante l’inizio dell’anno; essa sembra ricevere l’ordine di regolare il loro corso per lei. La donna che si trova al disotto , intesa a espandere l’acqua dei suoi vasi, è la Sovrana dei Cieli, Iside alla cui bontà è dovuta la inondazione del Nilo che ha inizio al cominciare della canicola che annuncia l’inondazione. E’ per questo motivo che la Canicola è consacrata a Iside che è il suo simbolo per eccellenza.

E, come l’anno ha inizio con il levarsi di questo astro chiamato Soth-Is, apertura dell’anno: è sotto questo nome che è consacrato a Iside.

Infine il fiore e la farfalla sono l’emblema delal rigenerazione e resurrezione: indicano nello stesso tempo che il favore della benevolenza di Iside, al levare della Canicola la campagna dell’Egitto che è assolutamente arida, si ricopre di nuova fertilità.

La XIII rappresenta la Morte che falcia gli umani, i re  e le regine, i grandi e i piccoli e niente resiste alla mortifera falce. Non è per nulla sorprendente che sia riportata sotto questo numero: il numero tredici è da sempre considerato sfortunato. Anticamente in questo giorno si era verificata una grande disgrazia il cui ricordo era stato portato da tutti i paesi del mondo; è stato a seguito di di questo ricordo che le tredici tribù ebraiche, sono sempre state considerate dodici.

Non è neanche sorprendente che gli egiziani avevano inserito la Morte  in un gioco che doveva risvegliare idee piacevoli: questo gioco è un gioco di guerra, la Morte deve necessariamente farvi parte; è così che il gioco degli scacchi termina come scacco matto, vale a dire Sha-mat, morte del re.

E’ il caso di ricordare che nei calendari, nei giorni delle feste, era riportato uno scheletro col nome di maneros, senza dubbio per convincere i convitati a non farsi ammazzare dalla golosità: non è mai il caso di discutere dei gusti che ciascuno può avere modo suo! 

La XV rappresenta Tifone il celebre personaggio egiziano, fratello di Osiride e Iside, il principe malvagio, il gran Demone dell’inferno; egli ha le ali lisce, senza peli, piedi e mani d’arpia, sulla testa rozza due corna di cervo; è stato fatto così brutto ... che più diavolo non si può! Ai suoi piedi due piccoli Diavoletti dalla lunghe orecchie con una grande coda con le mani legate dietro il dorso con una corda  che passa intorno al loro collo e attorcigliata al piedistallo di Tifone che li tiene sempre legati a lui.

La XVI Casa di Dio o Castello di Pluto: è una lezione contro l’avarizia; questa carta rappresenta in giro chiamato Casa di Dio, vale a dire la Casa per eccellenza; è un giro pieno d’oro, è il Castello di Pluto, esso cade in rovina, i suoi adoratori cadono esecrati sotto le sue macerie.

A questo insieme può essere collegata la Storia di questo principe egizianodi cui parla Erodotoche lo chiama Rhampsinit, che avendo fatto costruire una grande torre di pietra per custodire i suoi tesori di cui solo lui aveva le chiavi, aveva notato che esso diminuiva a vista d’occhio senza che nessuno passasse in alcun modo dalla sola porta che esisteva in questo edificio: Per scoprire i ladri così scaltri, questo principe decise di mettere delle trappole attorno ai vasi che contenevano le sue ricchezze. I ladri erano i due figli dell’architetto di cui si era servito Rhampsinit, il quale aveva messo una pietra che si poteva togliere e rimettere al suo posto a volontà. Egli aveva insegnato ai suoi figli il segreto di cui si servivano come volevano. Essi rubavano al principe e poi si calavano dalla torre in basso; per questo sono rappresentati a questo modo: ... il resto della storia, che racconta come uno dei due fratelli fu preso nella rete, dice de Gébelin, la si trova in Erodoto che racconta come fu assunto il fratello per tagliargli la testa e come la madre volle assolutamente che questo le portasse il corpo del fratello e come egli si recò, con altri carichi su un asino per ingannare le guardie per il trasporto del cadavere dal palazzo; e il racconto continua i ma noi ci fermiamo a questo punto perché il racconto non riguarda la materia che stiamo trattando, mentre de Gébélin alla fine si chiede se il racconto possa essere reale.

La X questa rappresentazione è la Ruota della Fortuna: personaggi umani sotto forma di scimmie, cani, volpi ecc.  si sollevano a turno su questa ruota alla quale sono attaccati; si può dire che la rappresentazione  contro la fortuna, contro chi essa eleva rapidamente, che lascia ricadere con la stessa rapidità.

La VIII, rappresentazione erroneamente nominata Ultimo Giudizio; un Angelo che suona la tromba e si vede uscire dalla terra un vecchio, una donna, un bambino nudo.

I produttori che avevano perso il significato di questa carta, più ancora del suo insieme, avevano visto in esso l’Ultimo Giudizio e per renderlo più sensibile, avevano messo delle specie di tombe. Tolte queste tombe la  carta serve a ugualmente a designare la Creazione arrivata allì’inizio dei tempi come indica quella che segue, la XXI.

La XXI il Tempo erroneamente indicato come il Mondo, considerato come l’origine del tutto, rappresenta il Tempo, nel suo insieme, al centro si trova la Dea del Tempo con il suo velo che l’avvolge, e che serve come peplo, come lo chiamavano gli antichi; è nell’atto di correre come il Tempo, in un cerchio che rappresenta  le rivoluzioni del Tempo   come dell’uovo del tutto da cui è uscito il Tempo; ai quattro angoli gli emblemi delle quattro stagioni, le stesse che compongono le quattro teste dei Cherubini. Questi emblemi sono: l’aquila, il leone, il bue, il giovane uomo.

L’aquila rappresenta la primavera in cui appaiono gli uccelli; il leone, l’estate con gli ardori del Sole; il bue, l’autunno o il lavoro o il seme, il giovane uomo rappresenta l’inverno quando si riunisce in società.

La XXII: ventidue sono le lettere dell’alfabeto egiziano, comune agli ebrei e orientali; rappresenta in generale i capi temporali e spirituali della società i capi dell’agricoltura ecc. .

 

La Temperanza

 

 

 

DIVISIONE DELLE CARTE
LE VIRTU’ CARDINALI

IL RE TRIONFANTE

 

 

C

iascuna carta ha nello stesso tempo un uso particolare; molte di esse sono relative alla geografia astronomica: il Sole, la Luna, il Cancro, le Colonne d’Ercole, i Tropici con i loro Cani; la Canicola, portiere del cielo, l’Orsa celeste, sulla quale si appoggiano gli astri nella esecuzione delle loro rivoluzioni attorno ad essa, mirabile costellazione rappresentata dai sette tarocchi così impressi con caratteri di fuoco nel firmamento, come il nostro sistema solare e le scienze fondate sulla formula settenaria [quando i pianeti conosciuti erano sette! ndr.], e forse dell’Universo intero.  

