ANTICHE POPOLAZIONI E DIVINITA' ITALICHE

 

MICHELE DUCAS PUGLIA

 

E' ormai pacifico che l'umanità abbia avuto i suoi sviluppi evolutivi da quando dalla linea dello scimpanzé si era evoluto l'antenato dell'uomo e, nel momento in cui era sceso dall'albero e gli alluci si erano allineati, aveva intrapreso il suo cammino verso il futuro.
Dal <paradiso terrestre> dell’Africa, l’Uomo si era poi distribuito in tutte le terre emerse, acquisendo quei caratteri somatici che le condizioni naturali e climatiche dei siti, in cui si era fermato, gli avevano dato.
Facendo un salto di alcune migliaia di anni giungiamo al periodo in cui la fase evolutiva si era compiuta e le popolazioni, non ancora passate alla fase stanziale dell'agricoltura, trasmigravano in cerca di nuove terre in cui poter vivere.
Andiamo quindi ad un periodo di circa 4600/5000 anni fa, in cui le popolazioni (il termine deve in effetti intendersi come <tribù> che insistevano su zone della estensione di una valle; anche il termine <città> è in pratica da considerare <villaggio>) stanziate nella Scizia decisero di trasmigrare, affacciandosi alle Alpi.
L'Italia in quell'epoca era abitata da aborigeni, sparsi qua e là su tutto il territorio. Il suo destino nei millenni della storia futura ebbe inizio in questo periodo e fu segnato dalle migrazioni delle altre popolazioni. Queste non trovavano alcuna resistenza da parte degli aborigeni e, occupandone il territorio, li sottomettevano schiavizzandoli o, sovrapponendosi, li integravano.
Le varie distinzioni e sovrapposizioni di popolazioni non hanno basi storiche essendo <pre-istoriche>, fondate su mere supposizioni o riferimenti di antichi scrittori (Erodoto, Dionisio, Diodoro, Strabone, ecc.) o scoperte archeologiche, che non danno comunque certezze, ma semplici indizi o elementi tutti da dimostrare.
Basti rilevare che sugli Etruschi si è scritto un'infinità di testi, tanto da poter dire che di loro si conoscono tutti gli usi e i costumi; ciò nonostante rimangono un popolo misterioso, in quanto non si conosce la loro provenienza e la loro scrittura non è ancora stata interamente decifrata. Si suppone solo che fossero di origine asiatica.
Insomma questa preistoria potrebbe essere tutta riscritta, riteniamo, alla luce degli studi genetici, le cui scoperte ci possano dare vere e proprie certezze <storiche>.
La prima popolazione, che si affacciò sulle Alpi, fu quella dei Tirreni provenienti dalla Scizia (con tutta la genericità insita nel termine), che si divisero in tre gruppi: quello dei Taurisci, che si stabilirono nei paesi subalpini; quello degli Etruschi, che si stanziarono al centro della penisola; infine quello degli Oschi, che raggiunsero il piede della penisola.
Ad est della parte settentrionale della penisola, affacciata sull'Adriatico, si erano insediati i Veneti (di origine illirica).
La stabilità dei Tirreni non era destinata a durare per l'arrivo di un'altra popolazione, gli Iberi. Anche costoro, raggiunte e superate le Alpi, si divisero in due gruppi. Uno si fermò in Italia, l'altro proseguì per la Francia ed andò a stabilirsi nella penisola che prese il loro nome.
Il gruppo che si fermò in Italia si divise in Liguri, che occuparono il territorio che prenderà quel nome, ed Itali, che si fermeranno al centro della penisola. L'altro gruppo andò a stabilirsi in fondo alla penisola (non ancora nell'isola) e prese il nome di Siculi.
Sopraggiunse un'altra popolazione, erano i Celti, che giunti in Europa si divisero in tre rami: uno si diresse in Britannia, l'altro in Francia, il terzo venne in Italia e si sovrappose ai Tirreni e agli Iberi, precedentemente stanziati.
Essi presero il nome di Umbri e si divisero in tre rami: gli Insubri, che si stabilirono lungo il Po; i Vilumbri, che si stabilirono sulle coste tirreniche; infine gli Olumbri, che andarono a stabilirsi fra i monti dell'Appennino.
Gli Umbri e gli Iberi avevano messo in stato di soggezione i Tirreni (divisi, come detto in Taurisci, Etruschi ed Oschi).
Nella parte ovest dell'Italia settentrionale, i Taurisci (detti anche Taurini) furono respinti sulle alture subalpine dai Liguri (di origine ibera). Ad oriente gl'Insubri, stabilitisi lungo il Po, confinavano con gli antichi Veneti. Nel centro della penisola erano rimasti gli Etruschi, schiacciati da una parte dai Vilumbri, che occupavano il territorio fino al mare, dall'altra dagli Olumbri, che dominavano l'Appennino.
A mezzogiorno, agli Oschi si erano sovrapposti gli Itali (Iberi); in fondo alla penisola - come detto - vi erano i Siculi, anch'essi del ceppo degli Iberi.
Questa nuova situazione era tuttavia destinata a cambiare ulteriormente per l'arrivo di un'altra popolazione: quella dei Pelasgi.
Costoro erano di origine asiatica (si ritiene si fossero sovrapposti ai tirreni-etruschi, o che fossero lo stesso popolo). Erano guerrieri e navigatori e avevano invaso la Grecia, costringendo quella popolazione a ritirarsi sui monti. Successivamente i Greci scacciarono i Pelasgi, che non trovarono di meglio che attraversare il mare e raggiungere le coste italiche meridionali, dove trovarono i Siculi che opposero resistenza. La lotta durò circa tre secoli; alla fine i Siculi furono scacciati e si rifugiarono sull'isola, che prese il loro nome.
Questi avvenimenti si verificarono nel giro di mille, millecinquecento anni, quindi ci troviamo tra il 1600 e il 2000 a. C. (atteso il campo di incertezze in cui ci muoviamo, le datazioni sono semplicemente orientative ndr).
Un altro ramo dei Pelasgi sbarcava alle foci del Po ed il loro insediamento dette luogo alla fondazione di Spina. Un ulteriore gruppo di Pelasgi penetrò nel territorio degli Etruschi (ai quali probabilmente si sovrappose), insediandosi nella zona del monte Umbilico corrispondente al Gran Sasso.
Questo popolo dei Pelasgi aveva raggiunto un ottimo grado di civiltà; come abbiamo detto, era un popolo di guerrieri e navigatori, industrioso, costruttore di mura (1), con le quali cingeva le città, scavava le miniere, aveva un proprio alfabeto, un culto mitologico (simbolico) e religioso, che non poteva che essere in rapporto con la <natura>.

