I DIRITTI FEUDALI ESISTENTI IN FRANCIA

AI TEMPI DELLA RIVOLUZIONE *

ACQUE: tutti i fiumi navigabili e corsi d'acqua capaci di sostenere dei natanti appartenevano al re, anche se attraversavano terre feudali. I Feudatari potevano riscuotere diritti di pesca, mulini, chiatte, traghetti, ma dovevano avere l'autorizzazione del re. I piccoli fiumi che attraversavano terre feudali, appartenevano al feudatario che poteva riscuotere gli stessi diritti che il re riscuoteva su quelli navigabili.
ALLODIO: era la proprietà individuale libera ed esclusiva, esente da qualsiasi gravame, non sottoposta ad alcun dovere o diritto feudale. Così denominata per distinguerla dalla proprietà comune dell'antichità. Si distinguevano allodi nobili, che comprendevano la giurisdizione dei feudi da essa dipendenti o delle terre a censo, e allodi plebei, che non avevano giurisdizione, né feudi o terre a censo ed erano costituiti da pura e semplice proprietà individuale.
BANALITA': costituita dall'uso pubblico e obbligatorio di impianti appartenenti al feudatario. Consisteva in pratica nell'uso pubblico di mulini e forni.
Altre banalità:
1) Uso comune di mulini industriali, come quelli per le stoffe, la scorza, la canapa.
2) Banalità del torchio
3) Banalità del toro.
BANDO DI VENDEMMIA: era un diritto di polizia che spettava al feudatario in qualità di alto giustiziere. Egli cioè aveva il diritto di vendemmiare un giorno prima di ogni altro proprietario delle vigne.
DIRITTO DI BANVIN: diritto (consuetudinario ma più normalmente per titolo) dei feudatari di vendere il loro vino (un mese o quaranta giorni) prima di tutti gli altri nel feudo. Il vino doveva essere del feudatario o dei suoi poderi. Agli osti era consentito venderlo solo agli stranieri.
BORDELAGE: applicato solo in alcune parti della Francia (Nivernese e Borbonese) consisteva in un canone annuale in danaro, granaglie e pollame pagato dal possessore del censo. Questo diritto comportava conseguenze molto rigorose. Il mancato pagamento per tre anni, provocava la commise, la confisca a favore del feudatario. Il debitore del bordelage era sottoposto anche ad altre limitazioni, come quella che il feudatario poteva ereditare dal debitore anche in presenza di suoi eredi legittimi.
CACCIA: il diritto di caccia era regio e non poteva essere ceduto come per la pesca. I feudatari lo esercitavano nell'ambito della propria giurisdizione, ma col permesso del re. I giudici del feudatario avevano invece la competenza per tutti i reati di caccia, ad eccezione di quelli per la caccia grossa, che era prerogativa regia. I dintorni di Parigi-Versailles per 150 km. erano riserva di caccia del re e pullulavano di cacciagione. La caccia era una prerogativa nobiliare, rigorosamente vietata ai non nobili. I contadini non potevano neanche tentare di ammazzare la selvaggina che distruggeva il raccolto. E se il raccolto non veniva distrutto dalla selvaggina, era calpestato dai cavalli durante le battute di caccia. Erano vietate recinzioni o siepi che sarebbero state di intralcio alla caccia. Sul diritto di caccia non si transigeva: le guardie ammazzavano anche per un coniglio o una lepre. Le pene inflitte erano pesanti, anche corporali. Inutile far causa per farsi indennizzare per la perdita delle granaglie…si perdeva il tempo,il raccolto e le spese del processo!.
CARPOT: in uso nel Borbonese era un diritto sulle vigne di prelevare una parte del raccolto, pari a un quarto.
CENSO (o livello censuario): era il diritto feudale per eccellenza che gravava sulla proprietà feudale. Era costituito da un canone (livello) perpetuo, in natura o danaro, connesso dalle leggi feudali al possesso di alcuni terreni. Il livello era innanzitutto indivisibile perciò uno dei proprietari rispondeva per gli altri. Inoltre il proprietario dell'immobile era soggetto a recupero livellare, nel senso che il proprietario originario (il feudatario) aveva diritto di prelazione nel caso di vendita del terreno, e, se questo veniva ugualmente venduto, egli aveva la possibilità di recuperare il terreno pagando il prezzo di vendita. Il censo veniva stimato nell'ordine del trenta per cento del valore del terreno. La valutazione era alta perché assorbiva altre rendite occasionali come il laudemio (v).
DIRITTO DI CHIATTA: differiva dal diritto di pedaggio in quanto si prelevava sulle mercanzie, mentre il pedaggio si prelevava sulle persone. Doveva essere autorizzato dal re e il consiglio ne fissava con decreto la quota.
CONIGLIERE: erano consentite sia ai nobili che ai plebei, ma solo i nobili potevano avere i furetti (le puzzole albine che venivano utilizzate per stanare i conigli).