Tutte le altre possono essere considerate relative alla geografia politica e morale, al governo dello Stato e allo stesso tempo al governo, e in particolare, di ciascun uomo.

I quattro giochi, relativi all’autorità civile e religiosa fanno conoscere l’importanza per uno Stato dell’unità del governo e del rispetto per gli anziani.

Le quattro Virtù Cardinali mostrano che uno Stato non si può sostenere che con la bontà del governo, con l’eccellenza dell’istruzione, con la pratica delle virtù  in quelli che governano e in quelli che sono governati: prudenza a correggere gli abusi; forza per mantenere la pace e l’unione; temperanza nell’uso dei mezzi; giustizia verso tutti.

Come l’ignoranza, l’alterigia, l’avarizia, negli uni generano la licenza, negli altri un funesto errore da cui nascono i disordini che scuotono dalle fondamenta gli imperi o violano la giustizia.

Queste virtù non sono meno necessarie a ciascun individuo; la Temperanza regola i doveri verso se stesso; la Giustizia regola i suoi doveri verso il prossimo, verso la divinità a cui egli deve tutto; la Forza con la quale egli si sostiene tra le rovine dell’Universo; egli ride degli sforzi vani e insensati delle passioni che l’assediano con i loro flussi impetuosi; infine la Prudenza con la quale egli attende pazientemente il successo dei suoi sforzi.

Il re trionfante diviene allora l’emblema di colui che in mezzo a queste virtù è saggio verso se stesso, giusto verso gli altri, forte contro le passioni previdente a fornirsi di risorse contro il periodo delle avversità.

il Tempo che consuma tutto con una rapidità inconcepibile, la Fortuna che si gioca di tutto, il Giocoliere che si tiene in equilibrio, la Follia che è di tutti, l’Avarizia che perde tutti, il Diavolo che si intrufola dappertutto, la Morte che inghiotte tutti: numero settenariosingolare che appartiene a tutti i paesi, può dar luogo a osservazioni non meno importanti non meno variate.

Infine, colui che ha tutto da guadagnare e nulla da perdere, il Re  veramente trionfante è il vero Saggio che con la lanterna in mano, attento, senza sosta ai suoi passi, senza alcuna scuola, conosce tutto ciò che è bene per gioirne facendo attenzione a tutto ciò che è male per evitarlo.

Tal è, pressappoco, la spiegazione geografico-politico-morale di questo antico gioco, che renderebbe onore alla intera Umanità se tutti i giochi portassero questi insegnamenti finendo questo modo.   

  

 

Il Carro

 

 

I TAROCCHI E

LA QUADRIGLIA

 CAVALLERESCA

 

 

L

a nobiltà guerriera che montava a cavallo e divisa in colori o fazioni organizzava i tornei perfettamente analoghi al gioco dei tarocchi e più ancora a quello degli scacchi che è un gioco militare.

In origine i cavalieri nei tornei erano divisi in quattro cinque bande relative ai quattro colori dei tarocchi e nel 1662 da Luigi XOV ne fu organizzato uno nella gran piazza tra le Tuileries e il Louvre al quale fu dato il nome di “carosello”; composto d cinque quadriglie.

Il re alla testa dei romani, suo fratello duca d’Orleans alla testa dei persiani; il principe di Condé comandava i turchi, e il figlio duca d’Enghien gli indiani; il duca di Guisa gli americani; assistevano al carosello tre regine: la regina madre, la regina consorte del re e la regina d’Inghilterra, vedova di Carlo II.

Il premio fu vinto dal duca di Lesdighieres, che lo riceveva dalle mani della regina madre.

Le quadriglie erano ordinariamente composte da otto a dodici cavalieri per ciascun colore, ciò che da quattro a otto per quadriglia dà il numero trentadue, conforme alle carte per il gioco del “piquet”; con cinque colori; il numero corrisponde a quaranta che è quello del gioco della quadriglia.

 

 

La Giustizia

 

 

TAROCCHI CINESI

SPAGNOLI

E FRANCESI

 

 

I

n  Cina il gioco dei tarocchi si fa risalire agli inizi del regno  mitico di Yao (2195-1675) quando per le continue eccessive e incessanti piogge  la Cina fu allagata dalle acque e questo allagamento fu considerato come il diluvio cinese; quando le acque si ritirarono l'imperatore Yao fece eseguire grandi opere di contenimento delle acque e durante questi lavori fu trovata una iscrizione riguardante il gioco dei tarocchi.

Esso è composto di caratteri che formano delle tavole-compartimenti in forma rettangolare e hanno la stessa grandezza delle carte dei tarocchi occidentali; i compartimenti o tavole sono distribuiti in sei colonne perpendicolari da cui le prime cinque comportano quattordici compartimenti ciascuna, mentre la settima, non completa per metà, ne contiene sette; questa costruzione è quindi composta da settantasette figure come il gioco dei tarocchi e la numerazione è settenaria poiché ciascuna colonna piena è di quattordici figure, e quella completa a metà ne contiene sette: esse sono in bianco su fondo nero, ciò che non le rende  piacevoli.

Gli spagnoli avevano appreso il gioco dagli arabi e i soldati di Carlo V (Lanzichenecchi) lo portarono in Germania.

Esaminando le carte spagnole risulta evidente che sono uguali ma ridotte rispetto ai tarocchi.

Il loro gioco più distinto è quello dell’Hombre (Uomo) che si gioca a tre e della Quadrilla (Quadriglia) che si gioca a quattro, che costituisce una modificazione del precedente; il gioco dell’Hombre è quello del cammino della vita umana e corrisponde a quello dei tarocchi.

Esso è diviso in quattro colori  che portano gli stessi nomi di quelli dei tarocchi, così che spadilla è la spada, bastos è il bastone, che hanno i colori neri, copa e dinero sono coppa e denari, hanno i due colori rossi.

Le carte sono chiamate “naypes che significa, prendere, tenere, alla lettera i campioni,  e sono quaranta; i quattro colori sono i palos o ordine di picche; si formano quattro o cinque quadriglie che si battono in un torneo; i vincitori sono matador: infine i quattro colori dimostrano che i tarocchi spagnoli  sono una imitazione in piccolo del gioco egiziano.

Le carte francesi non sono che una imitazione di quelle spagnole e quindi una imitazione dell’imitazione; si suppone che siano state create sotto il regno di Carlo VI (1368-1422) per distrarlo in quanto era debole e infermo (soprannominato Ben-amato o il Folle); può anche darsi che fossero un po’ più antiche in quanto san Bernardo (1090-1153), aveva condannato le maschere, il gioco dei dadi e le carte trionfali o da gioco, appunto chiamato trionfo  e Carlo V con un suo editto aveva proscritto sia il gioco dei dadi, sia delle carte e tutti gli altri giochi.