1) Mura pelasgiche si trovano a Volterra, Fiesole, Cortona; mura e porte ad Arpino, Alatri, Verula, Fermentino, Preneste; un acquedotto a Terracina, un ponte a Cora, un sepolcro a Monte Circeo, un edificio a cupola (probabilmente una cisterna) a Roma. Altri resti a Rieti, Spoleto e lago Fucino.

LE DIVINITA': I CABIRI

I Pelasgi adoravano varie divinità, tra le quali le più importanti erano una dea, Vesta, protettrice della <famiglia> ed un dio, Termine, che rappresentava la <proprietà>: queste divinità rimarranno sedimentate sul territorio, anche dopo la scomparsa dei Pelasgi.
Essi avevano anche un'idea della Trinità, con un Onnipotente, un gran Fecondatore ed una Fecondatrice. Questa Trinità era conosciuta dai soli iniziati, assoluti detentori del potere, i sacerdoti, mentre il resto della popolazione si limitava ad avere il rapporto con gli <astri>, rappresentati dai Cabiri.
Nel loro culto, i Pelasgi avevano anche la <Confessione> che era resa ai sacerdoti, i soli abilitati a concedere la <purificazione>. Tutto era possibile purificare con i sacrifici, ad esclusione dei peccati-delitti commessi contro la società, come l'omicidio effettuato nel tempio o lo spergiuro.
Non mancava l'<iniziazione>, che troviamo presso tutte le società primitive (trasferita nelle religioni dei popoli civilizzati), che avveniva nel momento in cui i giovani raggiungevano la pubertà. Essi venivano fasciati con una stoffa vermiglia, inghirlandati di rami d'ulivo e festeggiati con mistiche danze. L'iniziazione aveva una funzione propiziatoria, nel senso che con essa il giovane era dichiarato indenne dalle sventure e dai pericoli, rappresentati principalmente dalla tempeste del mare, per coloro che lo affrontavano.
L'Italia era un territorio geologicamente giovane, ancora in fase di assestamento e le forze della natura si scatenavano con esplosioni vulcaniche, innalzamenti ed abbassamenti e movimenti del suolo, che producevano acque stagnanti e paludi, le cui esalazioni insalubri procuravano malattie sconosciute.
I sacerdoti dicevano che queste malattie erano dovute all'ira degli dei; i Cabiri erano sdegnati, perché non era stata versata la decima parte di ciò che era stato prodotto durante l'anno (compresi i bambini, essendo i sacrifici anche umani). Queste richieste avevano portato discordie, lotte intestine e disordini, che inasprirono i rapporti tra la popolazione e la classe sacerdotale, la quale comunque continuerà a detenere il potere anche presso gli Etruschi.