COLOMBAIE: il diritto di avere colombaie forate (se ne trovano ancora nelle campagne francesi), spettava solo ai feudatari. Chi uccideva i piccioni andava incontro a pene anche corporali.
CORVE'E: poteva essere personale o reale. La personale era dovuta dagli operai domiciliati nel feudo. La reale era connessa al possesso di certi patrimoni. Ne erano esenti i nobili, gli ecclesiastici, gli ufficiali di giustizia, medici, avvocati, notai e banchieri. La corvée doveva risultare da atto scritto. Questa corvée, che era feudale, non va confusa con la corvée reale che spettava al re sugli operai che erano tenuti a lavorare gratuitamente per la costruzione e manutenzione delle strade reali. La corvée feudale era valutabile in danaro: quella del bue corrispondeva a venti soldi, quella del bracciante a cinque soldi oltre al vitto.
FONTANE, POZZI, MACERATOI, STAGNI: le acque piovane che scorrevano lungo le vie maestre, appartenevano al feudatario, che ne disponeva in modo esclusivo e che poteva creare uno stagno nel suo feudo, anche se il terreno era posseduto da altri, pagando a costoro il prezzo del terreno che veniva sommerso.
DIRITTO DI GIUSTIZIA: spettava al feudatario che era il grande giustiziere e sovrintendeva alla giustizia e ai giudici del suo feudo. Nella sua valutazione economica si divideva in alta, media e bassa giurisdizione. Quella alta era valutabile a un decimo della rendita del feudo.
DECIME INFEUDATE-TERRAGE: da non confondere con la decima, che era una vera e propria imposta sul reddito delle persone, queste erano dovute in alcuni casi e dovevano risultare da contratto.
LAUDEMIO: era il diritto di vendita che il possessore di un patrimonio doveva pagare al feudatario. Normalmente equivaleva a un sesto del prezzo, che godeva di un diritto di prelazione rispetto ad altri crediti.
DIRITTO DI LEYDE: era una imposta che veniva prelevata sulle mercanzie portate alle fiere o ai mercati e spettante al feudatario alto giustiziere, in quanto privilegio feudale.
MARCIAGE: anche questo diritto era applicato in alcune località della Francia sui possessori di patrimoni o di terre sottoposte a censo. La rendita era però pagata in occasione della morte del feudatario.
PARCIE'RES: costituiti da diritti da riscuotersi sulla raccolta dei frutti anch'essi limitati al Borbonese e all'Alvernia.
DIRITTO DI PASCOLO: spettava al feudatario il diritto di accordare agli abitanti il permesso di far pascolare il bestiame sulle terre assoggettate alla sua giurisdizione o su terre incolte. Il diritto del feudatario poteva essere scritto o consuetudinario.
PEDAGGI: in Francia esisteva un gran numero di pedaggi, su ponti, strade, fiumi, che si aggiungeva ai diritti gravanti sui mercanti, in parte aboliti dal Luigi XIV. Nel 1724 una commissione ne aveva soppressi milleduecento. Su questi pedaggi si commettevano molti abusi in quanto venivano concessi in affitto e l'affittuario tirava al massimo sul prezzo.
PESCA: La pesca nei fiumi navigabili o capaci di sostenere natanti, apparteneva al re che poteva autorizzare delle concessioni, normalmente date al feudatario proprietario delle terre attraversate da questi corsi d'acqua. Nei corsi d'acqua non navigabili era vietato pescare se non con l'autorizzazione del feudatario.
SERVAGE: questo diritto di servaggio poteva essere personale (tipo servitù della gleba) inerente quindi alla persona, che la seguiva ovunque essa andasse, con diritto del feudatario di rivendicarlo come res propria per diritto di persecuzione. A Parigi esisteva il diritto di asilo nel senso che chi vi si rifugiava non poteva essere perseguito. Questo diritto di asilo, se impediva al feudatario di sequestrare i beni (e la persona) che erano a Parigi, non gli impediva di impadronirsi del possesso dei beni lasciati nel feudo. Quello reale invece era la conseguenza del possesso di terra o di un' abitazione, che poteva cessare quando erano abbandonate.
STRADE: Il feudatario esercitava il diritto sulle strade che attraversavano il suo feudo. Quelle che invece erano le grandi strade maestre, chiamate strade del re, appartenevano al sovrano che provvedeva a costruirle (con le corvée) e mantenerle. I delitti che si commettevano su quelle strade non rientravano nella competenza dei feudatari e dei loro giudici.
TERRAGE o CAMPART, AGRIER, TASQUE: era costituita dal diritto del feudatario a ricevere una parte dei frutti prodotti dalla proprietà data a censo. Il terrage si distingueva in feudale, che era imprescrittibile, e prediale, prescrittibile in trent'anni.