Le carte dei tarocchi contro cui furono lanciati fulmini nel XIV secolo, si riteneva che rendessero indegno l’Ordine della cavalleria  in quanto si riteneva che costituissero i vergognosi resti del paganesimo  con i loro nomi singolari come Casa di Dio, il Diavolo,  la Papessa, la Sorte che si prevedeva, tutto le faceva ritenere come un divertimento diabolico, come opera della più nera magia, di una condannabile stregoneria; da ciò derivò l’invenzione del “gioco del piquet” che costituiva una imitazione del gioco dei tarocchi.

 

 

 

L’ESOTERISMO
 DEI TAROCCHI

E LA DIVINAZIONE

 

 

C

ourt de Gébelin ritiene che il “gioco del piquet” derivi dal gioco dei tarocchi da cui sono ripresi molti dei nomi delle sue figure come il tre di denari che si chiama il Signore, corrispondente a Osiride; il Tre di coppe, la Sovrana, o Iside, il Due di coppe, la Vacca o Apis, il Nove di denari, Mercurio; l’Asse di bastoni, il Serpente simbolo dell’agricoltura per gli egiziani; l’Asso di denari  è il Guercio (Borgne) o Apollo; questo nome dato ad Apollo o al Sole e alla Luna, simboleggiava l’unico occhio splendente per eccellenza nel cielo o quello nel Triangolo di Dio, Occhio del mondo (simbolo del massonico Grande Architetto dell’Universo).    

Le immagini dei tarocchi costituiscono i caratteri che l’inventore Thot-Mercurio esprimeva come le nostre lettere, le parole che egli esprimeva costituivano la rappresentazione degli Dei nella espressione geroglifica, vale a dire di entità come l’Eterno, la Creazione o le Virtù, ecc., ai quali aggiunse dei precetti morali.

Sembra che il libro fosse intitolato A-Rosh, dottrina o scienza e Rosh, era il nome egiziano di Mercurio e della sua festa che si celebrava il primo giorno dell’anno; Rosh unito alla lettera T significa Tavole della dottrina di Mercurio,

come pure Rosh vuol dire Inizio e Ta-Rosh fu in particolare consacrato alla sua Cosmogonia, allo stesso modo di Ethotia, Storia del Tempo, che era il titolo della sua Astronomia; può anche darsi che Athothes, che era stato preso per un re, figlio di Thot, non sia che l’infanzia del suo genio e della Storia dei re d’Egitto.

Questa antica Cosmogonia, dice Court de Gébelin, questo Libro di Ta-Rosh, sembra essere giunto fino a noi attraverso il gioco dei tarocchi che porta ancora il suo nome, sia che lo abbia conservato la cupidigia umana, sia la superstizione, preservando dalle ingiurie del tempo i simboli misteriosi che gli servivano per ingannare la credulità.

Esso è composto di tre serie superiori rappresentanti i primi tre secoli, d’Oro, d’Argento e di Rame; ciascuna serie è formata da sette carte;  come la scrittura egiziana si legge da sinistra a destra; la ventunesima carta che è stata numerata con cifre moderne, in effetti non è la prima e deve essere letta per capire la Storia; mentre è la prima nel gioco dei tarocchi e nella divinazione fatta con queste immagini; infine vi è una ventiduesima carta senza numero e senza potere, ma che aumenta il valore di quella che la precede: è lo zero dei calcoli magici designata come la Follia.

SECOLO D’ORO:  

Questa serie comprende la ventunesima o prima carta che rappresenta l’Universo o la dea Iside in un ovale o uovo, con le quattro stagioni o quattro cantoni, l’Uomo e l’Angelo, l’Aquila, il Bue, il Leone.

La ventesima è intitolata il Giudizio, in effetti è un Angelo che suona la tromba e gli uomini che sorgono dalla terra (si deve ritenere il pittore poco versato per la mitologia visto che ha in effetti riprodotto l’immagine della Resurrezione): in ogni caso è da dire che gli antichi ritenevano gli uomini come infanti della Terra; Thot aveva voluto esprimere la Creazione dell’Uomo con l’immagine di Osiride o Dio generatore.

La diciannovesima rappresenta la Creazione del Sole che illumina l’unione dell’uomo e della donna rappresentati da un uomo e una donna che si tengono per mano; questo segno è divenuto quello dei Gemelli, dell’Androgeno: Duo in carne una - due in una sola carne.                                                                                                              

 La diciottesima corrisponde alla Creazione della Luna e degli animali terrestri, rappresentati da un Lupo o un Cane per indicare gli animali domestici e selvatici; questi due animali sono stati ben scelti in quanto essi sono i soli a urlare quando brillano gli astri, come se rimpiangessero la fine del giorno.

Ciò fa ritenere che questa Tavola annuncia un triplice grande malessere per chi vuol conoscere la Sorte, se non è accompagnata dalla linea del Tropico, vale a dire della partenza e del ritorno del Sole che dà la consolante speranza del bel giorno e di una migliore fortuna.

Intanto due Fortezze che difendono un percorso tracciato di sangue e una palude chiude la Tavola; presenta spesso delle difficoltà senza possibilità di superarle per eliminare un presagio così sinistro

La diciassettesima, rappresenta la Creazione delle Stelle e dei Pesci rappresentati dalle Stelle e dall’Acquario.

Nella quindicesima, ultima carta della prima serie troviamo il Diavolo o Tifone che turba l’innocenza dell’uomo e chiude l’epoca d’oro; la sua coda, le corna, le lunghe orecchie lo annunziano come un essere degradato, il suo braccio sinistro alzato, la coda piegata formano una N simbolo degli esseri generati,  fatti conoscere come sono stati creati; ma la torcia che Prometeo ha nella mano destra, sembra completare la lettera M che esprime la generazione; in effetti la storia di Tifone ci induce a questa spiegazione, perché privando Osiride della sua virilità, voleva usurpare il diritto della Potenza produttrice; così egli fu il padre dei mali che si riversarono sulla Terra.

I due Esseri incatenati ai piedi contrassegnano la Natura umana degradata e sottomessa, come la generazione nuova e perversa di cui le unghie adunche esprimono la crudeltà; non mancano che le ali (il Genio o la Natura angelica), per essere in tutto somiglianti al diavolo: uno di questi esseri tocca con il suo    artiglio la coscia di Tifone, emblema che nella Scrittura Mitologica corrisponde a quello della generazione carnale; egli la tocca con l’artiglio sinistro per sottolinearne la illegittimità.

Tifone infine è sovente preso per l’Inverno; con questa tavola termina il secolo d’oro e annuncia le intemperie delle Stagioni che l’uomo cacciato dal Paradiso va a provare con la fuga [riferimento chiaramente cristiano e di epoca posteriore che appare del tutto insolito e contraddittorio! ndr.].           