LA RELIGIONE
PRESSO GLI ETRUSCHI

La religione degli Etruschi contemplava numerosi dèi, buoni e cattivi, che in una incessante lotta si contendevano gli uomini. La morte era concepita come una dea crudele, immaginata con becco di falco e mani piene di vipere; nell'inferno le anime venivano ghermite da un mostro orrendo.
Le divinità erano ordinate secondo una gerarchia, al vertice della quale si trovava una trinità celeste, secondo un'idea trinitaria che si svilupperà anche in altre religioni, formata da Tina (Giove), Uni o Cupra (Giunone), Menrva (Minerva) a cui in ogni città dovevano essere dedicati tre templi a triplice cella.
Figlio di Tina (Giove) era il genio, Gioviale, fattore degli uomini. Figlio di Gioviale era Tagete, che, balzato fuori da un solco, era stato il maestro degli uomini. A lui si doveva la scienza degli àuguri e degli aruspici.
Tina, capo supremo degli dei, anima del mondo e padre delle anime, era assistito da dodici dei (sei maschi e sei femmine), i Consenti o Complici. Giano, uno degli dei maggiori, aveva le chiavi dell'anno ed aveva un doppio volto, con cui guardava ad occidente e ad oriente.
Analogamente si aveva una triade ctonia (infernale) composta da Mantus (Bacco e a un tempo Hades o Plutone), Mania (Proserpina) e di una terza divinità femminile, Phersipnei (Persefone) o Serfue (Cerere).
I geni presiedevano ad ogni città, erano i Penati e versavano benedizioni sugli uomini ed erano pubblici o privati; i primi presiedevano alla città, i secondi ad ogni casa, ad ogni persona. Ciascuno ne aveva due, uno che ispirava il bene, uno che ispirava il male.
Vejove era il dio autore del male e turbatore dell'ordine dell'universo. Lare era il dio custode della casa. Suo altare era considerato il luogo dove la famiglia si radunava intorno al fuoco <foco-lare>.
Le divinità etrusche erano, come si può rilevare dai nomi, alcune prettamente etrusche, altre di provenienza greca, italica o latino-romana. Etrusche erano Cilens, Colalp, Ethausva, Letham, Tecum, Thufltha, Tolusco, (di questi nomi non se ne conosce il significato). Divinità di provenienza greca, come idea, Fufluns (Dioniso), Sethlans (Efesto), Turms (Hermes), Turan (Afrodite), o come idea e nel nome, Aplu (Apollo), Artume (Artemide), Hercle (Eracle), Aita (Ade), Phersipnei (Persefone). Di provenienza italica, erano Maris (Marte), Nethuns (Nettuno), Menrva (Minerva), Usil (Sole); di origine latina o romana erano Uni (Giunone), Ani (Giano), Selvans (Silvano), Satre (Saturno), Vetis (Veiove), ed altri.
Accanto agli dèi maggiori, vi erano divinità secondarie, semidei o dèi gentilizi, affini ai lari o penati romani, o che costituivano il seguito di una determinata divinità di grado superiore.
Un dio lo conosciamo con il nome latinizzato di Vertumnus (Volturnus) definito <deus Etruriae princeps>, il dio federale dell'Etruria meridionale, dove aveva il suo santuario, il Fanum Voltumnae, nella zona dei Volsini.
Vi erano poi divinità venerate in rapporto coi fenomeni naturali (che è stato sempre l'inizio delle religioni, che poi si sono evolute nel tempo), con i luoghi, con i cicli del tempo, con le forze della natura e della generazione, con le potenze oscure e ineluttabili del fato.
Gli etruschi credevano nell'oltretomba o in un ritorno alla vita, e praticavano il culto dei morti. Questi, a seconda del loro grado sociale, venivano inumati o inceneriti, e i corpi o le urne con le ceneri erano seppelliti in vaste camere sotterranee, decorate spesso da dipinti simbolici, con accanto ai cadaveri o alle ceneri gli oggetti che essi avevano avuti più cari in vita e, racchiusi in vasi di terra nera, i viveri necessari per compiere il viaggio nell' al di là.
Essi avevano anche credenza in defunti divinizzati, detti <anime divine>, nei geni femminili, detti le <hase> e rappresentati da bellissime fanciulle, che erano al seguito di Turan, la Venere etrusca, e avevano funzioni analoghe a quelle delle Grazie e a quelle delle Ilizie o dee dei parti. Vi erano poi altri geni, bambini ignudi, alati, ecc.
Gli etruschi avevano assorbito dai greci anche i rituali, sistemi di culto e molti miti. In particolare, riguardo all'oltretomba, ebbe molta influenza l'evoluzione delle idee religiose greche. La concezione fondamentale, prettamente etrusca, della vita d'oltretomba era certamente tetra e triste. Il rito dell'incinerazione portava a distruggere il cadavere, con l'intenzione che i morti non potessero facilmente tornare a turbare l'esistenza dei vivi.
Successivamente, il contatto con i Greci e con gli Italici portò all'introduzione nel rito funebre, dell'inumazione, e la concezione dell'oltretomba si modificò con la credenza nella parziale vitalità dello spirito del defunto, del quale si usò proteggere anche le spoglie mortali.
Si concepì l'al di là in maniera semplice e serena, ma la concezione cupa e dolorosa tornò a generalizzarsi nel sec. IV a. C., e l'Averno si popolò di demoni orribili, come Tuchulcha, che infliggeva pene terribili ai malvagi, mentre le anime buone, attraverso varie purificazioni, erano condotte alla beatitudine fra danze e conviti.
I rapporti fra gli dèi e gli uomini erano regolati da uno speciale complesso di dottrine chiamate dai Romani, nel loro insieme, <disciplina etrusca>, <haruspicinae disciplina>, o semplicemente <haruspicina>. Consisteva nell'insegnamento che le tradizioni indigene rappresentavano, nella forma di una vera rivelazione, il codice di comportamento di un popolo e che riassumevano le norme della vita civile, del culto e delle pratiche divinatorie. Alcune di queste nozioni erano state date agli uomini dal fanciullo divino Tagete e dalla ninfa Begoe, in etrusco Lasa Vecuvia.
Le pratiche rituali erano minuziose e raccolte in appositi libri di carattere religioso, divinatorio, culturale, didascalico e liturgico. Questi libri comprendevano varie sezioni: i libri <haruspicini o Tabetici> (dialoghi fra Tagete e Tarconte, rivelatori dell'aruspicina); i libri <Vegonici> collegati con la ninfa profetica <Vegonia>; i libri <fulgurales>; i libri <rituales>, divisi in <rituales> propriamente detti e <fatales> (riguardanti la vita degli Stati e degli uomini); i libri <acherontici> (intorno alla morte e alla vita ultraterrena).
I sacerdoti avevano grande importanza, sia perché solo ad essi era dato conoscere e tramandare il minuto e complicato cerimoniale dei riti religiosi, sia perché spettava a loro tenere il calendario, stabilire le feste, seguire il computo degli anni. La loro carica era ereditaria. All'apice della classe sacerdotale (la società era divisa in sacerdoti, patrizi, detti lucumoni e plebei e questi costituiti in tribù, curie e centurie) vi era il sommo pontefice, eletto dai sacerdoti di tutte le città confederate. Egli era a capo del collegio sacerdotale, che decideva per la pace o per la guerra, e di tutta la gerarchia, che nell'ultimo grado terminava con i novizi, chiamati Camilli.
Sempre dalle tetre concezioni della morte, era derivata la divinazione, che tra gli Etruschi godeva grandissima considerazione, improntata ad un complicato cerimoniale religioso, col quale si cercava di conoscere la volontà degli dèi ed ottenerne la protezione. "Áuguri" ed "Aruspici", facenti parte della classe sacerdotale, interpretavano sogni e prodigi (gli insoliti fenomeni della natura), e dal volo degli uccelli, dalla direzione del fulmine, dai movimenti delle viscere degli animali immolati agli dèi interpretavano anche il futuro. La scienza divinatoria era custodita come <retaggio> dalle più antiche famiglie etrusche e canonizzata nei libri che abbiamo già indicati (Rituali, Fulgurali, Aruspicini, Acherontici, Fatali), distinta in tre parti: nell'osservazione dei fulmini, nel presagio tratto dalle interiora delle vittime e nell'interpretazione dei portenti (fenomeni eccezionali, considerati miracolosi). Di queste parti, la più importante era l'osservazione dei fulmini, che erano i fenomeni che nell'uomo primitivo suscitavano il maggior orrore e paura. Le diverse interpretazioni date derivavano dal tipo di fulmine (che poteva essere fumoso, secco, chiaro, ecc.), distinto in pubblico, familiare, privato, a seconda dell'interpretazione a cui dava luogo, cioè riguardante lo Stato, la famiglia o una singola persona.
Gli Aruspici che avevano l'incarico di interpretare i fulmini erano detti Fulguratori, ed erano tenuti in grande considerazione, perché il fulmine era considerato all'apice dei presagi, il solo irrevocabile e quello che aveva la facoltà di distruggere tutti gli altri contrari.

