LETTERA DI GESU' AD ABGAR
E L' ASSEDIO DI KOSROE A EDESSA

 

MICHELE DUCAS PUGLIA

 

 

Abgar V, re (toparca) di Edessa, vissuto nella stessa epoca di Gesù Cristo, è stato descritto come un monarca saggio, intelligente, dalla conversazione tanto affascinante che l'interlocutore non lo lasciava più andare. Si raccontava, infatti, che recatosi a Roma a visitare l'imperatore Augusto, questo, preso dalla sua conversazione, continuava a trattenerlo e a non lasciarlo più tornare in patria.
Abgar, dotato anche di grande spirito, aveva voglia di tornarsene a casa. Per farlo, escogitò uno stratagemma.
Era andato a caccia nella campagna romana e aveva catturato degli animali; per ciascuno di questi, aveva fatto prendere della terra, dal posto dove ognuno di quegli animali era stato catturato.
Rientrato a Roma, aveva fatto disporre la terra in varie parti del circo e, alla presenza dell'imperatore, aveva fatto lasciar liberi gli animali. Ognuno di questi, riconoscendo la propria terra, andò a mettersi su quella dov'era stato preso.
Nello stesso momento, Abgar, che era seduto accanto all'imperatore, gli si buttò ai piedi abbracciandogli le ginocchia e chiedendogli come pensasse che egli potesse sentirsi, lontano dalla moglie, dai figli e dal regno, che, se anche piccolo, era pur nella terra dei suoi padri.
Fu così che l'imperatore Augusto si decise a farlo partire, chiedendogli di esprimere un desiderio. Abgar gli chiese la costruzione di un circo nella sua città.
Al suo ritorno, gli abitanti, pieni di curiosità, gli domandarono cosa l'imperatore gli avesse donato. La risposta fu: <dispiaceri senza danno e piaceri senza profumo> (alludendo alle passioni che il circo suscitava) .
In età avanzata Abgar, fu colpito dalla gotta e aveva atroci dolori, che gli toglievano la possibilità di muoversi. Nessun sollievo ai suoi tormenti e nessun giovamento gli avevano dato le cure dei migliori medici, che egli aveva fatto venire da ogni dove.
Abgar era a conoscenza dei racconti dei viaggiatori provenienti dalla Palestina, sui miracoli di Gesù, figlio di Dio. I racconti narravano che Gesù richiamava in vita i morti, come se li svegliasse dal sonno, apriva gli occhi ai ciechi dalla nascita, <purificava> coloro che avevano tutto il corpo coperto di lebbra (per gli ebrei, la lebbra era considerata una punizione di Dio per i peccati degli uomini), guariva coloro che erano storpi nei piedi e curava tutte le malattie che i medici definivano inguaribili.
Dopo aver sentito di tutti questi miracoli, preso coraggio, Abgar decise di scrivere una lettera a Gesù, per invitarlo ad andare a vivere da lui, <dal momento che in Palestina vi erano gli ebrei, che, per nuocergli, ordivano contro di lui>.
Gesù gli rispose che non poteva accettare l'invito, perché aveva da tornare da Colui che lo aveva mandato. Da lui sarebbe andato un suo discepolo, che lo avrebbe guarito dal male, ridando la vita a lui e ai suoi familiari.
Si raccontava che la lettera contenesse anche una postilla, secondo la quale la città di Edessa non sarebbe stata mai espugnata dai barbari.
Il testo della lettera d'Abgar V diceva: <Abgar figlio di Ukamas, toparca, saluta Gesù il buon Salvatore, che si trova a Gerusalemme. Ho sentito parlare di te e delle portentose guarigioni che tu hai operato, senza medicine ed erbe. Come si dice, ridai la vista ai ciechi, raddrizzi gli zoppi, purifichi i lebbrosi, allontani gli spiriti impuri e i demoni, sani coloro che sono afflitti da gravi malattie e resusciti i morti. Avendo sentito tutte queste cose sul tuo conto, ho fermamente pensato una di queste due cose: o che tu sei Dio sceso dal cielo per fare queste opere prodigiose; o sei figlio di Dio, dal momento che compi simili prodigi. Perciò con questa lettera ti prego di venire da me e guarirmi dal male che mi affligge. Così potrai sfuggire anche alle insidie, che, come ho sentito, i giudei ordiscono contro di te per nuocerti. La città su cui regno, sebbene piccolissima, ma santa, sarà sufficiente per entrambi>.
La lettera fu spedita con un corriere di nome Anania. Gesù, a mezzo dello stesso corriere, inviò la risposta: <Beato tu sei, che hai creduto in me senza avermi visto. E' stato scritto di me che coloro che mi hanno visto, non crederanno in me, e coloro che non mi hanno visto, crederanno e vivranno in me. Nella tua lettera mi chiedi di venire da te. Ma è necessario che io porti prima a compimento tutte le cose per cui sono stato inviato fra gli uomini e, dopo averle compiute, ritorni da Colui che mi ha mandato. Dato che sarò tornato in Cielo, ti manderò uno dei miei discepoli a guarirti dal male e a dare la vita a te e ai tuoi cari>.
Eusebio di Cesarea (c.a. 264-337) riporta anche il seguito della storia, raccontando che Gesù, dopo essere tornato in cielo, aveva mandato ad Abgar, come aveva promesso, l'apostolo Taddeo.
Costui si recò a Edessa, ospitato nella casa di Tobia (figlio di Tobia). Presto si diffuse la notizia che era giunto un apostolo di Gesù, che operava guarigioni di ogni malattia e infermità.
Abgar, venuto a conoscenza delle grandi guarigioni compiute dall'apostolo, si rese conto che si trattava dell'apostolo che Gesù gli aveva indicato nella lettera.
Il re fece chiamare Tobia e gli chiese di condurgli l'uomo potente che si era fermato nella sua casa. Tobia riferì a Taddeo dell'invito e questo gli confermò <di essere stato mandato dalla potenza divina>.
Tobia condusse Taddeo alla presenza del re e dei notabili; quando fu al suo cospetto, il re notò <una grande visione sul volto dell'apostolo>.
Abgar quindi s'inginocchiò ai suoi piedi, con meraviglia degli astanti, che non avevano visto la visione apparsagli e chiese a Taddeo se fosse veramente il discepolo di Gesù, figlio di Dio. Taddeo confermò di essere stato mandato, perché egli aveva avuto una gran fede in Colui che lo aveva inviato. <Se ancora avrai fede> aggiunse Taddeo <si avvereranno i desideri del tuo cuore>. Abgar confermò che la sua fede era stata grande e, se non glielo avessero impedito i romani (cioé i bizantini), avrebbe mandato un esercito per sterminare gli ebrei, che avevano crocifisso Gesù. Allora, dopo aver imposto la mano su Abgar, Taddeo lo guarì dai suoi mali.
Vi era anche un risvolto nella lettera di Gesù.
Nella chiusa della lettera vi sarebbe stata una postilla, rimasta segreta, ma conosciuta dagli abitanti d'Edessa, in cui Gesù avrebbe aggiunto che la città sarebbe stata inespugnabile da parte dei barbari. Quest'aggiunta sarebbe stata scolpita sulle porte della città, al posto di qualsiasi opera difensiva.
Evagrio di Epifania (c.a 536-600), che riferiva la circostanza, citava Eusebio di Cesarea, al quale si riportava, scrivendo che costui aveva letto il testo della lettera, ma non aveva trovato questa postilla.
Evagrio, comunque, aggiungeva che, anche se la profezia dell'imprendibilità d'Edessa non era riportata nella lettera di Gesù, <ad ogni buon fine essa era tramandata e creduta dai fedeli e così (essa) ebbe compimento, giacché la fede ottiene la realizzazione di una profezia>!
Era da ritenere esatto che Eusebio avesse letto il testo della lettera (di cui circolavano diverse copie) (1); esse però non risalivano all'epoca di Gesù, ma all'anno 174, cioè al tempo di s. Taddeo, che se ne serviva nella sua predicazione.
Vi è di più. Alla corrispondenza intercorsa tra Gesù e Abgar, era collegata anche l'immagine di Gesù.
Di questa immagine parla per la prima volta Evagrio in occasione dell'assedio di Edessa, da parte di Kosroe I, come vedremo più avanti.
Evagrio racconta che Abgar voleva conoscere Gesù e gli aveva chiesto una sua immagine, e Gesù gliel'aveva mandata. <La caratteristica dell'immagine>(*) precisava Evagrio <era di non essere stata dipinta da mani umane>.
Quest'immagine, che non era l'unica a circolare, da Edessa fu successivamente trasferita a Costantinopoli, dove ebbe origine il culto del Sacro Volto.