SECOLO D’ARGENTO:

La quattordicesima è l’Angelo della Temperanza che viene a istruire l’Uomo

per evitargli la morte alla quale nuovamente condannato; egli è rappresentato mentre versa dell’acqua nel vino per mostrargli la necessità di affievolire certi liquori o di temperare le sue avversioni.

La tredicesima; questo numero infelice è consacrato alla Morte, rappresentata mentre falcia le teste coronate e le teste di persone comuni.

La dodicesima, gli accidenti che colpiscono la vita umana, rappresentati da un uomo appeso per i piedi, ciò che vuol dire che, per evitarlo, in questo mondo, occorre marciare con prudenza: suspenso pede.

  L’undicesima, la Forza che viene in soccorso della Prudenza e abbatte il Leone che è sempre il simbolo della terra incolta e selvaggia.

La decima è la Ruota della Fortuna, nella parte alta della quale vi è un Segno coronato che ci dice che dopo la caduta dell’Uomo non vi fu più la virtù che dà la dignità; il coniglio che sale corrisponde all’uomo che è precipitato che esprime le ingiustizie dell’incostanza della Dea; questa via nello stesso tempo è l’emblema della via di Pitagora, del modo di indovinare la sorte attraverso i numeri che si chiama Aritmomanzia.

La nona, L’Eremita o il Saggio, la lanterna alla mano cercando la Giustizia sulla Terra.

L’ottava, la Giustizia.

SECOLO DI FERRO:

  Settima; il Carro di Guerra su cui vi è un Re corazzato, armato di un giavellotto, esprime il dissenso, la morte, il combattimento dell’era del bronzo e annuncia i crimini dell’era del ferro.

  Sesta: l’Uomo dipinto mentre galleggia tra i vizi e la virtù, non più dominato dalla ragione; l’Amore o il desiderio (la concupiscenza), gli occhi bendati, pronto a lasciare il suo cammino che lo porterà a destra o a sinistra in base a come lo guiderà il caso. 

Quinta: Giove o l’Eterno che monta un’Aquila, col fulmine in mano, minaccia la Terra va a distribuire la sua collera tra i Re.

 Quarta: il Re armato di una mazza da cui l’ignoranza ne ha fatto in seguito una boccia imperiale (*); il suo casco è guarnito nella parte posteriore di denti di sega, per far intendere che niente può appagare la sua insaziabilità.

 Terza: la Regina con la mazza in mano, la sua corona ha gli stessi ornamenti del casco del re.

 Seconda: l’Orgoglio dei potenti, rappresentato dai pavoni sui quali Giunone mostrando il Cielo con la mano destra e la Terra con la sinistra, annuncia una religione terrestre o idolatra

Prima: il Giocoliere che tiene la verga dei Magi, compie dei miracoli e inganna la credulità dei popoli; è seguito da una carta unica che rappresenta la Follia che porta il suo sacco o le sue sventure sulle spalle, tanto che una tigre o i rimorsi gli mordono le gambe, ritardando la sua marcia verso il crimine.

Questa carta non ha particolare punteggio, ma completa l’Alfabeto sacro e corrisponde al Tau che significa rendere completo, perfezionare, ma, può darsi che si sia  voluto rappresentare più naturalmente il risultato delle azioni dell’uomo. 

 

 

IL GIOCO APPLICATO

ALLA DIVINAZIONE

 

Q

uando gli egiziani avevano dimenticato la prima interpretazione di queste Tavole di cui si erano serviti come semplici lettere per la loro scrittura sacra, era naturale che un popolo così superstizioso applicasse una virtù occulta a dei caratteri rispettabili per la loro antichità che i sacerdoti, che soli ne avevano la intelligenza, la impiegarono per i loro riti religiosi.

Inventarono anche dei nuovi caratteri che si trovano nelle scritture sacre che i maghi (del faraone), avevano applicato alla divinazione della coppa [divenuta coppa di Giuseppe in cui aveva raccolto il sangue di Gesù, successivamente divenuto Santo Graal) ndr.], operando meraviglie con il loro bastone [trasformato in serpenti, come aveva fatto Mosé]; che indovinavano il futuro  con le spade, le frecce, le scuri e infine con le armi in generale; la spada  designava la regalità e il potere sulla Terra; la coppa, il sacerdozio, la moneta il commercio, il bastone, la frusta, il pungolo rappresentavano l’agricoltura.

Questi quattro caratteri, già di per sé misteriosi, una volta riuniti nelle Tavole sacre dovettero far sperare le più grandi illuminazioni, con le combinazioni sortite mescolandole che formavano delle frasi lette dai maghi o interpretate come decreti del Destino, ciò che risultava essere più facile di una costruzione dovuta al caso e circondata da oscura interpretazione consacrata dallo stile degli oracoli.

Ciascuno stato aveva dunque il proprio simbolo che lo caratterizzava con le differenti Tavole, che poteva essere  fortunato o sfortunato secondo che la posizione, il numero dei simboli, i loro ornamenti le rendevano appropriate per annunciare il benessere o la sfortuna.

 

 

*) Osiride era spesso rappresentato con una frusta in mano, con un globo e una T, tutti riuniti insieme; questo può aver suggerito all’autore tedesco una  boccia imperiale.

 

I NOMI CONSERVATI DAGLI SPAGNOLI

I nomi  delle carte, conservati dagli spagnoli che rappresentano le loro proprietà, in numero di sette sono : il tre di denari nome misterioso chiamato il Signore, il Maestro consacrato al Dio  o grande Iou; il tre di coppe, chiamato Signora, consacrato alla Regina dei Cieli; il Guercio o l’asso di denari Phoebo, consacrato ad Apollo; la Vacca o due di coppe, consacrato ad Apis o Isis; il gran Nove, nove di coppeconsacrato al Destino; il piccolo Nove di denari, consacratoa Mercurio; il serpente o l’Asso di bastone (Ophion) famoso simbolo consacrato presso gli egiziani.

 

 ATTRIBUTI MITOLOGICI DELLE ALTRE TAVOLE

Numerose altre tavole sono accompagnate da attributi mitologici che sembrano destinati a imprimere una virtù particolare e segreta.

Tale è il due di denari attorniato dalla cintura mistica di Iside; quattro di denari consacrato alla buona fortuna, dipinto in mezzo alla Tavola, il piede sulla sua palla, il velo spiegato; la dama di bastoni consacrata a Cerere, circondata di spighe, porta la pelle di leone, come Ercole, il coltivatore per eccellenza.

Il Valletto di coppe con il berretto in mano, porta rispettosamente una coppa misteriosa, coperta da un velo, sembra, allungando le braccia, allontanare da lui una certa coppa, per farci intendere che non dobbiamo avvicinarci alle cose sacre che con deferenza e non cercare di conoscere quelle che sono nascoste che con discrezione.