LA PRIMA GUERRA
D'INDIPENDENZA

Le varie popolazioni sotto il giogo dei Pelasgi decisero finalmente di unirsi, dimenticando le diverse origini, e, guidati dagli Itali (di ceppo iberico), reagirono contro di essi, combattendoli in una prima guerra per la loro indipendenza.
Era circa l'undicesimo secolo a. C., pressoché il periodo della guerra di Troia. I popoli uniti cacciarono quasi tutti i Pelasgi; alcuni andarono a rifugiarsi nelle isole greche, altri nella più lontana Tracia.
Eliminati i Pelasgi, la popolazione predominante rimasta in Italia era quella degli Etruschi, che si trovavano, come abbiamo visto, schiacciati tra i Vilumbri (sulle coste tirreniche) e gli Olumbri (tra i monti dell'Appennino). Essi entrarono in guerra con gli uni e con gli altri e conquistarono un vasto territorio, con trecento villaggi. Quindi si ripresero non solo gli antichi territori, ma conquistarono il territorio degli Insubri, in modo che la nuova Etruria si estendeva dalle Alpi attraverso l'Appennino fino all'Adriatico (che prendeva il nome dalla città di Adria, da essi fondata).
Olumbri e Vilumbri rimasero relegati nella regione, che da loro prese il nome di Umbria; gli Insubri, nelle valli alpine nel tratto tra i fiumi Adda e Ticino; ad ovest i Taurisci-Taurini, più a sud i Liguri, ad est i Veneti (di origine illirica). Tutta la parte centrale della penisola era occupata dagli Etruschi, mentre a sud gli Itali e gli Oschi si erano attribuiti nomi più familiari, come Piceni, Latini, Sabini, Volsci, Sanniti, Marsi, Peligni.

 

FINE


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ANTICHE POPOLAZIONI
PRE-ROMANE

 

MICHELE DUCAS PUGLIA

 