* * * *

Tutti i diritti feudali erano riportati nel terrier, che era il registro in cui erano indicati tutti i documenti che attestavano i diritti appartenenti al feudo sia in proprietà che in diritti onorifici, reali, personali o misti. Vi si inserivano tutte le dichiarazioni dei censuari, le usanze del feudo, i contratti a censo, ecc. . Al terrier veniva allegata una mappa del feudo.
Per rinnovare un terrier veniva designato dal tribunale un notaio, davanti al quale dovevano presentarsi i vassalli, nobili, plebei, censuari, enfiteuti e tutti coloro che erano soggetti alla giurisdizione del feudo.
I diritti feudali non ricadevano né sui nobili né sugli ecclesiastici, ma sul terzo stato, particolarmente sui contadini (affittuari, mezzadri, ecc.), che pur vivendo abbrutiti dal lavoro e dalla miseria più desolante, dovevano assolvere al pagamento dei tributi. I borghesi più o meno ricchi facevano a gara per cercare cariche di qualsiasi genere, che riconoscevano loro il privilegio di esenzione.
Per dare un quadro completo della situazione pubblicheremo prossimamente in questa rubrica una lettera-cahier de doleance, e delle schegge sulla vita dei nobili e dei contadini, nei due secoli che vanno dal regno di Luigi XIV fino alla Rivoluzione (ancien régime), che per il sovrano, i nobili e il clero, erano stati di grande splendore, ma anche il loro canto del cigno; per le classi povere erano state di squallore, abbrutimento e degradazione, tanto da chiedersi come mai la Rivoluzione fosse scoppiata così in ritardo (e lo spiegheremo)!.

*) Tratto da: L'antico regime e la rivoluzione di Alexis de Tocqueville.

 

FINE

torna su

indice


L'EVOLUZIONE DEL GUSTO

DAL MULSUM AL WINE COOLER

 