L’asso di spada, consacrato a Marte; la spada è ornata da una corona, da una palma e da un ramo d’olivo con le sue bacche per significare la Vittoria e i suoi frutti; non sembra esservi alcuna altra carta fortunata con questi colori, che questa; essa è infatti l’unica perché non vi è che un modo per fare la guerra: quella di vincere per fare la pace; questa spada è sostenuta da un braccio sinistro che esce da una nuvola.

La Tavola del bastone del Serpente. di cui si è parlato inannzi è ornata di fiori e di frutti, allo stesso modo di quella deolla spada vittoriosa; questo bastone misterioso è sostenuto da un braccio destro che esce ugualmente da una nuvola, ma illuminata di raggi; questi due caratteri sembrano dire che l’Agricoltura e la Spada  sono le due braccia dell’Impero e il sostegno della Società.

Le Coppe in generale annunciano la felicità e i denari, la ricchezza.

I Bastoni destinati all’Agricoltura, pronosticano i raccolti più o meno abbondanti e  le cose che devono arrivare alla campagna o che la riguardano.

Essi sembrano mescolati di bene e di male; le quattro figure hanno il bastone verde, somigliante in quella al bastone fortunato, ma le altre carte sembrano, per gli ornamenti che le compongono, indicare l’indifferenza; le due sole che hanno il bastone color sangue sembrano consacrate alla cattiva fortuna.

Tutte le spade sono presagio di sventura, sopratutto quelle con numero dispari che portano ancora una spada sanguinante. Il solo segno della vittoria, la spada coronata, è in questo colore la figura di un avvenimento fortunato.

 

COMPARAZIONE DI ATTRIBUTI CON I VALORI CHE SI ASSEGNANO ALLE CARTE MODERNE CON LA DIVINAZIONE

 

I nostri annunciatori di buona fortuna non sanno leggere i geroglifici e hanno sostituito tutte le Tavole e cambiati con i nomi di coppe, bastone, denaro e spada di cui non conoscono l’etimologia, né l’espressione; essi hanno cambiato quelli di cuore, di quadri, denari e picche

 

 

 

L’appiccato

 

 

IL

CORPUS HERMETICUM:

LA LEGGENDA

I ROSA-CROCE E

LA MASSONERIA

 

 

E

ra opinione comune che dalla (prima) distruzione della biblioteca di Alessandria (non si tratta dei tre incendi stortici v. in Art. I libri di don Chisciotte, ma preistorico del regno di Thamus, v. più avanti), si sarebbe salvato il Libro di Thot (platonico Theut), il dio egizio inventore della scrittura (presentata al faraone Thamus (*) che aveva ritenuto l’invenzione negativa in quanto annullava la memoria, che serviva e ricordare i testi per tramandarli, e l’invenzione era stata respinta!), identificato dai greci con il dio inventore della scrittura e della interpretazione, Hermes, (per i romani, Mercurio, dio del commercio e dei ladri), per questo Tris-megisto, tre volte grandioso, in quanto riassumeva le caratteristiche di tre divinità, come inventore del linguaggio e della scrittura, della magia e dell’alchimia; a sua volta e successivamente identificato con il sacerdote egiziano Mosè divenuto poi personaggio del quale si era appropriata la Bibbia.  

A Hermes-Ermete si attribuiva la letteratura magica, come rivelazione di Thot, insegnata e trasmessa ai discepoli.

Questo Libro di Thot sarebbe stato tradotto in greco e trasfuso nel Corpus Hermeticum che comprende due generi, uno di natura pratica in quanto fa riferimento all’occultismo ellenistico, vale a dire alla astrologia, magia e alchimia e di medicina astrologica o iatromathematika, che mirano a stabilire un rapporto tra l’origine della malattia e il corrispondente flusso astrale; l’altro di natura teorica, specificamente filosofico-speculativa che si sviluppa in forma dialogica con una divinità, che rivela ai discepoli, da una parte, la propria concezione su Dio, sul cosmo, sul creato, dall’altra, nella stessa forma dialogica, impartisce lezioni morali in cui intervengono Dei dell’Egitto: Tat (che non è che Thot) e lo stesso Ermete, Asclepio (identificato con Imothep, architetto, medico e astronomo, Ammone, Agathòs, Daimon (Kneph) e Iside che parla al figlio Horus.

Gli scritti del Corpus non sono assolutamente collegabili con il Libro di Thot in quanto provengono dall’area greco-egizia di Alessandria la cui dottrina si era formata in epoca tolemaica (III sec. a C.), della quale Tolomeo I Soter ( 283 a. C.), aveva voluto la sintesi: i testi provenivano dall’area alessandrina  (tra il I e III sec. d.C.) di cui, ciò che è pervenuto, non è che una minima parte della vastissima produzione andata in buona parte perduta.

La prima traduzione in latino del Corpus (1463) è dovuta a Marsilio Ficino (**) al quale l’aveva chiesta (siamo in pieno Umanesimo, v. in Articoli Carlo V ecc. P.I) Cosimo de’ Medici (che nel suo fortunato raptus di bibliomane, aveva avuto il manoscritto (1460) dal monaco Leonardo di Macedoniazo); Marsilio per non incorrere nei rigori della ubiqua e vigilante Inquisizione (v. in Articoli L’Inquisizione ecc.), aveva dovuto ricorrere a espedienti per mascherare la dottrina ermetica, come aveva dovuto fare anche Pico della Mirandola che aveva unificato le tre materie pericolose, la magia, la cabala e  l’ermetismo!

Ermete Trismegisto, aveva raggiunto una tale “autorità”, che Nicolò Copernico pur avendo fondato il suo eliocentrismo su calcoli matematici, si dovette appellare alla sua autorità (come si usava fare a quei tempi... ancora dipendenti dalla eredità della Scolastica ! v. in Articoli. Averroè e averroismo ecc.).

L’erede di questo patrimonio lo ritroviamo in Giordano Bruno la cui opera è tutta intrisa di ermetismo (ereditato da Marsilio Ficino),  il quale pagò con la vita, dove per poco non erano arrivati Pico della Mirandola e Marsilio Ficino.

Il “Corpus hermeticum” in cui si parla di magia simpatica e astrale e di talismani, fu considerata l’opera pagana che aveva preannunciato l’avvento di Cristo (ma come si era verificato con tutte le profezie esse erano sempre state scritte dopo gli avvenimenti profetizzati!).

Ermete Trismegisto era infatti considerato (con Orfeo e Zarathustra) uno dei “prisci theologi” (primi teologi, v. in Articoli: cit. Polemiche Umanistiche ecc.).