KOSROE I PONE L'ASSEDIO A EDESSA

Qualche centinaio d'anni dopo gli avvenimenti narrati, durante il regno di Kosroe (Khusraw) I (2), questo sovrano, secondo il racconto di Eusebio, era venuto a conoscenza della diceria dei cristiani, relativa all'imprendibilità della città di Edessa.
Ritenendola una provocazione e facendone una questione d'orgoglio, aveva deciso di andare a conquistarla. In effetti Edessa (attuale Urfa in Turchia) era un'importante piazzaforte, posta ai confini tra l'impero romano (d'Oriente) e la Mesopotamia, che ciascuno dei due imperi voleva per sé.
Kosroe vi aveva posto l'assedio e dopo otto giorni aveva deciso di costruire una collina artificiale (chiamata dai romani latini, adgestum), in modo da superare in altezza le mura. Servendosi degli unni, arruolati nel suo esercito, fece disporre tronchi d'albero, completi del fogliame e su questi fece buttare uno strato di terra e pietre, avanzando in questo modo. Rese compatta la collina, piantando tutt'intorno tronchi di legno infissi in modo che elevandosi essa non franasse.
Quando la collina raggiunse una certa altezza, dalla città i difensori iniziarono un'azione di disturbo, scagliando dardi e pietre con le fionde. Per ripararsi, i persiani tesero davanti a coloro che lavoravano delle cortine intessute con lana di capra, molto grosse e spesse (chiamate cilicie), attaccandole a lunghi pali. In questo modo le frecce e le pietre erano bloccate. Gli abitanti, sgomenti, mandarono messaggeri a Kosroe, il quale pose, a scelta, due condizioni. Chiese la consegna di due suoi sudditi (Pietro e Peronio), che si erano rifugiati in città. Oppure, gli abitanti dovevano sborsagli cinquecento centenari (una somma ingente), o ricevere in città suoi inviati che avrebbero requisito tutto l'oro e l'argento che avrebbero trovato, lasciando tutti gli altri beni ai legittimi proprietari.
Durante le trattative, i lavori presso la collina continuavano. Dal loro canto gli abitanti della città (erano bizantini ma secondo l'uso, come abbiamo detto in altra parte, erano indicati come romani) cercarono di alzare le mura dalla parte della collina, ma interruppero i lavori, perché la collina era sempre più alta. Le trattative continuavano tra le due parti, che si facevano reciproche accuse, le une accusavano Kosroe, le altre Giustiniano (v. I mille anni dell'Impero bizantino) e che non riuscivano a raggiungere una pace.
Nel frattempo i romani incominciarono a scavare una galleria, che doveva giungere al centro della collina. I persiani, che erano sulla collina, avvertirono i rumori e, intuendo quello che stava succedendo, si misero a scavare verso il basso, per sorprendere i romani che scavavano sotto.
A questo punto le trattative furono troncate e le due parti si prepararono allo scontro. I romani diedero fuoco ai tronchi della caverna, senza però ottenere l'effetto desiderato, in quanto il fuoco, non divampava. Continuarono a buttarvi legna fino a quando, finalmente i tronchi s'incendiarono e il fuoco divampò per tutta la collina.
Durante la notte, il fumo fuoriusciva da vari punti della collina e i romani, non volendo che i persiani si rendessero conto di ciò che stava succedendo, ricorsero ad uno stratagemma.
Riempirono dei vasi con bitume, zolfo e tizzoni ardenti (che avrebbero fatto fumo) e li lanciarono sulla collina unitamente a dardi incendiari. I persiani di sentinella, si precipitarono per spegnere il fuoco, pensando che il fumo fosse prodotto dai vasi incendiari. Al mattino però, Kosroe si recò sul posto e si rese subito conto di quello che stava succedendo, e cioè che il fumo veniva da sotto la collina e non dai vasi e dai dardi lanciati.
Diede ordine, quindi, di buttare acqua e terra nei punti in cui usciva il fumo, ma questo, se cessava da una parte, usciva da un'altra, e non si riusciva a risolvere la situazione, con dileggio dei romani nei loro confronti.
Verso sera il fumo divenne così intenso da essere visibile nelle città vicine. Alla fine, la collina prese fuoco.
I persiani desistettero da questa impresa e tentarono di attaccare le mura. La città si difese, con la collaborazione delle donne e dei bambini, che portavano pietre e vasi d'olio bollente, lanciato con appositi aspersori. Alla fine Kosroe dovette ritirarsi, sbeffeggiato dai romani.
Un ulteriore attacco alle mura fu ugualmente respinto, per cui Kosroe mandò un interprete (Paolo) e, dopo altre trattative, accettò una somma più modesta (cinque centenari), rilasciando un impegno scritto, con cui assicurava che non avrebbe più tentato di prendere la città.
Questa è la versione storica di Procopio. Quella invece data da Eusebio è manipolata per fini religiosi. Eusebio, riferendosi alla galleria che non prendeva fuoco, racconta invece che: <gli abitanti della città, non sapendo cosa fare, presero l'immagine che Gesù aveva mandato ad Abgar e la portarono all'ingresso del cunicolo, l'aspersero con acqua benedetta e diedero fuoco ai materiali combustibili e alle travi>. <La potenza divina> scrive Eusebio <fece ciò che prima non era stato possibile ottenere. Le travi s'incendiarono e alla fine tutto il rinterro prese fuoco>. Eusebio termina così il racconto: <Kosroe dovette abbandonare l'impresa (di conquistare la città), illudendosi di sconfiggere Dio, e in modo inglorioso se ne tornò al suo paese>.
Edessa sarà conquistata dai Persiani molti anni dopo, nel 608, successivamente riconquistata da Eraclio nel 622 e 628, passò poi agli arabi nel 638. Durante il periodo crociato, diventerà feudo cristiano dei re di Gerusalemme (che avevano anche il titolo di conti di Edessa e signori di Sidone e Cesarea). Nel 1144 sarà il primo dei quattro stati d'Oltremare, formatisi con la prima crociata, ad essere perduta dai cristiani ad opera di Zengi-Zinki (padre di Nur ad Din -Norandino).

 

1) La leggenda è collegata all'attività di diffusione del cristianesimo da parte di Taddeo; gli scritti (apocrifi) in lingua siriaca, raccolti negli Acta di s. Taddeo, risalgono al 174 d.C. . Collegato agli Acta, in quanto ne costituisce una recensione, è la c.d. Dottrina di Addai.
Abgar V, che avrebbe scritto a Gesù, in pratica, non era cristiano. Lo diventerà, ma in epoca posteriore, un suo discendente Abgar IX (179-216) che, dopo essersi convertito, dichiarerà il cristianesimo religione ufficiale della città.
2) Khusraw I, della dinastia Sassanide, ebbe doti di gran monarca. Regnò tra il 531 e il 579 e fu indicato come un insigne modello di saggezza e giustizia. Promosse anche un'intensa attività culturale facendo tradurre opere letterarie e scientifiche dal greco e dal sanscrito.
*) Evagrio è il primo scrittore cristiano a parlare della riproduzione del volto di Gesù, che invece Eusebio non riferisce. Approfondiremo l'argomento quando tratteremo della Sindone.

 


Cartina della Russia Antica

LA FORMAZIONE
DELL' ANTICO STATO RUSSO

 

MICHELE DUCAS PUGLIA

 

SOMMARIO: LE ORIGINI E LE TRIBU'; RJURIK; OLEG, IGOR E LA PRINCIPESSA OL'GA; SVJATOSLAV; VLADIMIRO I; IL RACCONTO DELLA CONVERSIONE DI VLADIMIRO; LA FUNZIONE DIVINA; I SUCCESSORI DI VLADIMIRO; JAROSLAV IL SAGGIO; VLADIMIRO MONOMACO; IL FEUDALESIMO E L'ARRIVO DEI TATARI.