L'uomo nella sua storia millenaria, sin dall'antichità, ha tentato sempre nuovi esperimenti per soddisfare il senso del gusto, e questo non solo con bevande pure quali il vino o estratti da cereali, ma creando delle miscele che potevano dare al proprio palato nuove sensazioni gustative.
Origini antiche aveva il mulsum, miscela ricordata da Omero che si può considerare uno dei primi tentativi per ottenere un gusto diverso. L'idea sarebbe venuta ad Aristeo di Tracia (figlio di Apollo e della ninfa Cirene), il quale aveva pensato di mescolare il miele con il vino, ottenendo una bevanda che sfruttava il gusto naturale e gradevole dei due elementi.
Nell'antica Grecia era famoso il maroneo (quello che Ulisse aveva fatto bere a Polifemo), vino forte, indomabilmente austero, nero e profumato, che con l'invecchiamento diventava più corposo. Quando doveva essere servito nei banchetti, era miscelato con acqua nelle proporzioni di un sestario di vino e otto di acqua.
Alcuni vini, come il Clazomene, erano trattati con l'acqua di mare. Anche il famoso vino di Cos era allungato con acqua di mare…presa al largo (eppure all'epoca non vi erano problemi d'inquinamento!). Si racconta che quest'usanza era derivata dalle bevute furtive di uno schiavo il quale colmava la misura del vino rubato, con acqua di mare. Questo vino piaceva appunto, per il suo sapore salato. Il vino di Lesbo aveva invece naturalmente sapore di mare. Particolarmente conosciuto era anche il vino di Efeso che era trattato con acqua di mare e defrutum.
In Frigia, con il vino di Apanea, si otteneva il melato. In Italia con il pretuziano (della zona di Atri) si otteneva il defrutum (si faceva bollire il mosto fino a ridurlo alla metà).
Nella Gallia narbonese, si ricercavano nuovi sapori trattando il vino con erbe e ingredienti (che secondo Plinio erano nocivi). Si usava perfino l'aloe solo per alterare il gusto e il colore. In epoca romana, era diventata celebre l'annata del <121> (a. C.) per la bontà di tutti i vini di quell'annata, perché l'uva aveva potuto maturare con una temperatura mantenuta da un sole splendente. I vini di quest'annata si erano mantenuti addirittura fino a 2oo anni dopo, ridotti però a una sorta di miele amaro (il gusto amaro era la caratteristica dei vini invecchiati), che mischiato in piccole quantità con altri vini, li rendeva diversi nel gusto e ne migliorava la qualità.
Le diverse proprietà gustative (oggi si chiamano organolettiche), si riteneva avessero effetti terapeutici. Infatti, il divino Augusto (23 a.C.-14 d.C), seguito poi dai suoi successori, fra tutti i vini preferiva quello di Sezze (in prossimità delle paludi pontine), che per il suo particolare gusto, pare mettesse al sicuro, chi lo beveva, dalle indigestioni.
Questo vino seguiva per fama quelli dell'agro di Falerno. Plinio lamentava che già a quell'epoca la loro rinomanza era in regresso <da quando è in mano a gente che bada più alla quantità che alla qualità>. Di questa zona il vino più noto era il faustiniano, di sapore gradevole di cui esistevano tre qualità: il tipo forte, il leggero, il dolce.
I famosi vini Albani avevano come caratteristica la leggerezza, e proprio per questa particolarità, considerata come proprietà benefica, erano indicati per i convalescenti. Quelli invece fortemente aspri come i vini di Segni (sulla via Appia), erano considerati ed usati come ottimi astringenti per l'intestino.
La caratteristica dominante dei vini di quei tempi, era l'asprezza che si cercava di attutire nei modi più insoliti e strani. In Grecia e in Italia abbiamo visto che si usava il defrutum. Ancora in Italia si usava la pece crapulana (era resina trattata con acqua calda o esposta al sole facendo evaporare l'olio essenziale). In Africa si usava temperare l'asprezza…con il gesso e con la calce. In Grecia si ravvivava la mitezza del vino con l'argilla, marmo, il sale o come abbiamo visto, con l'acqua di mare. In proposito Plinio lamentava che <grazie a così numerose sofisticazioni il vino è costretto a piacere>, aggiungendo < poi ci meravigliamo che faccia male>
Non mancavano infine, i vini dolci e profumati, che si distinguevano dai passiti, i quali erano più dolci e meno profumati. Questi ultimi si ottenevano facendo appassire i grappoli al sole e immergendoli poi o nell'olio bollente o nel vino, e successivamente erano pigiati. Vi era anche un tipo di vino intermedio tra il vino vero e proprio e il vino dolce, ottenuto arrestando artificialmente la fermentazione (che poi è stato il sistema per ottenere lo champagne), mettendo cioè il mosto in orci che erano immersi in acqua e lasciati fino al solstizio d'inverno. Faceva parte di questa specialità il Protopo, che era una specie di Porto secco, ottenuto dal mosto di prima pigiatura, messo immediatamente in appositi recipienti e fatto cuocere al sole per quaranta giorni nell'estate successiva.
Il miglior passito, pare fosse ottenuto con uve messe a seccare per sette giorni al sole su graticci in luogo riparato e protetto dall'umidità della notte e pigiate nell'ottavo giorno. Il vino così ottenuto era profumato e di sapore eccellente.
I tempi sono cambiati e sono cambiate anche le tecniche. Attualmente stiamo assistendo a un capovolgimento del gusto. Il consumatore si sta rivolgendo verso i soft-drinks, bevande a basso contenuto alcolico, che si stanno diffondendo in tutto il mondo. Notiamo, infatti, che nei paesi bevitori di vino, sta aumentando il consumo dei vini a basso contenuto alcolico. Nei paesi bevitori di birra, si sta affermando la long-beer.
Anche se non è alcolica, non si può fare a meno di parlare di una bevanda non alcolica che oramai si può considerare centenaria. La Coca Cola.
Nel 1886, un farmacista di Atlanta aveva fatto un preparato che serviva per digerire, e che negli ultimi decenni ha conquistato il mondo intero (da ultimo è sbarcata in Cina, con un miliardo di potenziali consumatori), per il suo particolare sapore (oltre alla peculiare caratteristica di far digerire anche i sassi!), è diventato il grosso business alimentare dal dopoguerra a oggi, con una produzione che si aggira intorno a mille milioni di bottiglie. E' la bevanda dei giovani di tutto il mondo e dei meno giovani che per necessità dietetiche devono ridurre la consumazione di sostanze alcoliche, e sono riusciti ad associare il sapore dolciastro della bevanda con i cibi salati.
La trovata di qualche anno fa, in questa ricerca del gusto, è stata il wine-cooler, bevanda dissetante e rinfrescante, che due studenti americani che gestivano una mensa, avevano ottenuto miscelando vino bianco con orange suice…ed è stato subito successo!. Non sappiamo quanto questo successo possa durare.
Quest'idea del wine-cooler era arrivata nel momento in cui il vino aveva iniziato a subire una contrazione nel consumo. L'alcol, si sa, per il suo contenuto calorico ha anche potere nutritivo, per cui per necessità dietetiche vi è la tendenza a ridurne i gradi e la quantità da consumare. Ciò non vuol dire che per il vino sia arrivato il tempo del de profundis in quanto si tende ad apprezzarne sempre più il gusto.
Questo gusto più raffinato porta alla ricerca di un vino puro, ottenuto con sistemi sempre più sofisticati che mirino ad ottenere la purezza quasi assoluta, con cure che iniziano sin dal momento della coltivazione e raccolta dell'uva e seguono tutto il processo di pigiatura (soffice) ed estrazione del vino nelle successive fasi di spremitura, fermentazione, fino al confezionamento in bottiglia. Il tutto rivolto a mantenere inalterate le caratteristiche organolettiche e dare al consumatore raffinato un vino dal bouquet e sapore di alta classe e prestigio.
La ricerca di questi elementi ha portato a sviluppare, una novità degli ultimi anni, il cosiddetto vino novello.
E' un vino che si ottiene con una particolare tecnica di macerazione (macerazione carbonica) e fermentazione forzata che evita la lunga attesa di un vino normale. Esso infatti è pronto per essere bevuto in un paio di mesi dalla vendemmia. La sua durata però è breve in quanto va consumato entro la fine dello stesso anno di produzione. Questo vino va apprezzato perché è un vino che presenta la caratteristica della leggerezza, contenendo tutte le caratteristiche delle uve dal quale è prodotto e sviluppando tutte le doti olfattive e sensitive.
Dalla idea della bevanda nutrimento si è giunti alla bevanda soddisfazione.