Nell'articolo sulle "Antiche popolazioni pre-italiche", abbiamo visto quali popolazioni si è ritenuto si fossero sovrapposte alle autoctone o le abbiano sottomesse.
Collegate con quelle popolazioni, ma in epoca successiva e in periodo pre-romano, troviamo insediamenti di gruppi alquanto diversi dai precedenti, se pur derivanti dagli stessi ceppi principali, sui quali, come vedremo, non vi è chiarezza e si procede con supposizioni.
Si ritiene che quello dei Liguri sia stato il popolo più antico che abbia abitato l'Italia e buona parte dell'Europa occidentale.
Dalla Provenza, la stirpe dei Liguri si estese per tutte le Alpi occidentali e in parte delle centrali, dove probabilmente i Taurini, i Salassi, i Leponzi e gli Euganei che da essi erano derivati, si diramarono lungo tutte le coste tirreniche della Penisola.
Essi abitarono per prima la Corsica e la Sardegna settentrionale (Gallura) e si stabilirono in varie regioni dell'Appennino toscano, probabilmente anche sui monti e nel piano del Lazio. Liguri furono anche gli Stoeni che erano insediati nelle Alpi tridentine.
Originariamente i Liguri provenivano dalla Spagna, non si può stabilire se per via di terra o di mare. Comunque, essi appartenevano alla popolazione degli Iberi, strettamente affini ai Baschi, ché restano oggi gli unici ibridi superstiti di quella razza mediterranea che ebbe origine dalle coste africane (Tunisia) e si diffuse su tutte le coste del Mediterraneo occidentale fino alla Sicilia.
Anche gli Umbri furono tra le popolazioni più antiche d'Europa e d'Italia, appartenenti al gruppo degli Italici, che erano scesi in Italia dalle regioni danubiano-illiriche. Sappiamo che si sparsero per l'Appennino e giunsero fino ad Ancona. Probabilmente si spinsero fino al Gargano e oltre, fino in Calabria. E' certo che in tempi storici il loro territorio si restrinse nelle regioni dell'Appennino poste ad oriente del Tevere, estendendosi anche sulla marina, che dalla foce del Po giungeva sino al fiume Aesis a nord di Ancona.
Sull'Adriatico, presso la foce del Po abbiamo visto come la città di Spina fosse umbra, mentre Ravenna, sebbene dal nome riveli la sua derivazione etrusca, fu ritenuta città umbra, come umbro è il nome della vicina Butrium. Gli Umbri furono comunque finitimi degli Etruschi, coi quali lottarono a lungo.
Dall'oriente e dal vicino Illirico, giunsero gli Japigi che andarono ad occupare le Puglie, non escludendo che si fossero estesi su tutta la costa dell'Adriatico dal Gargano fino a s. Maria di Leuca. Nella penisola salentina essi si scontrarono con un popolo più antico, i Messapi, giunti per mare sulla costa dell'Adriatico a seguito di antiche immigrazioni giunte dall'Epiro o dall'Oriente.
Le spiagge dell'Adriatico erano abitate anche dai Liburni, popolo limitrofo alla Dalmazia, che pare avessero anch'essi occupato la costa del Piceno.
A settentrione dell'Adriatico, l'ultima immigrazione Illirica nel periodo pre-romano, sembra essere stata quella dei Veneti, probabilmente avvenuta prima del sec. VII a. C., che si estesero da Aquileia e luoghi limitrofi, da cui cacciarono gli Euganei, sino alla foce del Po, mentre a occidente non andarono oltre la linea del Mincio.
Più complesse sono le successioni e le sovrapposizioni agli antichi popoli che abitarono l'Italia meridionale.
Fra gli abitatori più antichi della sponda dell'Ionio furono i Chones, che appartenevano ad antiche stirpi dell'Epiro, da dove si sarebbero recati in Italia attraversando lo stretto d'Otranto. Essi si fusero quindi con gli Enotri, che probabilmente era stirpe del gruppo indoeuropeo latino-falisco, e quindi appartenenti al gruppo degli Italici (da non confondere con gli Itali).
Antica era anche la stirpe degli Ausoni, in latino detti Aurunci. Costoro dovevano in precedenza aver occupato terre assai più estese delle spiagge di Formia e Gaeta, dove si trovarono limitati in età storica, probabilmente perché vi erano stati ricacciati dai Volsci.
Agli Ausoni si trovano spesso confusi gli Opici, altra antichissima schiatta, che deve aver abitato varie regioni dell'Italia meridionale, specie della Campania.
I Morgeti occuparono in origine la Calabria ionica, e si estesero poi fino a raggiungere il golfo di Taranto e le foci del Silaro. Essi vengono spesso confusi con gli Itali, popolo che si dice derivato dagli Enotri, prendendo il nome da Italo.
Tutti questi popoli vengono a confondersi con gli Itali, e il nome di Italia, un tempo limitato ai paesi occupati dai Brutii, ossia la Calabria ionica, a poco a poco si estese al territorio occupato dai Greci, dalle stirpi Sabelliche e poi dai Romani, venne infine a designare tutta la Penisola.
Abbiamo visto come l'altro antichissimo popolo dei Siculi, avesse abitato prima l'Italia centrale, nella Sabina; essi furono sospinti nel Lazio e nella Campania, dall'invasione degli Aborigeni (nome che per i Latini designava i più antichi abitanti della regione che circonda Rieti, mentre per i Greci avrebbe avuto significato di "errabondi", e per altri ancora avrebbe semplicemente indicato le genti che vivevano sui monti), e poi ancora fino alla Sicilia a cui diedero il nome (se quello dei Sicani non sia da ritenere un altro popolo da essi distinto e non fosse invece un popolo indigeno dell'isola).
Certo è che le più antiche migrazioni degli Aborigeni partivano dalle regioni in cui si trova il Gran Sasso d'Italia. Ebbero la loro prima sede a Testruna presso Amiterno e di là cacciarono i precedenti abitatori, gli Umbri, e, occupando la regione degli Aqnicoli, il Cicolano, penetrarono nella Sabina, respingendo davanti a sé i Siculi.
A loro volta gli Aborigeni vennero cacciati dai Sabini, i quali appunto dettero il loro nome alla regione in cui si trova Rieti.
Dai Sabini, a causa di successive migrazioni determinate dal continuo aumento di popolazione (era rito sabino il sacrificio agli déi di nati durante il "ver sacrum", "primavera sacra", poi sostituito dalla migrazione di quei nati, quando avevano compiuto i venti anni), derivarono le varie stirpi Sabelliche, note generalmente anche come Italiche.
In tal modo i Sabini, dalla regione cui dettero il nome di Sabinia (che comprendeva anche l'Abruzzo centrale), diedero vita nell' Appennino abruzzese ai Marsi, ai Marrucini, ai Peligni, ai Vestini. Da loro derivarono pure i Sanniti, che a loro volta diedero vita agli Irpini ed ai Lncani, che si sovrapposero o cacciarono dalla Campania, i più vecchi Osci. Sempre dai Sabini, infine, derivarono i Piceni.
Da dove provenissero i Sabini non è certo, ma sembra probabile che essi fossero giunti in Italia dall'Illirico, come i Volsci, i quali avrebbero scacciato dal territorio delle Paludi Pontine e dalle regioni limitrofe, gli Ausoni-Opici.
Sulle coste ioniche della Penisola e nella Sicilia particolarmente orientale, si erano stabilite stirpi di Greci, che colonizzarono quelle regioni, alle quali fu dato il nome di Magna Grecia, assorbendo in tutto o in parte, o in parte respingendo, le popolazioni che le abitavano prima dell' VIlI sec. a. C.