Il  mito della sua esistenza come contemporaneo di Mosé e sacerdote inventore dei geroglifici (ritenuti scrittura sacra), fu demolito da Isaac Casaubon (?-1614) con la scoperta della falsità delle sue opere  (e del mito che circondava la sua esistenza!) in quanto esse erano state scritte tra il I e IV sec. d.C., da scrittori non cristiani!

Ma vi fu ugualmente una corrente costituita da Robert Fludd (1568-1637), medico, autore di  Utriusque cosmi...historia (contemporaneo di Campanella), e di “Apologia compendiaria fraternitatem de rosea-cruce abluenz et abstergens” in cui sostiene la teosofia dei rosacrociani, dei quali fu uno dei primi appartenenti e, ignorando Casaubon, continuò a credere nella esistenza di Trismegisto e confluì nella Massoneria,  sostenuto da Giordano Bruno (1600) e Tommaso Campanella (1639), ultimi esponenti della tradizione filosofica del Rinascimento.  

A Casaubon si aggiunse nella contestazione dell’ermetismo, Marin  Mersenne (  1648), ma ciononostante - incredibile dictu! - l’esoterismo iniziato nel Rinascimento  continua ancora ai giorni nostri  con la Massoneria (che mira alla lavorazione della pietra ... e alla elevazione dell’uomo ma finisce per avere deviazioni politico-affaristiche se non cade nel giro della mafia come evidenziato dalla stampa!).

 

 

*) Il faraone Thamus non si trova tra i faraoni del periodo proto-dinastico (2920-2770 a. C.) per cui siamo in periodo preistorico-mitico.

**) Sull’ermetismo iniziato con la traduzione del “Corpus hermeticum” da parte di Marsilio Ficino ( 1499,v.) studiata da Pico della Mirandola ( 1494), Cornelio Agrippa (1535), Johannes Reuchlin (1522),  v. alle rispettive date in Cronologia del 1500.

 

 

 

 

La stella

 

 

IL

CORPUS HERMETICUM:

LA RIVELAZIONE E

IL CONTENUTO  

 

 

A

lla rivelazione - che non si deve intendere nel senso sostenuto dalle religioni monoteiste di messaggio (ritenuto) “proveniente direttamente da Dio”, ma affermato da uomini “che si considerano illuminati” come provenienti o inviati da Dio! - che Ermete attribuisce a dottrine astrologiche o iatromathematika (che mirano a stabilire il rapporto tra l’origine della malattie e il corrispondente influsso astrale), alle quali si mescolano osservazioni scientifiche considerate occulte in quanto fondate non sulla osservazione, ma sulla rivelazione,  che si estendeva alle proprietà segrete delle piante che conferivano a chi le possedesse una sorta di comunione con il divino, concedendogli una posizione privilegiata (le scoperte sulle funzioni e malattie del cervello hanno fatto cadere tutte queste teorie di messaggi, ispirazioni  divine ecc. v. P. 2 cit. L’Inquisizione ecc.Nota sulla Psichiatria antica).

Questi testi erano considerati sapienziali (c.d. sapienza dei templi dove i sacerdoti provvedevano alle loro elaborazioni) ed erano costituiti dalla astronomia e scienze matematiche e comprendevano elaborazioni cosmologiche miste alla fede nella vita futura!

Sono scritti o appunti o colloqui tenuti in ristetti circoli culturali e non hanno nulla in comune con gli scritti astrologici magici e alchemici che più tardi saranno attribuiti a Ermete e daranno luogo alla tradizione ermetico-alchemica.

In pratica di egizio in questi testi vi è ben poco in quanto si fondano nella massima parte sul pensiero filosofico greco più corrente, con mescolanza di platonismo, aristotelismo e stoicismo e tracce di giudaismo, con esclusione del cristianesimo  (ma i Padri della Chiesa vi faranno ricorso per la impostazione della dottrina cristiana) e neoplatonismo.

I testi del Corpus Hermeticum sono costituiti dai: Diciotto trattati (*Titoli), dei quali  il primo è il  Pimandro (Poimandres-uomo pastore, intendendosi pastore di anime) di Ermete Trismegisto: I... 9. “Ebbene, il Nous, Dio, essendo maschile e femminile e sussistendo come vita e luce, generò con la parola un altro Nous demiurgo, il quale essendo dio del fuoco e del soffio (pneuma), produsse alcuni Governatori in numero di sette che circondano il mondo sensibile con i loro cerchi, e il loro governo è chiamato Fato”(*).  .... ; Asclepio, Frammenti facenti parte dell’ Anthologion composta da quattro libri di Giovanni Stobeo, di cui Il primo riguarda la filosofia naturale; il libro II (capp.1-6) le discipline logiche; il resto del secondo e il terzo, la morale; il quarto, questioni di varia natura; ogni libro era diviso in capitoli, ognuno dei quali conteneva dei brani estratti da autori diversi; i quattro libri furono successivamente compresi in due volumi, uno intitolato Eclogae phisicae e l’altro Florilegium.

[XXIV,1 Iside parla al figlio Horus ... il quale chiede alla madre: O madre  molto onorata, voglio sapere come nascono le anime regali ...  Esistono quattro luoghi nell’universo che ricadono sotto una legge e un’autorità che non possono essere trasgredite: il cielo, l’etere, l’aria e la terra santissima. In alto, figlio mio, in cielo  abitano gli dei sui quali comanda il demiurgo di tutte le cose, ecc. (la lettura a chi piace questo genere esoterico è anche piacevole ndr.)].

Strobeo: erudito bizantino del V sec., aveva raccolto brani di diversi autori e diverso argomento e scritti ermetici attribuiti a Ermete Trismegisto che costituivano una antologia “Antologion”,  dedicata al figlio Settimio per la sua educazione. A questi vanno aggiunti i Nuovi trattati ermetici (L’ermetismo filosofico conservato in copto) scoperti a Nag Hammadi

Non è dato sapere chi fossero gli autori di questi testi ermetici, ma essi sono il prodotto della cultura ellenica costituita da tradizioni orientali e occidentali, non escludendo l’Egitto ellenizzato che appare all’origine di questa letteratura, certamente utilizzati per la impostazione della dottrina cristiana in formazione.

 

 

*) Ilaria Ramelli, Corpus Hermeticum, Bompiani, 2005.

 

 

 

 

 

Iside Fortuna Museo Archeologico Napoli

 

 

 

NASCITA E

VICISSITUDINI

DI ISIDE E OSIRIDE

E DIVINITA’ EGIZIE

 

 

L

o storico  Plutarco si era recato in Egitto, presso quei sacerdoti per perfezionare il suo sapere e aveva raccolto e trascritto i vari racconti sugli dei egiziani racconti che ci Lasciano pieni di meraviglia per la ricchezza di particolari (anche scientifici come i cinque giorni della luna!) di cui sono infarciti, se pensiamo che queste fantasie egizi (e poi dei greci) risalgono all’epoca in cui altre popolazioni si coprivano con le pelli di animali e usavano la clava!