 

FINE

torna su

indice


CASA SAVOIA

VIVAIO DI PULZELLE PER LA NOBILTA' EUROPEA

 

I Savoia risalgono all'anno 980 circa, (tralasciando periodi precedenti non storicamente documentati). Venuti dal di là delle Alpi in Piemonte, si stabilirono in Savoia, che divenne loro feudo con Umberto I. A questo feudo, al quale si aggiungeranno col tempo altri territori, era inizialmente collegato il titolo comitale. Questo titolo veniva trasmesso per quattrocento anni, cioè fino a quando nel 1416 Amedeo VIII veniva investito dall'imperatore Sigismondo del titolo di duca. Sarà lui a unificare il Piemonte e Stati sabaudi. Torino, dopo alterne vicende, risalenti alla prima conquista nel 1260, da parte di Pietro II, fu acquisita definitivamente e divenne sede della Corte e del governo.
Con Carlo Emanuele I (1580-1630) la famiglia si divide in due rami. Da una parte, con il figlio Vittorio Amedeo I (1587-1637), prosegue il ramo dei duchi di Savoia. Questo ramo si estinguerà con i figli di Vittorio Emanuele I, re di Sardegna (1759-1824), il quale abdicherà in favore di Carlo Felice.
Dall'altra ha inizio il ramo dei principi di Carignano (gli appartenenti a questo ramo sono Savoia-Carignano), con il figlio Tommaso Francesco, il cui ramo principale proseguirà con il più noto Carlo Alberto (1798-1849) che diventerà re di Sardegna in seguito all'abdicazione di Carlo Felice. Tra Carlo Felice e Carlo Alberto però ogni grado di parentela si poteva ritenere esaurito in quanto, risalendo all'avo comune (Carlo Emanuele I), essi erano divisi da sette generazioni per Carlo Alberto, e sei per Carlo Felice.
Carlo Alberto abdicherà al titolo di re di Sardegna, in favore del figlio Vittorio Emanuele II (1820-1878), il quale è stato secondo, come re di Sardegna, ma primo come re d'Italia (1861). La numerazione per Vittorio Emanuele III è da ritenere ugualmente errata, in quanto egli era secondo re d'Italia.
Evidentemente, a causa della emozione per la sospirata unificazione e per quella di avere un re, sul qui pro quo, in Italia, dove si è sempre lasciato correre, non si era stati tanto a sottilizzare. Era stata riconosciuta per pubblica una numerazione strettamente familiare, o comunque limitata al regno di Sardegna, che non poteva essere trasferita al regno d'Italia.