 

LA RELIGIONE

 

Sulla religione dei popoli che abitarono l'Italia nel periodo pre-romano e in quello della Roma regia si hanno pochi dati che consentano una esatta ricostruzione. Se si escludono le colonie greche, nelle quali ebbero vita i culti che si riscontrano nello stesso periodo nelle città e negli stati dell'Ellade, per gli altri popoli, ad eccezione degli Etruschi e dei Romani, le notizie sono a carattere induttivo.
Tra costoro, ad ogni modo, sembra certo che la religione dovette limitarsi ad una primitiva deificazione delle forze della natura, mista ad un culto assai accentuato per i morti, culto quest'ultimo del quale si sono rinvenute numerose tracce nelle tombe poste in luce da scavi archeologici.
Molte tribù, se non tutte, delle popolazioni Sabelliche, ad esempio, ebbero un culto ben definito per l'animale sacro, in cui si traduceva l'ammirazione per cose ritenute meravigliose, come il volo degli uccelli, o l'ardire, la fierezza, l'ostinazione nella lotta di animali feroci.
Nel culto dei morti troviamo segni di una credenza nell'oltretomba o di un ritorno alla vita, come dimostra il fatto che, inceneriti o inumati, attorno ai morti sono sempre collocati gli oggetti con cui i defunti ebbero familiarità durante la vita.
La religione degli Etruschi (come abbiamo visto nell'articolo citato) contemplava numerosi dèi, buoni e cattivi, che in una incessante lotta si contendevano gli uomini. La morte era concepita come una dea crudele, immaginata con becco di falco, con mani piene di vipere. Nell'inferno le anime venivano ghermite da un mostro orrendo.
Da queste tetre concezioni derivarono, presso gli Etruschi (come abbiamo visto), la fortuna della divinazione e un complicato cerimoniale religioso, a mezzo del quale si cercava conoscere la volontà degli dèi e cattivarsene la protezione.
Auguri e aruspici non interpretavano soltanto sogni e prodigi, ma, dal volo degli uccelli, dalla direzione del fulmine, dai movimenti delle viscere degli animali immolati agli dèi, anche il futuro.
I sacerdoti avevano grande importanza, non solo perché essi solo conoscevano e si tramandavano, il minuto e complicato cerimoniale dei riti religiosi, ma anche perché ad essi spettava tenere il calendario, stabilire le feste, seguire il computo degli anni.
Vivissimo fu pure il culto per i morti. Questi, a seconda del loro grado sociale, venivano inumati o inceneriti, e i corpi o le urne con le ceneri erano sepolti in vaste camere sotterranee, decorate spesso da dipinti simbolici, con accanto ai cadaveri o alle ceneri le cose che erano state più care al defunto, e con racchiusi in vasi di terra nera i viveri necessari per compiere il viaggio nell'al di là.

 

L'ANTICA RELIGIONE
DEI ROMANI

 