 

LE ORIGINI E LE TRIBU'

Nel VI sec. d. C. la popolazione degli Slavi indoeuropei occupava un vasto territorio tra la Vistola, i Carpazi e il Danubio e si divideva in tre grandi gruppi: Slavi occidentali, meridionali ed orientali, indicati come: Venedi, per quelli che abitavano nella parte occidentale del bacino della Vistola; Sclavini, per quelli che abitavano nella parte meridionale tra il Dniestr, il medio Danubio e l'alto Vistola; Anti, che abitavano nella parte orientale tra il Dniestr e Dniepr fino alle rive del Mar Nero. Mentre l'impero romano era caduto sotto i colpi delle tribù germaniche, l'impero di Bisanzio era riuscito a contenere l'avanzata degli Slavi, che comunque col tempo occuparono una parte dei suoi territori a sud del Danubio e nei Balcani, fondando più tardi il regno di Bulgaria, il principato di Serbia ed altri territori, che costituirono gli Stati slavi.
Precedentemente alla formazione dello Stato russo, intorno al VII sec., le tribù slave erano così dislocate:
- sulla riva destra del Diepr la tribù dei Poliani, che aveva come centro Kiev ed era ritenuta la più evoluta di tutte le tribù;
- tra i fiumi Ros e Pripjat quella dei Devliani;
- nelle paludi sulla riva sinistra del Pripjat vivevano i Dregovici;
- lungo il corso superiore del Bug, i Buzhani o Volyniani;
- nel bacino del Dniestr, gli Ulici e i Tivery;
- nella Transcarpazia, i Croati bianchi;
- sulla riva sinistra del Diniepr, nei bacini dei fiumi Sula-Sejm e Desna, fino al Donets settentrionale, ad est, vivevano i Severiani;
- fra i corsi superiori del Dniepr e del Sozh, i Radinici;
- più a nord, sui corsi superiori del Volga, del Dniepr e della Dvina, i Krivici, il cui centro era Smolensk;
- nel bacino della Dvina occidentale, lungo il fiume Polota, i Poliziani, con la città di Polotsk;
- nella zona del lago Ilmen, gli Sloveni;
- la tribù più orientale, era quella dei Viatici, che popolavano i corsi medi e superiori dell'Oka e della Moscova.
Nel corso dell'VIII sec., i vikinghi-scandinavi-normanni, indicati dagli slavi come Varjaghi (poi Rus, nome attribuito anche ai finnici, loro vicini), dopo che si erano stabiliti nei <pogosti> (mercati), frequentati periodicamente da mercanti arabi e chazari, occuparono tutti i territori circostanti, prendendo il controllo del Diepr.

RJURIK

Le tribù baltiche che abitavano il bacino del Dniepr superiore e le ugro-finniche che abitavano la regione del lago Ladoga e le terre situate tra il Volga e l'Okà, essendo poco numerose, furono assorbite ed assimilate dagli Scandinavi (secondo gli studiosi <normannofili>)o dagli Slavi (secondo gli studiosi <slavofili>) come vedremo tra breve. Secondo la <Cronaca dei tempi passati>, che va sotto il nome di Cronaca di Nestore, ma scritta a più mani tre secoli dopo gli avvenimenti (XII sec.), successivamente allo stanziamento dei normanni in territorio russo, il vichingo Rjurik, chiamato per sedare lotte intestine delle popolazioni finno-slave, si era impossessato della città di Novgorod, ponendo le basi dell'<antico stato russo> e fondando la dinastia dei Rjurikovic.
I suoi compagni, Ashcod e Dir, si impossessarono dell'altro centro commerciale più importante, che era Kiev dove si riunivano i mercanti scandinavi prima di raggiungere Costantinopoli.
A questo punto occorre chiarire che <sulla venuta> o <chiamata> dei normanni (che in ogni caso erano già insediati nel territorio), cioè di coloro che si erano impossessati del potere ed avevano posto le basi dello Stato russo antico, tra gli studiosi si sono formate due diverse correnti.
La corrente <normanna>, secondo la quale, sulla base della cronaca di Nestore, gli Slavi avevano chiamato i normanni, ai quali avevano delegato il potere, lasciando a Rjurik il compito di organizzare lo Stato e accettando anche la sottomissione nei suoi confronti.
Secondo questa corrente, sarebbe stato Rjurik con i suoi normanni a fondare lo Stato russo, essendo incontestata la derivazione del termine slavo di Rus (navigatore-vogatore) dallo scandinavo, col quale s'indicavano i normanni.
L'altra corrente di studiosi russi e sovietici, slavofila e patriottica, minimizza sulla parte dominante avuta da Rjurik e dai normanni, tesi che costoro sostenevano essere stata introdotta dagli studiosi tedeschi, che abitavano in Russia nel XVIII sec.. Essi evidenziano la circostanza che la formazione dello Stato era già in fase avanzata quando erano giunti gli scandinavi-normanni e che la Rus o Terra di Rus, abitata dai Rusy o Rosy intorno al VI sec. d. C., era costituita dal territorio del bacino del corso medio del Dniepr e del suo affluente Ros a sud di Kiev. E sostengono anche che alla confluenza del Ros col Dniepr, su una costa inaccessibile, si ergeva la città dei Rusy, Rodnja.
Quando i Poliani conquistarono il predominio sulla federazione delle tribù del bacino del Dniepr, la Terra di Rus designava un territorio più vasto, fino a comprendere la non distante Kiev, e successivamente tutto il territorio dello Stato Antico di Russia. Secondo gli <slavofili>, quindi, non erano stati gli scandinavi-normanni a creare lo Stato russo. Anzi, con le loro continue incursioni e le loro razzie erano stati proprio loro ad aver inizialmente ostacolato la formazione dello Stato russo.
Al contrario, per i <normannofili> i russi o ruotsi o rus' o ros erano una tribù normanna della Scandinavia e <ruotsi> significava <rematore> o <vogatore>, quindi i russi non erano altro che gli scandinavi originariamente chiamati <varjaghi> o <varjeghi>.
Rjurik poi, mentre secondo i <normannofili<> sarebbe giunto dalla Scandinavia, secondo gli <slavofili> già si trovava in quelle terre ed abitava in un castello presso il lago Ladoga, poco distante a nord di Novgorod.
Costoro affermano, anche, non essere esatta la circostanza che Rjurik fosse stato chiamato e gli fosse stato delegato il potere, con l'accettazione della sottomissione nei suoi confronti. Se Rjurik poteva essere stato chiamato, lo era stato perché con le sue truppe mercenarie potesse sedare le lotte intestine tra le varie tribù slave.
Chiariti i termini delle polemiche, la corrente slava non può prescindere dalla circostanza fondamentale che gli scandinavi-normanni, come era loro costume, quando arrivavano in un posto nuovo, prima facevano scorrerie e razzie, poi si insediavano (come vedremo avevano fatto quando si erano insediati in Normandia e nel Meridione d'Italia). Essi si erano man mano insediati nei più importanti centri commerciali (ricordiamo che erano contemporaneamente navigatori, guerrieri e mercanti), inizialmente nella regione del lago Ladoga dove si erano amalgamati con la popolazione indigena di origine finnica. Essendo essi riconosciuti validi guerrieri, venivano chiamati quando c'era da combattere. E' altrettanto indiscusso che lo scandinavo-normanno o varjago-rus Rjurik (con i poco noti e altrettanto leggendari suoi fratelli, Sineus e Truvor), come capo normanno, con i suoi uomini, anch'essi scandinavi-normanni, giunto per sedare lotte intestine tra tribù, avesse poi conquistato il potere, dominando i più importanti punti di accesso della Russia, i laghi Ladoga, Peipus, Ilmen, Bedoe Ozero, diventando quindi <il primo principe di Novgorod>.
Partendo da questi territori, gli scandinavi avevano posto le basi di una stabile organizzazione politica; attraverso il Dniepr si erano costruiti una via di accesso, <la grande via>, fino a Costantinopoli (dov'erano chiamati <rus> dai bizantini), portando merci e fornendo soldati.