Non sono questi però gli aspetti che qui interessano, ma quello dei matrimoni ai quali, nei vari secoli, erano state destinate le giovani pulzelle della famiglia. E' per loro merito che i Savoia si erano imparentati sia con famiglie europee di più alto rango, sia anche con l'impero bizantino, dove una di loro era finita sposando un imperatore.
E, proprio la prima delle Savoia, Berta (1066), aveva esordito con un matrimonio imperiale. Essa era stata data in moglie a Enrico IV, appena divenuto maggiorenne (l'imperatore che si era recato dal papa Gregorio VII, a Canossa, per chiedere perdono e ottenere la revoca della scomunica), che diventerà imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. Il matrimonio però non fu felice, tanto che tre anni dopo Enrico pensava di divorziare. Dovette rinunciare in quanto il papa gli aveva fatto sapere che non lo avrebbe incoronato imperatore. E non era finita con Berta. La sorella Adelaide, aveva sposato Rodolfo di Svevia, concorrente del cognato, perché anch'egli aspirante al S. R. I. G. . Dopo una generazione, altre due sorelle Agnese e Adelaide (Alice), figlie di Umberto II (detto il Rinforzato), andarono in moglie, Agnese, ad Aimone II di Borbone e Adelaide (Alice) a Luigi VI il Grosso (o Batailleur l' Eveillé) re di Francia (penultimo dei Capetingi).
Saltata una generazione, nel 1146 troviamo la prima Mafalda (Matilde), che sposa Alfonso I, re del Portogallo.
Due generazioni dopo, il ramo di Savoia si dividerà in tre ramificazioni, vale a dire: nel ramo d'Acaia, con Tommaso III, primogenito di Tommaso II; di Savoia, con il secondogenito, Amedeo V; e di Vaud, con il terzogenito Ludovico I.
Nel ramo d'Acaia troviamo Margherita la Beata (1390-1464), figlia di Amedeo il quale aveva due fratelli legittimi. Essi sono gli ultimi esponenti di questo ramo. Costoro avevano anche un fratello illegittimo che darà luogo al ramo di Busca. Margherita, era stata data in sposa all'età di tredici anni, al marchese del Monferrato, Teodoro II Paleologo. Dopo la morte del marito e il raggiungimento della maggiore età dell'unico figlio, Giovanni, si era ritirata ad Asti, riducendo il suo palazzo in monastero e abbracciando la regola di s. Domenico. Fu beatificata nel 1676.
Nel ramo di Vaud, nella terza generazione, troviamo Caterina, la penultima di questo ramo, anch'esso estinto, che sposerà (1333) Azzo Visconti.
Nel ramo di Savoia, la figlia di Amedeo V, conte di Savoia, detto il Conte Grande, Giovanna, va in sposa all'imperatore di Bisanzio, Andronico III Paleologo (1326). Ella al momento del matrimonio cambiò il nome in Anna. Il marito morirà nel 1341 e Anna assunse la reggenza per il figlio Giovanni V. Anna fu coinvolta nella ribellione di Giovanni Cantacuzeno, il quale si era proclamato imperatore col nome di Giovanni VI.
Nel momento i cui questo si insediò a Costantinopoli, Anna, che pur provenendo dalle montagne della Savoia si era adeguata all'ambiente cospiratore della corte bizantina (v. il saggio Intrighi ecc., alla Corte di Bisanzio), seppe manovrare per far sposare il figlio con la figlia dell'usurpatore, in modo da far regnare ambedue gli imperatori. Non si fermò qui. Riuscì a indebolire la potenza dei Cantacuzeno, costringendo Giovanni VI ad abdicare e chiudersi in convento (1354).
Tornando al ramo di Savoia (come detto, secondario rispetto al principale d'Acaia estinto), Giovanna, nipote di Amedeo V, figlia cioè del primogenito Edoardo il Liberale, sposa nel 1329, Giovanni III di Bretagna. Essa è anche l'ultima di questa primogenitura.
Discendendo dal secondogenito, Aimone il Pacifico, passando per il Conte Rosso e il Conte Verde, ci ritroviamo con un altro Pacifico, Amedeo VIII. Costui, per quanto fosse stato pacifico, pur non essendo dotato di fisico eccezionale, è stato l'esponente di spicco della famiglia. Egli aveva corroborato la potenza del casato, facendogli spiccare un bel salto di qualità. Con lui la famiglia comitale era diventata ducale. Aveva ingrandito il dominio feudale con le terre piemontesi, assorbendo il principato di Acaia, nel frattempo estinto. Aveva partecipato alla coalizione contro i Visconti, acquisendo alla casa, senza combattere e con un accordo con Filippo Maria Visconti (di cui aveva sposato una figlia e al quale aveva dato in moglie la propria figlia), Vercelli e accorpando ai territori posseduti altri territori piemontesi.
Alla fine, dopo aver nominato luogotenente il figlio Ludovico, si ritirò a vita monastica fondando l'Ordine di s. Maurizio. Per questa pacifica scelta, fu ulteriormente gratificato con la nomina, da parte del Concilio di Basilea (che aveva rotto con il papa Eugenio IV), della sua elezione a papa, col nome di Felice V (era però antipapa). Amedeo aveva coperto questa carica per ben dieci anni (1439 al 1449).
Amedeo VIII, oltre a un prolifico primogenito, Ludovico (sei figli), aveva avuto due figlie. La prima, Maria, diciassettenne, abbiamo visto, nel 1428 era andata in moglie a Filippo Maria Visconti. La seconda, Margherita (1420-1479), nella sua non lunga esistenza di cinquantanove anni aveva affrontato ben tre matrimoni ùdi alto livello.
In prime nozze, a dodici anni sposa (meglio, è fatta sposare!) a Luigi III d'Angiò (1432). E' chiaro che i matrimoni impuberi erano dovuti a intrecci della politica, ma, sotto l'aspetto fisico, al fatto che all'epoca superati i venticinque anni le donne erano bell'e invecchiate). In seconde nozze, a ventiquattro anni (1444), sposa Ludovico IV di Wittelsbach, e in terze nozze, a trent'anni (1450), diventa moglie di Ulrico di Wurttemberg.
Il prolifico Ludovico, di sei figli, aveva avute tre femmine. Bona, diciannovenne, nel 1468 sposa Galeazzo Maria Sforza. La sorella di questa, Margherita, in prime nozze sposa Giovanni IV di Monferrato e in seconde nozze Pietro di Lussemburgo, conte di Saint Paul. Infine, la terza sorella Carlotta, batte ogni record: alla giovanissima età…di dieci anni (nata nel 1441 si sposa nel 1451), diventa moglie del Delfino di Francia, che diventerà Luigi XI e sarà madre di Carlo VIII.
Una nipote di queste tre sorelle (figlia quindi del loro fratello Amedeo IX il Beato), Anna, va in sposa a Federico d'Aragona, mentre un'altra nipote, Luisa (n. 1476), figlia del fratello Filippo II Senzaterra, va in sposa (1488) a dodici anni a Carlo d'Angouléme e sarà madre di Francesco I di Francia e di Margherita d' Angouléme. Costei sposa Enrico d' Albret e sarà nonna di Enrico IV, ma sarà contemporaneamente prozia di Margherita di Valois (nipote discendente di Francesco I) che sposa Enrico IV. Luisa muore a cinquantacinque anni (1531), che per l' epoca, specie per una donna, era un fatto eccezionale.
Saltando tre generazioni, alla quarta, troviamo le due figlie di Carlo Emanuele I (1580-1630): Margherita, va in sposa (1608) a Francesco Gonzaga di Mantova e Isabella sposa nello stesso anno il duca di Modena, Francesco d'Este.
In questo stesso ramo, l'albero si divide ulteriormente. Da una parte con Vittorio Amedeo I, prosegue il ramo di Savoia e con Tommaso Francesco, principe di Carignano, ha inizio appunto il ramo di Carignano, che arriva ai nostri giorni.
E' però il ramo principale dei Savoia che continua a fornire giovinette per i matrimoni. Infatti, con un ulteriore salto di quattro generazioni (da Carlo Emanuele I), troviamo due figlie di Vittorio Amedeo II che sposano due fratelli. Maria Adelaide (n. 1685), dodicenne, sposa (1697) Luigi duca di Borgogna e Maria Luisa Gabriella (n.1688), un po' più vecchia della precedente (tredicenne), va in sposa (1701) al diciottenne Filippo V di Spagna.
Maria Adelaide, quando fu mandata presso la corte francese nel 1696, fu accolta e vezzeggiata da Luigi XIV e dalla sua amante Maintenon, che , morta la regina, era diventata la moglie segreta del re (v. l' art. Amanti e favorite del Re Sole e di Luigi XV).