La religione originaria dei Romani (che approfondiremo nei suoi sviluppi) ha una base comune con tutte le concezioni ariane originarie. Iniziò, probabilmente, con una ingenua deificazione delle forze della natura, acquistando nel tempo e rapidamente, una maggiore complessità.
Tra le più antiche divinità ereditate in parte dagli Etruschi, troviamo Giano, vigilante sulla casa, sulla città, sui confini della patria, raffigurato bifronte, adorato in un tempio nel cuore della città, aperto in tempo di guerra, chiuso in tempo di pace; Vesta, dea del focolare e della famiglia, cui era consacrato un tempio nel quale le sacerdotesse (vestali), tenevano perennemente acceso un fuoco; Marte e Quirino dèi della guerra.
Termine era custode della proprietà; Flora faceva sbocciare i fiori; Pomona, maturare i frutti; Saturno presiedeva alle semine; Cerere era dea delle messi, ecc.
Dagli Etruschi i Romani appresero il culto di Giove, Giunone e Minerva, che formavano la così detta Triade capitolina, dal famoso tempio che ebbero in Campidoglio.
Divinità più familiari erano i Penati e i Lari, i primi vigilanti nel più intimo della famiglia, i secondi, numi tutelari anche della famiglia cui ogni giorno venivano rivolte preghiere e offerti doni.
I Mani, infine, rappresentavano il culto domestico dei morti. Occorreva propiziarse1i con libagioni, offerte e banchetti. Il cerimoniale dei culti ebbe per i Romani la stessa importanza che ebbe presso gli Etruschi, dai quali derivarono gran parte del loro cerimoniale.
Un minuzioso calendario, con giorni fausti e nefasti era tenuto dai sacerdoti, che in Roma esperivano mansioni ritenute di carattere civile.
Riuniti in collegi con un Pontefice, essi avevano la custodia dei singoli templi, erano poi riuniti in un collegio supremo presieduto dal Pontefice massimo.
Aruspici e àuguri avevano la stessa importanza che presso gli Etruschi. I primi esaminavano le viscere delle vittime, immolate e con grande solennità interpretavano i prodigi, i secondi pretendevano d'indovinare la volontà dei numi dal volo degli uccelli.
A queste pratiche i Romani primitivi annettevano grande valore, e nulla poteva avere inizio senza prima aver avuto da aruspici o da auguri un preciso vaticinio.

 

 

Cartina dell'Italia Pre-romana

 

L'ITALIA ALLA VIGILIA
DELL'UNIFICAZIONE
SOTTO L'IMPERO ROMANO

 

I popoli sui quali si estese la dominazione romana in Italia furono principalmente i seguenti:
Di queste popolazioni, quelle raggruppate con i Latini, Equi, Sabini e Campani, appartenevano alla stirpe Italica, che le indagini linguistiche dimostrano risalissero non solo al ceppo indoeuropeo, ma costituissero una particolare unità, differenziata dalle altre maggiori della stessa famiglia indo-europea: Celti, Germani, ecc. .
In questa unità, peraltro, le stesse indagini linguistiche ritengono si distinguano due gruppi: il gruppo Latino-falisco e il gruppo Umbro-sabellico o Osco-umbro, per notevoli differenze fonetiche, morfologiche, sintattiche e, soprattutto, lessicali.
Al primo gruppo appartengono Latini e Falisci. Al secondo tutte le popolazioni elencate sotto il gruppo dei Sabini, che parlavano l'umbro e idiomi affini, e quel1i raggruppati con i Campani, che parlavano diverse varietà dell'osco.
Le popolazioni raggruppate con i Volsci, pare avessero affinità con gli Umbri, mentre per gli Equi e gli Ernici poi latinizzati, rimane incerto a quale dei due gruppi appartenessero.
Alla famiglia indoeuropea, oltre ai Greci, appartenevano i Galli, di stirpe celtica, i Siculi e i Sicani, che probabilmente costituivano un' unica unità etnica. E lo erano anche con tutta probabilità, anche i Veneti e gli Japigi, a giudicare dalle limitate conclusioni che si possono trarre dai difficili testi epigrafici veneti e messapici. Molti convengono che vi siano particolari affinità tra le lingue degli uni e degli altri con l'antico Illirico.
Anche per i Liguri da alcuni è stata sostenuta l'origine indoeuropea, ma essa sembra da escludere, come certamente è da escludere per gli Etruschi, in quanto, nella tanto vessata e tormentata questione sulla loro nazionalità, questo pare sia l'unico dato sicuro.
Sull'origine dei Sardi e dei Corsi, nulla si riesce a sapere ancora oggi, per mancanza di documenti e dall'indagine linguistica, non si riescono ad avere risultati concreti.
L'assetto etnografico che è stato tracciato è quello delle diverse regioni italiane, quando vi giunsero le armi romane, e sostanzialmente corrisponde a quello della confederazione italica, unificata sotto l'impero romano.
Questo assetto, fu la risultante di tutto quel complesso di precedenti invasioni, sovrapposizioni e spostamenti etnici, che abbiamo visto nell'articolo "Antiche popolazioni italiche". Esso non sarà definitivo. L'Italia continuerà ad essere travagliata da continue invasioni, con un periodo di stabilità portata dall'impero romano, che si manterrà solo fino alla sua caduta. Seguiranno le invasioni barbariche con nuovi insediamenti che non saranno definitivi per ciò che si verificherà nei secoli successivi, come vedremo in altri articoli.