Su quanto aveva raccolto a proposito di Iside e Osiride, Plutarco riferisce (con adattamento) le notizie che seguono, che abbiamo integrato con notizie di altri autori (*).

Narrano che la dea Rea si unì di nascosto con il dio Crono; il Sole se ne accorse e la colpì con una maledizione: non avrebbe dato alla luce un figlio, né nel corso del mese né dell’anno; ma Ermes, che della dea era innamorato, si unì con lei; quindi giocò alla pettia con la luna e le tolse la settantesima parte di ciascuna delle sue fasi di luce: complessivamente egli riuscì a mettere insieme cinque giorni e li aggiunse ai trecentosessanta; questi giorni gli egiziani li chiamano intercalari e li celebrano come ricorrenze del genetliaco degli dei.

Nel primo di tali giorni, sarebbe nato Osiride; si narra che nel preciso momento della sua nascita scese dall’alto una voce che diceva: “«Ecco, viene alla luce il Signore di tutti”.

Alcuni invece, riferiscono che un certo Pàmile, mentre attingeva acqua a Tebe, udì provenire dal santuario di Zeus una voce che gli comandava di proclamare con quanto fiato avesse, che era nato il grande re benefattore, Osiride; perciò Crono affidò Osiride a Pamile che lo allevò; in suo onore si celebrano le pamilie, festività che presenta analogie con le processioni falliche.

Nel secondo dei cinque giorni, sarebbe nato Arueris (chiamato Apollo), che alcuni chiamano Horo (Horus) il vecchio; il terzo giorno fu la volta di Tifone; non nacque quando avrebbe dovuto, né con un parto naturale, ma con un colpo lacerò il grembo materno e balzò fuori; il quarto giorno poi venne al mondo Iside; nelle regioni che costeggiano le paludi; nel quinto nacque Neftys  che essi chiamano Fine, ora Afrodite e taluni invece Vittoria; Osiride e Arueris sarebbero nati tutti dal Sole, Iside da Ermes, Tifone e Neftys da Crono

Secondo la versione di alcuni mitologi, dopo queste vicende Crono ebbe il potere supremo e sposò sua sorella Rea, generando Osiride e Iside; i più ritengono che a essere generati furono Zeus cd Era i quali regnarono sull’intero universo.

Da questi nacquero cinque divinità, una per ciascuno dei cinque giorni che gli egiziani intercalano; i figli furono chiamati Osiride, Iside, e inoltre Tifone, Apollo e Afrodite (Diodoro).

Neftys andò in sposa a Tifone; Iside e Osiridc, da parte loro, si amavano e si unirono prima ancora della nascita, nel buio del ventre materno; alcuni sostengono che fu Arueris a essere concepito in questo modo e che fu chiamato Horo il vecchio dagli egiziani, Apollo dai greci (Plutarco).

La legislazione egiziana contemplava il matrimonio tra fratelli e sorelle (**) contro il costume comune a tutti gli uomini per il successo ottenuto da Iside che aveva sposato Osiride suo fratello e dopo la sua morte aveva fatto voto con giuramento di non accettare altra unione coniugale (Diodoro)

Tifone aveva macchinato un complotto ai danni di Osiride. Aveva messo insieme un gruppo di settantasei congiurati e guadagnato anche la complicità della  regina d’Etiopia, di nome Aso, lì presente.

Prese di nascosto le misure del corpo di Osiride e fece predisporre un’arca che corrispondesse per dimensioni, splendida e magnificamente adornata, e la fece portare nella sala del simposio.

A quella vista i convitati si compiacquero ammirati e Tifone, con l’aria di voler scherzare, promise di far dono dell’arca a chi, coricandovisi all’interno, avesse misure corrispondenti.

Uno dopo l’altro lutti gli invitati provarono. Dal momento che non c’era nessuno di taglia adatta, vi entrò Osiride e vi si adagiò: i congiurati allora si precipitarono, sbatterono il coperchio, lo bloccarono dall’esterno con chiodi; vi fecero poi colare   sopra  piombo fuso.

Quindi, portarono l’arca fino al fiume e l’abbandonarono in direzione del mare attraverso la bocca Tanitica, che perciò gli egiziani ancora oggi chiamano “odiosa e detestabile”.

Si dice che tali avvenimenti ebbero luogo il diciassette di Athyr (è il terzo mese del calendario egiziano e copto e va dal 10 novembre al 9 dicembre), mese in cui il sole attraversa lo Scorpione, nel ventesimo anno del regno di Osiride (considerato il primo faraone ndr.).

Appena si rese conto dell’accaduto, Iside tagliò una delle sue trecce e si vestì a lutto nel luogo in cui si trova la città che fino ad oggi ha portato il nome di Copto; ritengono alcuni che il toponimo significhi “privazione”, poiché per esprimere l’azione di privare, gli egiziani usano il verbo koptein.

Iside non faceva che vagabondare dovunque senza riuscire a fare qualcosa e senza trattenersi dall’interrogare le persone in cui si imbatteva; persino se incontrava dei bambini, faceva domande sulla cassa; incontrò alla fine chi l’aveva vista: il quale le indico la bocca del fiume attraverso la quale gli amici di Tifone avevano lasciato andare il sarcofago verso il mare.

Iside seppe che Osiride, inconsapevolmente, si era unito con la sorella, credendola Iside. E questa ne vide la prova nella corona di meliloto che Osiride aveva lasciato da Neftys; si mise a cercare il bambino (la madre appena sgravata, lo aveva subito esposto per paura di Tifone); Iside lo trovò con difficoltà e a fatica grazie ai cani che le facevano da guida; lo allevò e ne fece una guardia fidata che lo accompagnava ovunque e gli diede il nome di Anubis.

Iside venne a sapere che i flutti avevano gettato fuori dal mare la bara vicino alla regione di Biblo; l’onda l’aveva sospinta dolcemente in mezzo a ina pianta di erica; l’erica poi, in poco tempo, cresciuta fino a diventare bellissima e vigorosa, ricoprì la bara e avviluppandosi ad essa con i suoi rami, la nascose nel suo interno.

Meravigliato per la grandezza dell’arbusto, il re di Biblo fece tagliare il ceppo che racchiudeva nella sua cavità l‘urna sottraendola alla vista e ne fece fare una colonna per sostenere il tetto del palazzo.

Si dice che Iside ebbe notizia di questi fatti per ispirazione divina, andò a Biblo e seduta in lacrime presso una fonte, in preda allo sconforto, non rivolgeva parola a nessuno ma salutava con calor e trattava affettuosamente e solamente le ancelle della regina; intrecciava i loro capelli e dal suo corpo emanava  su di loro un divino profumo.