OLEG

Alla morte di Rjurik, gli sarebbe succeduto, secondo la Cronaca di Nestore, il figlio Igor (con la reggenza di Oleg).
Anche questa circostanza è contestata dagli storici russo-sovietici, secondo i quali era stato il cronista Nestore a voler creare un rapporto di parentela tra Rjurik ed Igor, impossibile secondo loro, in quanto il primo aveva regnato a Novgorod nel IX sec. (ed era morto intorno all'880), il secondo a Kiev negli anni 40 del X sec.. (Igor sarebbe nato nel 912, circa trentadue anni dopo la morte di Rjurik; poiché all'epoca non si ricorreva all'inseminazione artificiale, era effettivamente impossibile che fosse il figlio di Rjurik).
E' comunque certo che Rjurik sia morto intorno all'879/880 e gli sia succeduto Oleg (882-912) come reggente di Igor, il quale aveva sottomesso le tribù dei Drevliani, Severiani e Radici, conquistando le città di Smolensk, Ljubec e Kiev, e facendo di quest'ultima, considerata la <madre delle città russe>, la capitale dei suoi domini. Gli storici, in ogni caso, ritengono che il fondatore dell'antico stato russo sia stato Igor, capostipite della dinastia principesca russa.
Oleg aveva conquistato anche paesi degli slavi orientali, sottomettendone le popolazioni, integrate. Ingrossato con questi nuovi arrivati il suo esercito, mosse per la conquista di Costantinopoli (907). Vi giunse con numerose navi (quelle tipiche dei vichinghi), ciascuna con quaranta uomini e, via terra, con uomini a cavallo. Trovando il porto sbarrato con una catena, lo aggirarono portando le navi, montate su ruote, via terra. Il vento li aiutò a raggiungere il Corno d'oro.
L'imperatore Leone IV (v. cap. VII de "I mille anni ecc.") preferì pagare e stringere accordi commerciali (con l'impegno da parte dei mercanti, di non commettere eccessi, sottostare, durante la loro permanenza in città, a controlli ed altro). Questi accordi furono riconfermati nel 912, da Costantino VII.
Oleg dopo aver esposto il suo scudo su una delle porte della città, se ne tornò carico d'oro, oggetti e tessuti preziosi, frutta e vino.

IGOR
E LA PRINCIPESSA OL'GA

Alla morte di Oleg (912), salì sul trono Igor (912-945), che sottometterà a sua volta gli Ulici e i Tivercy, ed ancora i Drevliani, che dopo la morte di Oleg si erano resi indipendenti da Kiev.
Igor, nel 941, ritentò l'impresa della conquista di Costantinopoli. Egli, dirigendosi verso la capitale, incendiò chiese e monasteri; ai prigionieri faceva conficcare chiodi nella testa. I bizantini, in questa occasione, usarono i tubi (lanciafiamme) col fuoco greco (v. Cap. V de "I mille anni dell'impero bizantino"), mettendo in fuga l'esercito di Igor. Igor, secondo Nestore, fu ucciso (945) a causa della sua avidità. Si era infatti recato presso il popolo dei Drevljani, d'inverno, per riscuotere i tributi. Questi erano costituiti da beni in natura, particolarmente pelli, che erano poi vendute l'estate successiva. Sulla via del ritorno, aveva deciso di chiederne altri: ordinato a parte del suo seguito di proseguire, egli con pochi uomini era tornato indietro. I Drevljani però, alle sue richieste, decisero che <se avessero lasciato il lupo in mezzo al gregge, questo, finché non lo si fosse ucciso, avrebbe portato via tutte le pecore>. Uscirono quindi dalla città di Korosten (a centocinquanta km. da Kiev) e uccisero Igor ed il suo seguito.
Quindi si recarono dalla vedova, Ol'ga (890-969), per chiederle di sposare il loro principe, Mal. Mandarono perciò a Kiev attraverso il Dniepr venti navi. Si presentarono alla principessa, dicendo che le avevano ucciso il marito, perché si era comportato come un lupo avido, ed erano venuti a chiederle di andare con loro per sposare il loro principe Mal.
La figura della principessa è circonfusa da un alone di leggenda. Si racconta infatti che Ol'ga impose a costoro di tornare al mattino, non a piedi o a cavallo, ma con la loro nave. Nella notte aveva fatto scavare una grossa buca e, quando i Drevljani arrivarono con la loro nave, questa fu fatta precipitare nella buca e venne ricoperta di terra.
Ol'ga, poi, mandò messaggeri presso i Drevljani per annunciare il suo arrivo, chiedendo di essere ricevuta dai loro più ragguardevoli personaggi ed accompagnata con tutti gli onori dal loro principe. I Drevljani acconsentirono, ma quando giunsero Ol'ga fece sapere che li avrebbe ricevuti dopo il bagno. Mentre costoro erano nell'edificio dei bagni, le porte furono chiuse dall'esterno e all'edificio fu appiccato il fuoco.
La principessa mandò poi altri messaggeri presso i Drevljani, preannunciando il suo arrivo e chiedendo di preparare idromele sul posto dov'era stato ucciso il marito, per le onoranze funebri. Quando giunse, mentre si banchettava, gli ospiti serviti dai nobili del suo seguito, furono fatti ubriacare e furono tutti massacrati (circa cinquantamila, a detta del cronista).
Storicamente la principessa Ol'ga, durante la reggenza, si era comportata da ottima sovrana ed era stata la prima aristocratica russa a convertirsi al cristianesimo ortodosso.
Essa si era recata in visita a Bisanzio, presso l'imperatore Costantino VII (957), dal quale aveva ricevuto accoglienze fastose nella sala del palazzo della Magnaura (Mangavra) riservata solo ai sovrani più importanti. Le fu anche permesso di star seduta in presenza dell'imperatore e di salutarlo con un cenno del capo, invece della obbligatoria genuflessione. Assieme al suo seguito, la principessa ricevette ricchi doni.

SVJATOSLAV

A Igor e Ol'ga succedette il figlio Svjatoslav (964-972), il quale proseguì nelle imprese guerresche di Oleg ed Igor.
Egli combatté contro i Chazari e i Bulgari del Volga. Eliminò i Chazari, i quali però furono sostituiti da una popolazione ancora più aggressiva, quella dei Peceneghi.
Svjatoslav, invitato Niceforo Foca (v. "I mille anni dell'impero bizantino") a combattere i Bulgari con l'intento che i due contendenti si eliminassero da soli, era penetrato in Bulgaria, si era impossessato di molte città e volendo farne un suo Stato, trasferì la capitale da Kiev a Perejaslavets (967) sul Danubio.
Non solo, ma invase la Tracia, minacciando sia la stessa Costantinopoli, sia di proseguire per l'Asia minore.
Però l'imperatore di Bisanzio, Giovanni Zimisce, lo sconfisse in una battaglia presso Dorostol (971), in cui furono uccisi trentottomila russi, costringendo Svjatoslav a firmare un trattato in base al quale si ritirava dalla Bulgaria e si impegnava a non attaccare né Bisanzio, né la Bulgaria.
Svjatoslav era sulla via del ritorno, quando ciò che rimaneva del suo esercito fu attaccato dai Peceneghi, probabilmente istigati dall'imperatore di Bisanzio; nella battaglia, Svjatoslav trovò la morte (972).