 

CONCLUSIONI

 

La realtà etnografica dell'Italia preromana è piuttosto variegata. Nel contesto delle varie popolazioni esaminate, esse rientrano, per la massima parte nel c.d. grande gruppo Indoeuropeo (che designa tutti i popoli che originariamente parlavano la stessa "lingua madre"), al quale appartenevano i gruppi principali che occuparono il continente europeo, costituito dai Germani, Celti, Italici, Greci e Slavi. Da questi popoli, va tenuto distinto quello degli Etruschi, non considerato indoeuropeo e quello dei Liguri, Sardi, Corsi ed Elimi (abitanti la parte estrema della Sicilia occidentale probabilmente Liguri) di origine incerta.
Da tutti gli spostamenti, sovrapposizioni e integrazioni, i movimenti che si possono fissare in età storica sono costituiti in primo luogo, dalla discesa delle stirpi celtiche nell'Italia settentrionale, effettuatasi probabilmente già nel V sec. a. C., non si sa bene se in unica invasione o, molto più probabilmente, in ondate successive; in secondo luogo, dall'avanzare delle stirpi sabelliche nella Campania, nella Lucania e nel Bruzio, nella seconda metà del sec. V e nel principio del IV. .
Nell' Italia settentrionale i Celti combatterono con gli Etruschi che scacciarono o ai quali si sovrapposero. E'certo che costoro verso la metà del periodo della monarchia romana, erano circoscritti all' Etruria, Emilia, Lazio e in parte della Campania.
Per quanto riguarda le stirpi umbro-sabelliche, esse, discendendo nell'Italia meridionale, si sovrapposero a stirpi preesistenti, che sono poi quelle con le qua1i erano venuti a contatto i Greci nei primi tempi della loro colonizzazione, e cioè, gli Ausoni della Campania e gli Enotri nel resto dell' Italia meridionale, dei quali facevano parte gl'Itali dell'estrema punta della penisola, da cui si erano staccati i Siculi che erano andati ad occupare la Sicilia dov'erano insediati i Sicani.
Ausoni, Itali ed Enotri in genere, appartenevano con la massima probabilità al gruppo latino di origine Indoeuropea, come anche i Siculi e Sicani, che probabilmente costituivano un'unica entità.
Quindi si può concludere che prima del sec. V a. C. l'Italia settentrionale era divisa tra Liguri, Etruschi e Veneti, l'Italia centrale tra Umbri, Etruschi e Latino-Falisci e quella meridionale con la Sicilia, tra Siculi-Sicani ed Elimi e colonie greche.
Ogni altra ipotesi diversa da quella che, per il tempo precedente all'invasione etrusca, ritiene che gli Etruschi, così nell'Italia settentrionale come in quella centrale, si fossero sovrapposti a stirpi umbre, (facenti parte del gruppo Italico), è possibile.
Anche per gli Umbri è possibile ritenere che essi si fossero sovrapposti, nell'Italia settentrionale ai Liguri. Alle stirpi etrusche che si erano sovrapposte agli Umbri era seguito l'arrivo e l'invasione delle stirpi celtiche, col successivo confinamento degli Etruschi nell'Etruria. Nell'Italia centro-meridionale vi era stata l'avanzata delle stirpi osco-umbre con colonizzazione greca.
Per tutte queste diverse fasi non è possibile procedere a specifiche indicazioni cronologiche, che possono avere solo carattere indicativo e approssimativo.
Su questa base si può dire che mentre le invasioni celtiche sono inquadrabili nel V sec., l'avanzata delle stirpi osco-umbre giunge sino al principio del IV sec., mentre la colonizzazione greca, risale alla metà circa del sec. VIlI a. C., e prosegue nei secoli successivi.
Relativamente agli Italici, che con i Germani occupavano originariamente la regione alla destra del Reno, il settentrione della Germania fino alla Vistola e il mezzogiorno della Scandinavia, si può dire che essi siano discesi attraverso i valichi delle Alpi centrali od orientali, e poiché può ritenersi accertato che le stirpi indoeuropee conoscessero il rame prima di pervenire nelle sedi europee, sembra altrettanto certo che essi non possano essere giunti in Italia prima dell' alba dell'età dei metalli, in particolare del periodo eneolitico (del rame 1800 a.C.). che per l'Italia fu un periodo di grande transizione e di grandi mutamenti di popolazioni di civiltà, di costumi e di religione.
Quello che non si può stabilire invece è se l'arrivo dei Veneti, degli Japigi e dei Messapi (appartenenti comunque al ceppo indoeuropeo), sia avvenuto prima o dopo gl'Italici. Si sostiene da alcuni che i primi siano giunti nella prima età del ferro, gli altri, nell'età del bronzo, rimanendo in ogni caso incerto se, i c.d. palafitticoli-terramaricoli siano Italici o Etruschi, e se debbano considerarsi come discendenti di paleolitici i Liguri e di paleolitici o neolitici i Corsi e i Sardi.
Notizie tradizionali in proposito non mancano, ma sono contraddittorie ed hanno fondamento congetturale e non storico; e non mancano neanche testi epigrafici (che sono migliaia), ma essi non hanno finora consentito l'inserimento, né con certezza e nemmeno con probabilità, dell' etrusco in un particolare gruppo linguistico.
Anche lo studio dell'archeologia preistorica, fonte preziosa d'informazione per quanto concerne la successione delle diverse civiltà nel mondo, è generalmente insufficiente alle individuazioni etnografiche.
Sulla materia etnografica molto si potrà fare, a nostro parere (come abbiamo detto), con gli studi di genetica che potrebbero rivedere "ex novo" tutta la materia con la conseguenza che potrebbe anche essere ribaltato tutto ciò che fin'ora in proposito è stato detto o supposto.
Allo stato attuale, non sappiamo se vi siano ricercatori che pensino di indirizzare le proprie ricerche in questo settore della paleo-etnologia. Ci piacerebbe saperlo perché la materia è una materia non certamente del passato ma del futuro.

 

FINE


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