La bambina si era subito adattata al nuovo ambiente mostrandosi sensibile ed affettuosa. Appena arrivata, saltando sulle ginocchia della Maintenon ed accarezzandole il viso, l' aveva chiamata <mia buona zia>. La Savoia era stata affidata alle cure della Maintenon, che doveva educarla a diventare, come duchessa di Borgogna, una dama di rango. Lo sposo, Luigi di Borgogna. era il delfino e da Maria Adelaide avrà due figli: il primo Luigi di Bretagna ed il secondo sarà Luigi XV grazie alla morte del fratello primogenito. Nel 1712 vi era stata un' epidemia di rosolia, che aveva falcidiato parecchi membri della famiglia reale, particolarmente le tre generazioni che andavano dal Delfino (nonno) a Luigi di Borgogna (figlio) e Luigi di Bretagna (nipote), per cui la corona di Luigi XIV (che era bisnonno) andò a Luigi secondogenito del nipote di Luigi di Borgogna (v. Genealogie).

Filippo V di Spagna era duca d' Angiò, fratello del duca di Borgogna, ed era stato chiamato sul trono di Spagna da Carlo II. Maria Luisa Gabriella morirà dopo avergli dato due figli, morti in giovane età, e avrà assicurata la discendenza sposando in seconde nozze Elisabetta Farnese (v. Genealogie).