VLADIMIRO I

Svjatoslav aveva diviso il regno tra i suoi figli, Oleg, Jaropolk e Vladimiro I (978/80-1015) detto il Santo o il Grande. Quest'ultimo, nella lotta contro gli altri due, uscì vincitore (secondo la Cronaca di Nestore, Jaropolk aveva ucciso Oleg, a sua volta ucciso da Vladimir).
Vladimiro riuscì a consolidare la Russia di Kiev, che ad Occidente si estendeva fino al corso superiore del Dnestr e del Bug, del Memel e della Dvina; a Nord fino al Baltico e a i laghi Ladoga e Onega; ad Oriente comprendeva i fiumi Seksc, l'alto Volga e Oka. I confini meridionali e sud-orientali erano aperti alla steppa e presidiati fino alle rapide del Dniepr.
La popolazione era evidentemente multietnica, formata da popolazione slava, finnica e baltica. La minoranza scandinava era stata rapidamente assorbita dagli slavi, ma pur essendo slavizzata, era questa a detenere le leve del potere, e chi aveva peso politico, erano i nobili bojari, mentre le popolazioni autoctone non raggiungevano mai gli alti livelli di potere.
Vladimiro, pur avendo avuto la qualifica di Santo, era stato considerato un mostro sanguinario, insaziabile nella lussuria, innamorato del sesso femminile, al pari di Salomone. Egli si faceva condurre donne e fanciulle per disonorarle. Oltre a cinque mogli legittime, tra cui una boema, avrebbe posseduto parecchi harem a Novgorod, Belgorod e Berestov per un totale, abbondantemente attribuitogli, di 800 concubine.
Una fidanzata del fratello Jaropolk, che aveva osato respingere le sue proposte giustificandosi col fatto che la madre di lui era una schiava, Vladimiro la costrinse a sposarlo, dopo averle ucciso il padre e i fratelli.
Vladimiro in fatto di sesso non si faceva troppi scrupoli; sposò anche la vedova di suo fratello Jaropolk, una monaca bizantina, molto bella, fatta prigioniera.
Vladimiro era pagano e venerava divinità slave, che erano divinità della natura, alle quali si sacrificavano animali ed anche uomini. Esse erano Perun, dio del tuono e del fulmine, con la testa d'argento e i baffi d'oro; Svarog, dio dello spazio celeste, padre di Hors, dio solare; Daschbog, dio del cielo; Stribog, dio dei venti ed infine la Madre Terra, corrispondente alla Gea greca. Tali dei sono tutti progenitori del genere umano.
Gli scambi commerciali con Bisanzio già duravano da quando i vikinghi-scandinavi-normanni, dopo aver occupato i territori russi, erano diventati essi stessi russi. Si riunivano a Kiev, con le loro barche, attraverso il Dniepr e i suoi affluenti, portando le loro merci a Costantinopoli (pellicce, miele e cera, fornite dalle grandi distese di foreste) e ne riportavano vino, tessuti e manufatti.
A Vladimiro si deve la decisione, che avrà grande peso nel futuro della storia russa, di essersi convertito al cristianesimo (v. in Schede: Scismi e riti orientali).

IL RACCONTO
DELLA CONVERSIONE DI VLADIMIRO

Si racconta che presso Vladimir si erano recati Tedeschi cristiani, venuti da Roma, mandati dal Papa, che nel colloquio avuto col principe gli dissero: "Noi c'inchiniamo davanti a Dio, che ha creato il cielo e la terra, le stelle e la luna e tutto ciò che respira. Invece i vostri dei non sono altro che legno". E Vladimir chiese: "Cosa prescrive la vostra religione?" La risposta fu: <Digiuni secondo le forze, e quando uno beve o mangia, è tutto in onore di Dio, come ha detto il nostro maestro Paolo>.
Vladimir però li mandò via dicendo <Andate, i nostri padri non hanno ammesso niente di tutto questo>.
Ebrei e Chazari si recarono anch'essi da Vladimir, che chiese loro, in che cosa consistesse la loro religione. La risposta fu: <Circoncisione, non mangiar carne di maiale e di lepre, osservare il sabato>. Egli poi domandò: <Dov'è la vostra patria?> Risposta: <A Gerusalemme.> Domanda: <Ma abitate in quella patria?> Essi risposero: <Dio si è adirato con i nostri padri e a causa dei nostri peccati ci ha dispersi per la terra e la nostra patria è stata data ai cristiani>. E Vladimir: <Come pensate di venire ad insegnare agli altri, mentre Dio vi ha respinti e dispersi? Se Dio avesse amato voi e la vostra legge, non sareste stati dispersi in terre straniere. O volete forse che anche noi ci attiriamo le stesse calamità?>
I greci (ortodossi) invece mandarono un filosofo che gli disse: <Abbiamo saputo che sono venuti dei Bolgary (che erano musulmani), per indurti ad accettare la loro fede. Ma la loro religione riempie di scandalo cielo e terra, giacché pesa su di essi una maledizione più grave che su tutti gli altri uomini, in quanto essi fanno lo stesso che gli uomini di Sodoma e Gomorra, sui quali Dio scagliò pietre roventi e li annegò e seppellì. Così anch'essi li attende il giorno della fine del mondo, quando Dio scenderà dal cielo sulla terra per giudicare e sterminerà tutti coloro che avranno commesso ingiustizie e scandali. Ed anche le loro donne si danno a vizi consimili. E la cosa peggiore, che essi praticano, è l'accoppiamento di uomini con uomini e donne con donne>. Dopo aver udito queste parole, Vladimir commentò dicendo che <era una cosa immonda>.
Il filosofo greco poi completò i suoi commenti sulla fede dei cristiani (latini), venuti da Roma. E disse: <La loro fede, solo di poco si discosta dalla nostra. Essi celebrano con pane, ma Dio non ha tramandato ciò, anzi ha comandato di servire con pane lievitato, quale diede all'Apostolo: questo è il mio corpo, che è offerto per voi. E poi prendendo il calice, disse: Questo è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza. Essi invece non fanno questo e quindi la loro fede non è neanche retta>.
Terminato il discorso del filosofo, Vladimir gli disse che erano andati da lui anche i giudei, che avevano affermato che i greci e i tedeschi credevano in colui che essi avevano crocifisso.
Il filosofo rispose: <In verità noi crediamo in lui. Giacché i profeti degli ebrei hanno annunciato che, come Dio, doveva nascere, mentre altri hanno predetto che sarebbe stato crocifisso e sepolto, ma il terzo giorno sarebbe risorto e salito in Cielo. I giudei però uccisero questi profeti ed altri ne scacciarono. Ma le loro profezie si sono adempiute. Egli scese sulla Terra e salì sulla croce e risorse ed andò in cielo. Egli aspettò per quarantasette anni che i giudei si pentissero, ma non si pentirono. E Dio mandò contro di loro i Romani, e questi distrussero le loro città. Dopo di che furono dispersi e vivono in schiavitù presso altri popoli>.
Vladimir volle che gli fosse spiegato, perché Dio fosse disceso sulla terra. Il filosofo gli fece un lungo resoconto biblico. Alla fine mostrò a Vladimir una tavola su cui era dipinto il giudizio universale, con a destra i giusti e a sinistra i peccatori, spiegando che i giusti sarebbero andati in paradiso, i peccatori sarebbero andati verso i tormenti. Vladimir, con un sospiro commentò: <Beati quelli che sono sulla destra, guai ai peccatori della sinistra>. Al che il filosofo gli disse: <Se tu vuoi stare con i giusti, fatti battezzare>. Vladimir prese tempo per pensare e potersi convincere e, riuniti i bojari e gli anziani, espose il suo pensiero e ciò che gli avevano detto i rappresentanti delle varie religioni. Bojari ed anziani gli suggerirono di mandare messaggeri per esaminare il servizio divino presso i Bolgary, i Tedeschi e i Greci.
Quelli che tornarono dopo essere stati dai Bolgary, raccontarono che <gli integralisti musulmani vietavano di bere il vino> e di aver visto cose <poco pulite e gli inchini nelle moschee> e raccontarono come i Bolgary nella moschea: ><si prostrano, vi stanno senza cintura, si siedono e come pazzi si voltano ora da un lato, ora dall'altro (l'ondeggiare dei musulmani durante la preghiera ndr.). E non è in loro alcuna letizia ma mestizia, e vi domina un grande fetore. Insomma la loro fede> conclusero <non è affatto buona>.
Quelli che erano stati mandati presso gli ebrei, raccontarono che <la religione ebraica era una religione senza patria> e gli altri mandati presso i latini, che, <il cristianesimo latino proibiva il matrimonio dei preti>.