Quando la regina vide le sue ancelle, ecco che la prese un vivo desiderio dell’acconciatura e della pelle profumata di ambrosia della straniera; e così fatta chiamare Iside, divenne intima della regina e ricevette l’incarico di  nutrice del figlioletto.

Iside allevava il bambino e gli dava da succhiare il dito invece del seno ma la notte ne bruciava la parte mortale del corpo, quindi si trasformava in rondine e volava intorno alla colonna gemendo, sino al momento in cui la regina che l’aveva tenuta d’occhio, vedendo il neonato avvolto dalle fiamme prese a gridare e la privò dell’immortalità. La dea allora si rivelò e chiese la colonna che sosteneva il tetto. Senza  il minimo sforzo, la tolse e sfrondò intorno i rami dell’erica e quindi l’avvolse con un drappo di finissimo lino, vi versò sopra un unguento e la rimise nelle mani de re; e ancora oggi gli abitanti di Biblo venerano quel ceppo che è riposto nel santuario di Iside.

La dea si accasciò sulla bara e  ruppe in gemiti tanto strazianti che il più giovane dei figli del re ne morì all’istante; mise la bara su una imbarcazione e salpò portando con sé l’altro figlio maggiore.

Appena raggiunto un luogo deserto, rimasta sola la dea scoperchiò la bara e premendo la guancia contro la guancia, abbracciava Osiridee piangeva. Il bambino, in silenzio, si avvicinò alle sue spalle e osservò la scena. La dea se ne accorse, si voltò e piena di collera lo fulminò con uno sguardo terribile; il bambino allora non riuscì a reggere allo spavento e morì.

Iside si rimise in viaggio per raggiungere il figlio Horo che era allevato a Buto; quanto al sarcofago, lo ripose in un luogo isolato; Tifone lo trovò per caso mentre andava a caccia di notte, al chiarore della luna e riconobbe il corpo, lo smembrò in quattordici pezzi e lo disperse.

Come venne a saperlo, Iside lo cercò e ricercò, navigando attraverso le paludi su una zattera di papiro e per questo (dicono) vuoi per paura, vuoi per una forma di venerazione nei confronti della dea, che i coccodrilli non fanno del male a quelli che navigano in barche di papiro.

L’unico resto di Osiride che Iside non trovò, fu il suo membro virile; era stato infatti immediatamente gettato nel fiume e mangiato dal lepidoto, dal fagro e dall’ossirinco, che tra i pesci sono i più aborriti dagli egizi; ma Iside fece una riproduzione in sostituzione dell’organo genitale e consacrò il fallo e in suo onore gli egiziani celebrano ancora oggi una festa (Plutarco)

Iside giudicava il membro di Osiride degno di onori, non meno delle altre parti del corpo e ne fece allestire simulacri nei santuari; insegnò a rendergli onore nei riti iniziatici e nei sacrifici dedicati a questo dio; lo fece oggetto della massima riverenza e gli guadagnò il culto più esteso (i greci adottarono i riti orgiastici egiziani e diedero al membro il nome di fallo) (Diodoro).

Gli egiziani al posto dei falli avevano escogitato delle statue alte circa un cubito, mosso da fili che le donne portavano in giro per i villaggi, con un membro virile che si muoveva e che era poco più corto del resto del corpo; un flauto guidava la processione con le donne inneggianti al dio (Erodoto).

 

 

*) I brani sono stati presi da Le religioni dei misteri (traduzione di Benedetta Rossignoli) Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 2004.

**) Le conseguenze genetiche erano disastrose, basti l’esempio eclatante di Amenhotep IV-Akhenaton (il faraone eretico che aveva istituito il culto del Sole-Aton) che aveva sposato la sorella Nefertiti, il quale aveva un corpo deforme tanto da fare avanzare l’ipotesi che fosse donna (Crasto-Pietrapiana-Suadoni: Prime conferme della malattia di Akhenaton), con la conseguenza che Tutankhamon (anch’egli affetto da malattia genetica) non fosse loro figlio.

 

 

ISIDE E OSIRIDE

E IL TRIBUNALE

DEI DEFUNTI

 

 

I

l 125mo capitolo del Libro dei Morti, rappresenta una sala  dal tetto coronato di fiamme e di piume, simbolo della verità e della giustizia; Osiride siede su un trono sotto u baldacchino, dinanzi a lui sono Anubi, i quattro figli di Horo e un mostro immaginario "Divoratore dei Morti" che ha la testa di coccodrillo, il corpo di leonessa, la coda di ippopotamo; nella sala sono disposti in fila, quarantadue Giudici infernali.

Una grande bilancia peserà il cuore (la coscienza) del defunto; nell'altro piatto, come contrappeso vi è una piuma simbolo della verità: il cuore non dovrà essere più leggero della piuma.

Il defunto è accompagnato da Maat la dea della verità e della giustizia; di fronte a Osiride il defunto recita una delle "confessioni negative":

"Che tu sia lodato, grande Dio e tu Signore della verità. Sono venuto da te o Signore, per contemplare la tua bellezza. Io ti conosco e so i nomi dei quarantadue dei che sono con te in questa sala della verità, che divorano i colpevoli e bevono il loro sangue nel giorno della condanna dinanzi a te o Osiride, Unnofre (in seguito divenuto Onofrio), vengo verso di te, porto la verità, scaccio il peccato. Io non ho commesso peccati contro i miei simili, non ho fatto nulla  contro i miei simili, non ho fatto nulla di ciò che gli dei odiano. Non ho sobillato nessuno contro i propri superiori. Non mi sono ritirato di soccorrere l'affamato. Non ho fatto piangere nessuno. Non ho ucciso, non ho ordinato di uccidere. Non ho fatto soffrire nessuno. Non ho sottratto offerte ai templi, non ho diminuito il numero dei pani degli dei. Non ho trafugato cibi offerti alle tombe. Non ho falsificato la misura del grano. Non ho alterato il cubito. Non ho manomesso i pesi della bilancia, non ne ho spostato l'ago. Non ho tolto il latte dalla bocca del bambino. Non ho allontanato il bestiame dai pascoli. Non ho catturato pesci negli stagni dei templi. Non ho trattenuto l'acqua del Nilo durante l'inondazione. Non ho sbarrato con dighe l'acqua corrente” ecc. .

Se il defunto era assolto e quindi giustificato, andava libero in luogo non ben identificato come il cielo, l' Occidente, il regno dei morti o nel mondo sotterraneo; se non assolto il defunto giaceva nella sua tomba, torturato dalla fame e dalla sete, senza  poter uscire né poter vedere il sole del giorno che riscalda i viventi o i sole della notte che splende sui morti; successivamente furono aggiunti altri castighi secondo la vivace fantasia degli egizi.

 

 

 

 

FINE