E, ancora, le due nipoti delle precedenti due sorelle, figlie di Vittorio Amedeo III, Giuseppina (n.1753), ventenne, va in moglie (1771) a Luigi di Provenza che diventerà Luigi XVIII e Maria Teresa (n.1756), diciassettenne, diventa moglie (1773) di Carlo d'Artois, poi Carlo X di Francia e gli darà due figli, Luigi duca d' Angoulème e Carlo duca di Berry. Il fratello di queste, Carlo Emanuele IV sposa Maria Clotilde di Borbone, sorella di Carlo X (e di Luigi XVI e XVII).
Infine, ben quattro nipoti di queste, figlie di Vittorio Emanuele I, (primo re di Sardegna) chiudono, con un exploi finale, degnamente e definitivamente, il ramo di Savoia che si estingue: Beatrice (n.1792) va in sposa, ventenne (1812), a Francesco IV di Modena (Casa d'Este); Maria Teresa (n. 1756), diciassettenne (1820), sposa Carlo Ludovico di Lucca; Marianna (n.1813) sposa l'imperatore d'Austria Francesco I d'Absburgo, e Maria Cristina (n.1812), ventenne, sposa il ventiduenne Ferdinando II di Borbone, re delle due Sicilie (1832). Costei era stata educata in un ambiente famigliare, fervidamente religioso e voleva continuare per questa strada, tanto che, quando incominciarono a parlarle del monarca delle due Sicilie, rispondeva che non era nata per le gioie del mondo e che avrebbe meglio apprezzato il ritiro in un chiosco.
Ma in famiglia e da parte del suo confessore, ebbe tali pressioni che, per obbedienza cristiana, si convinse a sposare il re, andando all'altare con un pallore mortale. Ma già dopo qualche giorno si notò dal suo viso radioso che il matrimonio le aveva dato una scrollata benefica.
Arrivata alla Corte di Napoli, Maria Cristina aveva trovato un'atmosfera molto più vivace del plumbeo ambiente da cui proveniva. Nella famiglia borbonica, tra i giovani principi fratelli del re, (regina madre compresa che, per gli uomini, pare avesse occhi un po' troppo rapaci), serpeggiavano comportamenti libertini. Maria Cristina, non solo riuscì a riportare in tutta la famiglia una maggior moderazione, ma anche a influire particolarmente sul re, il quale si diede a opere di carità e beneficenza. Con la conseguenza che i napoletani dovettero subire anche una ventata di puritanesimo.
Purtroppo la regina non ebbe vita lunga, morì dopo aver generato il futuro Francesco II, di febbre puerpuerale, come si diceva a quei tempi, a ventiquattro anni. In una terra dove i miracoli, anche di sopravvivenza, avvengono tutti i giorni, non mancarono di attribuirgliene già da quando era in vita.
Estinto il ramo di Savoia, rimaneva quello di Carignano. Dal primo esponente di questo ramo, Tommaso Francesco si ebbero due ramificazioni. La secondogenita, dei conti di Soissons, estinta, rimanendo solo quella dei Carignano che per cinque generazioni, fino a Carlo Emanuele padre di Carlo Alberto, non era stata molto prolifica, e comunque non procreò pulzelle.
Carlo Alberto avrà due figli, Vittorio Emanuele II e Ferdinando duca di Genova che dopo due generazioni si estinguerà. Vittorio Emanuele II avrà quattro figli di cui due femmine, Maria Clotilde (n.1843), sedicenne (1859), sposerà Giuseppe Girolamo Bonaparte, e Maria Pia, quindicenne, sposerà (1862) Luigi I, re del Portogallo.
Dai due maschi, da Umberto I (che sposerà la cugina quindicenne Margherita, figlia dello zio Ferdinando duca di Genova), proseguirà il ramo di Carignano (detto di Savoia), da Amedeo I, quello di Aosta.

L'articolo, dovrebbe fermarsi a questo punto per non entrare nella storia contemporanea, che, dopo gli sconvolgimenti dei primi del secolo appena trascorso, ha visto spazzare via la maggior parte di imperi e reami, con la conseguenza che non si potrà più parlare di matrimoni politici.
Ora, con la fine delle monarchie e la democratizzazione delle poche regnanti, i matrimoni avvengono per amore (con la conseguenza che quando cessa l'amore sorgono i problemi pubblicizzati dalla stampa!), normalmente tra esponenti di famiglie reali e di famiglie borghesi (ne sono esempi l'attuale Vittorio Emanuele che ha sposato una borghese, o la Casa reale inglese, dove i matrimoni con borghesi sono diventati quasi una norma, o la Casa di Spagna nei più recenti matrimoni). Oppure, si possono avere matrimoni di prestigio, che avvengono tra esponenti dello stesso rango, evidentemente per mantenere il prestigio che i rappresentanti di quelle famiglie portano con sé da secoli (per approfondire v. l'art. Blasoni, Corone e Nobiltà).
Si ritiene quindi di concludere con le quattro figlie di Vittorio Emanuele III, note per le vicissitudini collegate all'ultima guerra. Iolanda (n. 1901), ventiduenne, aveva sposato il conte Giorgio Calvi di Bergolo (1923), Mafalda (n.1902) andava in moglie a Filippo d'Assia, Giovanna (n.1907) a trent'anni (1939) sposava Boris III di Bulgaria (della casa Sassonia-Coburgo-Gotha) e Maria (n.1914), venticinquenne, sposava Luigi di Borbone-Parma.

 

FINE

torna su
indice