LA FUNZIONE DIVINA

Il patriarca di Costantinopoli, avvertito dell'arrivo dei messaggeri, aveva allestito una funzione religiosa, col massimo dello sfarzo consentito dalla liturgia ortodossa, in s. Sofia, alla presenza dell'imperatore. La funzione tra canti, incensi e liturgia, impressionò notevolmente i messaggeri di Vladimir. Al ritorno essi raccontarono che: <Assistendo alla funzione religiosa, non sapevano più se erano stati in cielo o sulla terra, poiché sulla terra non esiste una simile bellezza, e il loro servizio divino è migliore di qualunque altro paese; non possiamo più dimenticare questa bellezza, così come ogni persona che ha assaggiato qualcosa di dolce, non vorrà più prendere ciò che è amaro>.
Inutile dire quale fu la scelta di Vladimir. A parte i racconti agiografici, bisogna tener presente una componente fondamentale in questa scelta, richiamata dallo storico delle religioni Ludwig Timotheus, secondo il quale <ogni popolo ritiene che il Dio adorato da quello più ricco sia il migliore>.
Vi è anche un'altra componente della conversione. L'imperatore Basilio II per sedare un'insurrezione di bulgari, aveva chiesto aiuto a Vladimiro, il quale in cambio aveva chiesto in sposa la sorella, principessa Anna. Questo matrimonio avrebbe comportato un risvolto politico. Il riconoscimento del giovane Stato russo. Basilio, dopo la presa della città, si mostrò restio a mantenere la parola data per il matrimonio della sorella, giustificandosi che non poteva dare la sorella ad un pagano (che per i raffinati bizantini equivaleva a un selvaggio). Vladimiro, per reazione, andò a porre l'assedio alla città di Cherson, nella penisola di Crimea. Dopo che la città era stata presa, Basilio si decise a dare l'assenso. Prima del matrimonio, comunque, Vladimiro ricevette il battesimo, accettando la conversione.
Vladimiro procedette poi alla conversione in massa della popolazione, con metodi non troppo...ortodossi. A tutti i cittadini di Kiev fu ordinato di andare ad immergersi nel fiume per farsi battezzare. Il battesimo fu eseguito nel Dniepr, con i bambini tenuti in braccio e gli altri nell'acqua a mezza cintola.
Vladimiro ordinò quindi la distruzione di tutti gli idoli, facendo trascinare da un'altura la statua in legno del più importante di essi, Perun, legata alla coda di un cavallo e poi fatto buttare nel fiume.
La conversione dei russi fu un successo politico per Bisanzio, che si riservò la nomina del patriarca, fatta dall'imperatore. Ai primi vescovi greci subentrarono poi quelli russi. La liturgia seguita non era greca ma slava, derivata dalla liturgia bulgara (seguita da slavi, bulgari e russi). La Chiesa quindi acquistava i caratteri di una Chiesa nazionale.
Fu con questo avvicinamento che lo spirito bizantino incominciò a penetrare in quello russo. Continuerà per i successivi quattro secoli, fino a quando, con la caduta di Costantinopoli (1453), lo spirito di Bisanzio si trasferirà in Russia, dove avrà luogo l'assorbimento dell'organizzazione statuale, che d'allora continuerà fino a Stalin, come si rileva dai numerosi studi di Alexander Kazhdan e dal libro di Silvia Ronchey, <Lo stato bizantino> (v. Recensioni), del quale parleremo trattando specificamente l'argomento*.

*) Come introduzione a questa ipotesi, in Schede, pubblichiamo "Lo spirito del popolo-Volksgeist" secondo Schelling ed Hegel. Si veda ancora in Schede: Storia della storiografia bizantina.

I SUCCESSORI DI VLADIMIRO

Vladimiro aveva avuto molti figli e figlie dalle diverse mogli e concubine. Durante la sua vita, aveva assegnato i principati ai figli, che fungevano solo da luogotenenti, con Jaroslav a Novgorod, Izjaslav a Polotsk, Boris a Rostov, presso Jaroslav, Gleb (Muromskij) a Murom, Svjatoslav (Drevlianskij) nel paese dei Drevljani, Vsevolod a Vladimir in Volinja, Mstislav (Tmutarakanskij) a Tmutarakan, Svjatopolk a Turov e così via.
Alla morte di Vladimir, Svjatopolk, il più anziano dei fratelli (soprannominato il Maledetto), si trovava a Kiev (qualcuno dice prigioniero). Egli non si curò d'informare i fratelli della morte del padre. Per prima cosa fece uccidere tre dei suoi fratelli che avrebbero avuto la possibilità di avanzare pretese sulla successione: Boris, Gleb e terza vittima, Svjatoslav.
Di questi tre, i primi due furono successivamente canonizzati. La Russia incominciò ad avere i suoi primi santi e martiri (che con tutti gli assassini tra fratelli avrebbero potuto avere un martirologio piuttosto lungo).
Jaroslav, indignato, prese le armi contro Svjatopolk, sia per vendicare i fratelli uccisi, sia perché temeva per la sua vita. Però Svjatopolk chiese aiuto al re di Polonia, Boleslaw Chrobry, che glielo concesse in quanto mirava ad annettersi il bacino del Dniepr. Jaroslav fu sconfitto a Ljubec (1017). L'esercito di polacchi (per i russi, ljachi) si diresse a Kiev per saccheggiarla. Il re Boleslaw s'impossessò di Kiev e anziché assegnare il trono a Svjatopolk, lo nominò governatore polacco, ma la popolazione reagì contro lo straniero e riuscì a cacciare Boleslaw. Jaroslav tornò all'attacco contro Svjatopolk e sconfisse il fratello fratricida in una battaglia presso il fiume Al'ta (1019). Svjatopolk riuscì a fuggire, ma durante la fuga, fu scritto, per le ferite ricevute <esalò la sua malvagia anima>.

JAROSLAV IL SAGGIO

Jaroslav il Saggio (1019-1054) si insediò finalmente come gran principe di Kiev non senza le contestazioni del fratello Mstislav, che avanzava pretese su parte dei possedimenti lasciati da Vladimiro I.
Dopo una battaglia (1026), i due fratelli raggiunsero un accordo, in base al quale Jaroslav avrebbe mantenuto Kiev, Mstislav Tmutarakanskij si sarebbe insediato a Cernigov; il Dniepr avrebbe fatto da confine tra i loro territori. Mstislav morirà dieci anni dopo (1036). L'ultimo fratello vivente, Sudislav, era stato incarcerato, così Jaroslav potè continuare a regnare, senza contrasti in seno alla famiglia.
Il regno però non aveva pace, perché vi erano i Peceneghi che, pur essendo stati sconfitti, attraversando la steppa continuavano a saccheggiare Polovstsj.
Jaroslav era stato un monarca colto e illuminato. <Lavorava sui libri, li leggeva spesso, di giorno e di notte. Radunò molti scrittori e fece tradurre libri dal greco in slavo, fece trascrivere e acquistare molti libri>. La biblioteca era ricca ed accessibile da parte del pubblico. L'autore di questa notizia aggiunge un elogio sui libri: <Sono i fiumi che bevono l'universo, le sorgenti del sapere, poiché si trova in essi la profondità incommensurabile, essi ci consolano nel lutto, sono le redini della continenza>.
Durante il suo regno fu per la prima volta emanata una raccolta di leggi consuetudinarie con la denominazione di Russkaja Pravda <Verità (o Giustizia) russa>; Kiev raggiunse il massimo del suo sviluppo commerciale, culturale e artistico (con artisti greci che insegnarono a quelli russi e con la costruzione di numerose chiese e palazzi). Sotto Jaroslav Kiev fu cinta di bastioni. Nella città si trovavano otto grandi mercati frequentati da mercanti dell'Olanda, Germania, Boemia, Ungheria, Polonia e vari paesi dell'Oriente. Le sue bellezze architettoniche impressionavano i viaggiatori ed era considerata (un po' troppo enfaticamente) la rivale di Costantinopoli e la più bella gemma del mondo della civiltà greca.
Nell'elogio della città il metropolita Ilarione (1050 c.a) scriveva <Contempla la città che splende fulgida; contempla le chiese che sorgono; contempla il cristianesimo che cresce; contempla la città intera che brilla, illuminata dalle icone dei santi, che è immersa nell'incenso, che risuona tutta degli elogi e dei canti divini>.
Proprio per proteggere il commercio russo, Jaroslav fece guerra all'imperatore di Bisanzio (1043), con una spedizione al comando del figlio Vladimiro, ma ci fu una battaglia navale nel Bosforo e i russi ebbero la peggio per la superiorità che i bizantini avevano col <fuoco greco>( v. Cap.V de "I mille anni dell'impero bizantino"). Le navi russe avevano avuto il colpo di grazia da una tempesta; i russi, che erano riusciti a salvarsi via terra, furono massacrati e i prigionieri (circa 800, portati a Bisanzio) tutti accecati. Dopo tre anni da questa guerra i rapporti commerciali tra Kiev e Bisanzio ripresero normalmente.
Jaroslav in punto di morte volle impostare il diritto di successione in base a nuovi principi giuridici, dettati dalla sua nota saggezza salomonica (ma anche ad esser saggi, non lo si è mai a sufficienza, come vedremo). Fino ad allora la successione non aveva luogo dal padre al figlio, ma passava al fratello maggiore del principe defunto. Tuttavia, non riuscì ugualmente ad evitare le lotte intestine tra gli aventi diritto, che erano tutti coloro che facevano parte della dinastia, e la disgregazione (che darà luogo al passaggio feudale) verso cui stava andando l'intero regno.
Egli assegnò, quindi, il principato più importante di Kiev al figlio maggiore Izjaslav-Demetrio, che prese il titolo di Gran principe, dandogli anche il governo di Novgorod, in modo da dominare la via commerciale più importante del settentrione e di mezzogiorno. A lui gli altri fratelli dovevano obbedienza: <come avete obbedito a me dovete obbedire a lui>.
Al secondogenito Svjatoslav assegnava Cernigov; a Vselovod toccò il principato di Perejaslavl; ad Igor Vladimir; a Viaceslas era stata assegnata Smolensk.
Tutte le città ed i territori assegnati dovevano dipendere da quello di Kiev ed erano destinati agli appartenenti alla linea dinastica, seguendo il principio della priorità di nascita legata alla importanza del territorio che gli veniva assegnato. Quindi il secondo territorio per importanza andava al secondogenito, e così via fino all'ultimo della dinastia che riceveva il territorio meno importante. Quando moriva uno di essi, tutta la gerarchia subiva l'avanzamento di un grado.
Questa impostazione, pur improntata a principi di saggezza, come abbiamo detto, non aveva fatto i conti con l'avidità umana; non fece altro che incrementare le lotte tra i vari esponenti della famiglia, ciascuno con il suo seguito di bojari, ognuno dei quali desiderava avere il territorio più importante.
Essendo poi la famiglia dinastica aumentata enormemente, i rapporti di parentela con le consequenziali nuove norme (via-via introdotte) si complicavano notevolmente, con il risultato però che permettevano a chi ne aveva interesse di sollevare facilmente contestazioni, facendo appello al principio dell'ereditarietà.
E subito iniziarono le lotte fratricide. Vseslav, principe di Polotsk, nipote di Jaroslav, finché era vissuto lo zio, si era mantenuto tranquillo; con l'altro nipote Rostislao (figlio del figlio Vladimiro Jaroslavic, premorto), ambedue non soddisfatti di ciò che avevano ricevuto, si rivoltarono contro Izjaslav, ma furono sconfitti e Vseslav portato prigioniero a Kiev. I tre figli maggiori di Jaroslav (Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod) instaurarono un triunvirato (1054-1073).
Nel 1061 i bellicosi Cumani (dai russi denominati "polovzi") fecero irruzione nella steppa della Russia meridionale, costringendo i Tork a ritirarsi al di là del confine russo, infliggendo agli eserciti riuniti di Jzjaslav, Svjatoslav e Vsevolod (1068) una sconfitta (Perejaslav). Con questa vittoria i cumani-polovzi si assicurarono il dominio della steppa russa meridionale e, bloccando il Dniepr, ponevano fine ai rapporti di Kiev con Costantinopoli.
L'esercito di Izjaslav, in fuga verso Kiev, lo depose, sostituendolo col prigioniero Vseslav. Izjaslav si dette alla fuga rifugiandosi in Polonia. L'anno successivo si ripresentò a Kiev, impadronendosi nuovamente del principato e instaurando un regno di terrore contro tutti coloro che egli sospettava avessero parteggiato per Vselav. Gli abitanti di Kiev, indignati per il comportamento di Izjaslav, aprirono le porte ai suoi due fratelli Svjatoslav e Vsevolod.
Svjatoslav fu dichiarato principe di Kiev e Izjaslav si dette nuovamente alla fuga, ma ritornò dopo diversi anni (1076) con un esercito polacco. Svjatoslav nel frattempo era morto ed il fratello Vsevolod permise al fratello maggiore di entrare in Kiev (1076).
I figli di Svjatoslav furono esclusi dal patrimonio di Cernigov e uno di essi, Roman, principe di Tmutarakan, dette ospitalità al fratello maggiore Oleg.
Costui, nel rivendicare il principato di Cernigov (1078), assoldò un esercito di cumani-polovzi (la cui stirpe era di origine turca). Fu sconfitto, ma aveva creato un precedente, in quanto nelle lotte intestine che seguirono i cumani saranno assoldati dall'uno o dall'altro dei contendenti. Izjaslav fu ucciso e Vsevolod si insediò definitivamente a Kiev (1078-93). Il suo regno fu relativamente tranquillo, a parte i disordini creati dai principi diseredati e da Oleg, rifugiati a Tmutarakan.
Vsevolod aveva un figlio, Vladimiro Monomaco, che si rese popolare, durante il regno del padre, tenendo a bada i cumani, che fomentavano anch'essi disordini.

VLADIMIRO MONOMACO
IL FEUDALESIMO E L'ARRIVO DEI TATARI

Vsevolod aveva sposato la figlia dell'imperatore Costantino Monomaco, che gli aveva dato un figlio, Vladimiro Monomaco (1053-1125), noto come abbiamo visto per aver soffocato le ribellioni dei cumani. Vladimiro, per sedare le lotte intestine dei suoi parenti, aveva convocato una conferenza di pace a Ljubec (1097). La famiglia dei discendenti di san Vladimiro era cresciuta enormemente. Fino a quando vi era un padre, con figli e al massimo con alcuni nipoti, il padre era il capo riconosciuto e non sorgevano grossi problemi. Nel momento in cui il padre moriva e gli succedeva il figlio maggiore (o il cugino, come si era verificato nel caso di Svjatopolk), l'autorità trasmessa non era la stessa di quella paterna, ma molto più debole, in quanto i fratelli lo consideravano non il capo, ma un <primus inter pares>. Perciò, nel momento in cui il fratello maggiore voleva far valere la sua autorità, incontrava l' opposizione degli altri, e questa portava alla guerra.
Si verificava anche che i fratelli viventi erano inclini ad escludere dalla eredità i nipoti (figli dei loro fratelli). La conseguenza era che le rivendicazioni di questi nipoti reclamanti l'eredità paterna creava altri motivi di dispute.
L'importanza della conferenza di Ljubec, organizzata da Vladimiro Monomaco, era determinata dalla circostanza che essa aveva posto le basi di effetti durevoli nella struttura territoriale, con l'identificazione dei diversi rami di discendenti da Vladimiro I (di principi se ne conteranno duecentonovantatre, per sessantaquattro principati), in rapporto alle parti di territorio ad essi spettanti. Un' ulteriore conseguenza fu che, mentre prima vi era un centro (Kiev) più importante rispetto agli altri, con questa nuova impostazione tutti acquisivano una importanza paritaria. Questo costituiva motivo di stabilità, ma portando alla indipendenza dei principati favoriva le forze centrifughe.
Kiev in quel momento, pur non essendo più un centro amministrativo, aveva mantenuto la supremazia spirituale rispetto alle altre città. Vladimiro Monomaco, principe di Perejaslavl, Smolensk e Rostov, avendo acquistato ulteriore prestigio dalla riuscita conferenza di Ljubec (1), per le sue qualità di guerriero coraggioso e generoso, per i successi riscossi contro i cumani, senza personali ambizioni da far valere, non avendo combattuto per acquisire altri territori, possedeva tutte le grandi qualità di un principe.
Per queste sue alte qualità, pur non rientrando nell'ordine della gerarchia delle nomine, fu proclamato <gran principe> dai cittadini di Kiev (1113-25). Egli oltre ad aver edificato la città di Vladimir (nello stesso periodo erano sorte città come Perejslavl-Zalesskij, Jurev-Poloskij ed altre), scrisse per i suoi figli l' <Ammaestramento>, che costituisce uno dei più antichi documenti di suggerimenti dati ai figli, dell'antica Russia.
La pace di Ljubec (1097), sancita in un trattato, con giuramento formale dei partecipanti, fatto col bacio della croce, fu appena mantenuta anche sotto il figlio Mstislav (1125-32), l'ultimo dei principi ad avere un ascendente morale sugli altri. Il giuramento col bacio della croce, però, non impedì un accecamento, che avvenne con raccapricciante ferocia quasi sotto gli occhi di Vladimiro Monomaco, nei confronti di Vasil'ko.
Svjatopolk-Michail e Davyd Igorevic (figlio di Igor) si recarono a Kiev da Vladimiro per rallegrarsi, ma "il diavolo" s'insinuò nel corpo di Davyd Igorevic suggerendogli che Vladimir e Vasil'ko avevano cospirato contro di lui e Sviatopolk. Davyd incominciò (in presenza di Svjatopolk) ad accusare Vasil'ko, sostenendo che dovesse essere accecato e, se non lo avesse fatto, ambedue sarebbero rimasti senza i loro domini. Svjatopolk voleva lasciarlo andare, ma Davyd si oppose. Quella stessa notte Vasil'ko fu portato su un carro a Zvenigorod, una piccola città poco distante da Kiev, in una casa di contadini. Vasil'ko, avendo notato un turco che affilava un coltello e avendo capito che lo si voleva accecare, scoppiò in pianto, invocando Dio. I due scudieri di Svjatopolk e Davyd stesero un tappeto per terra, afferrarono Valil'ko, che si dibatteva, volendo gettarlo per terra, senza riuscirvi. Arrivarono altri uomini, che lo legarono e per tenerlo fermo presero un'asse dalla stufa, la posero sul suo petto e si misero ai due lati dell'asse, ma ancora non riuscivano a tenerlo fermo. Allora altri due uomini tolsero dalla stufa una seconda asse e vi si posero sopra, premendo tanto che si sentivano scricchiolare le ossa. Si avvicinò il turco (pecoraio di Svjatopolk) e dette un colpo all'occhio, ma sbagliò la mira e lo ferì sul viso. Allora gl'infilò il coltello nell'occhio e ve lo rivoltò fino ad estrarre il globo; poi toccò all'altro occhio.
Privo di sensi, Vasil'ko fu avvolto nel tappeto e, caricato sul carro, fu portato nella città di Vladimir, dove giunsero dopo sei giorni. Quando Vladimiro Monomaco apprese la notizia, disse che mai in terra russa si era verificato un simile misfatto.
Con il fratello più giovane di Mstislav, Jaropolk ha inizio un nuovo periodo di faide. I figli di Mstizlav, Izjaslav e Rotislao, volevano appropriarsi del principato di Kiev e iniziarono le lotte contro gli zii (fratelli di Mstislav), il più potente dei quali era Juri Dolgorukij <dalla lunga mano>, figlio cadetto di Vladimiro Mononaco e principe di Vladimir-Suzdal. Gli succedette il figlio Andrej Bogoliubskij (1157-74), il quale trasferì la sua residenza a Vladimir, costruendo un castello ed un villaggio in prossimità della città. Andrej con altri undici principi fece una spedizione contro Kiev, mettendola a sacco e insediando come governatore suo fratello. Volle fare lo stesso con Novgorod, ma non vi riuscì.
Il potere di Andrej Bogoliubskij era cresciuto a tal punto che i boiari, organizzata una congiura, lo assassinarono (1174). Gli succedette il fratello Vsevolod <Grande nido> (1176-1212), col quale il principato di Vladimir-Suzdal giunse all'apice della sua ricchezza.
Lo smembramento dei territori a causa delle successioni aveva portato al periodo feudale, al quale non si sottrasse il principato di Vladimir-Suzdal, che alla morte di Andej e a seguito delle pressioni dei boiari si divise in due entità separate. Anche Muran-Rjazan si dividerà in due principati indipendenti (1260). Il principato di Cernigov si spezzettò in oltre venti feudi, che durarono per tutto il periodo della dominazione tatara, fino al XV sec.
Kiev, che fino a quel momento aveva mantenuto una superiorità spirituale rispetto alle altre città, perse la sua importanza e fu ridotta ad un principato secondario. Anche il suo commercio verso Costantinopoli perse importanza, perché i polovzi, minacciando la <grande via>, l'avevano resa impraticabile; il commercio si era spostato verso nord-est (principato di Vladimir, dove si trovava Mosca, che non era che un villaggio di frontiera tra Vladimir e Suzdal, lungo la strada per Kiev), col trasferimento dai <piccoli russi> ucraini, ai <grandi russi>, più rozzi e vigorosi della regione tra la Moscova e l'alto Volga, e verso sud-est, dove acquistava importanza la città di Golic.
Da Kiev, a sud-ovest, si erano staccati e formati i principati di Volynic (1150) e Golic (1190), successivamente riuniti da Roman Mstislavic (1199-1205). Golic aveva acquistato importanza internazionale, perché la Galizia si trovava tra la Russia e il confine con la Polonia e l'Ungheria.
Morto Roman Mstislavic, vi furono continue lotte feudali, sobillate dalla Polonia e dall'Ungheria. Il figlio di Roman, aiutato dagli abitanti (1236), assediò Golic tenuta dai boiari, prendendo il potere, ma per poco perché era in arrivo una nuova tribù di mongoli, i Tatari.
A Novgorod vi era stata una rivolta (1136-37) contro il principe Vsevolod; estromesso il principe, fu instaurata una repubblica indipendente, con una assemblea popolare (veche) di tutti gli abitanti liberi della città (i veri padroni erano però i boiari, che ispiravano le decisioni dell'assemblea). Accanto alla <veche> vi erano gli organi del potere esecutivo, con un governatore (posadnik) e un comandante della guarnigione (tysjatskij). I principi non avevano alcuna carica , ma, essendo guerrieri, avevano costituito una milizia (družina) e venivano chiamati volta per volta.
In seguito i boiari costituirono un <consiglio dei signori o senato dei nobili> (boyarskaya duma), che divenne il vero governo di Novgorod.
La conseguenza dello smembramento, che assunse i caratteri feudali, fu che la Russia si era indebolita a tal punto da non poter opporre una efficace resistenza alle orde dei mongoli, detti Tatari, provenienti dall'est, dalle alture dell'Amur. Con le loro migrazioni armate nel corso del XII sec., i Tatari iniziarono la loro espansione verso la Cina e la Russia. Questa non fu sottomessa, ma fu assoggettata al vassallaggio, con pagamento di tributi.
Il loro capo era Temuncin (buon metallo), che prese il nome di Gengis-khan (grande re). Ne parliamo in altro articolo.

1) Liubec è una collina di Kiev. Tra il 1956 e il 1960, su questa collina, è stato scoperto un portentoso castello in legno, appartenuto a Vladimiro Monomaco. Esso costituiva il cuore di un borgo, separato dal resto dell'agglomerato da argini e palizzate e un fossato con ponte levatoio, dominato da un torrione. Il lussuoso castello non differiva dagli omologhi castelli dell'Occidente, ed era arredato lussuosamente, con ornamenti d'oro e d'argento, decorazioni in maiolica, con corna di cervi e di uri; era fornito di sale di riunioni e banchetti, capaci di ospitare un centinaio di commensali, con la possibilità per il principe di mantenere nel castello tra le duecento e duecentocinquanta persone.

FINE


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