La città preesisteva dal VII sec. (650 a. C.), costruita
da Byzas uomo di mare, considerato figlio di Nettuno. Era stata
popolata dai suoi seguaci provenienti da Argo e Megara. Essa si
trovava su un promontorio (Corno d'Oro) circondato dal mare, a
nord dal Bosforo, a sud dal mar di Marmara (per gli antichi Propontide).
Successivamente era stata ricostruita e fortificata dal generale
spartano Pausania.
Era un importante centro commerciale favorita dalla posizione
dominante sul Bosforo e l'Ellesponto, vale a dire le coste dell'
Europa e dell' Asia, che racchiudono da una parte il Mar di Marmara,
famoso per la pescosità delle sue acque (come oggi lo è
per l'inquinamento), dall'altra l'Ellesponto (Dardanelli) dove
si poteva impedire l'accesso al mar di Marmara. Erano le due porte
del mare, che si potevano chiudere all'accesso delle navi nemiche.
Il clima era salubre, il terreno fertile, vi erano sette colli
come a Roma (ma erano stati realizzati artificialmente), l'accesso
dalla terra era facilmente difendibile.
L'imperatore Costantino (306-337) aveva pensato di creare una
città nuova per dare un taglio definitivo a Roma, oramai
in decadenza, dove la popolazione era in forte discesa (da un
milione era ridotta a trentamila abitanti), il potere era accentrato
nelle mani del decrepito e paludato Senato, che come una piovra
non lasciava molto spazio alle iniziative degli imperatori.
In un primo momento Costantino aveva scelto la pianura sottostante
l'antica Troia, che suscitava memorie di imprese eroiche e dalla
quale i romani derivavano la loro origine. Ma, oltre al richiamo
agli eroi, vi era quello agli dei che il cristianesimo voleva
far dimenticare (i suoi consiglieri erano sacerdoti cristiani!).
Erano appena iniziati i primi lavori quando cambiò idea
in maniera repentina. Con la componente divina e magica con cui
molto spesso giustificava le sue decisioni (sogni o visioni come
l'apparizione celeste dell' <in hoc signo vinces> che aveva
raccontato di aver sognato), anche questa volta aveva detto che
Dio gli si era presentato in sogno e gli aveva ordinato di scegliere
un altro posto.
Costantino si era indirizzato in Calcedonia, sulla sponda asiatica
di fronte a Bisanzio, ma un volo di aquile non si mostrò
d'accordo su quest'altra scelta. Le aquile infatti avevano rubato
una cordicella che serviva per le misurazioni dei progettisti
e l'avevano portata sull'altra riva, dove si trovava l'antica
città. Il destino di Bisanzio era stato finalmente deciso.
Quando si accingeva a costruire (in effetti si era trattato di
ricostruzione e di ampliamento) la Nuova Roma, fece sapere ai
posteri, scrivendolo in una legge, che aveva ubbidito a un comando
di Dio, senza però riferire in che cosa fosse consistito
il messaggio divino.
Come scrive Gibbon, furono gli scrittori posteriori a farsene
carico e raccontare di una visione notturna che Costantino aveva
avuto mentre dormiva a Bisanzio.
Fu così raccontato che Costantino aveva sognato il <genio
tutelare della città> che, sotto le vesti di una matrona
appesantita dagli anni e dalle infermità, venne trasformata
in florida fanciulla che egli aveva ornato con i simboli della
grandezza imperiale.
Costantino, non potendo seguire il costume romano e fare una cerimonia
pagana, essendo in fondo alla sua anima rimasto pagano, guidò
a piedi una processione con una lancia in mano, indicando quale
sarebbe stato il tracciato delle nuove mura della città.
La circonferenza però era molto ampia e qualcuno osò
farglielo notare, ma lui impavido rispose che avrebbe continuato
<finché Egli, l'invisibile guida che gli camminava davanti,
non si sarebbe fermato>!
La città fu ricostruita, in dieci anni (324-334), per la
fretta nel costruire si verificavano dei crolli. Anche la cupola
della chiesa di s. Sofia crollò a causa di un terremoto
(che erano frequenti in quella zona) ma fu subito ricostruita.
Le nuove mura furono dette di Costantino. Ma la città era
in continua espansione e fu necessario fare un'altra cerchia,
la più esterna, che fu costruita da Teodosio II (413-439-447),
con filopatio (porticato) interno ed esterno. Queste mura si congiungevano
con quelle che chiudevano la città dalla parte del mare.
La città era quindi chiusa da un possente anello di mura.
L'accesso avveniva attraverso trentaquattro porte.
Bisanzio era attraversata da due strade principali. La via trionfale
che partiva dalla Porta Aurea e sfociava sulla via Mese; prima
di giungere alla via Mese, la via Trionfale attraversava due piazze,
il foro Arcadio e il foro Boerio. Via Mese proveniva da nord-ovest,
dalla Porta Carsio o di Adrianopoli. Le due vie si congiungevano
al Filadelfio e proseguivano, formando una ipsilon, attraversando
il forum Tauri o di Teodosio e il foro di Costantino, che era
a forma ovale e aveva un porticato con duplice colonnato (come
quello fatto successivamente per s. Pietro a Roma), che si trovava
anche ai lati delle stesse vie. Sulla piazza affacciava il palazzo
del Senato.
La strada proseguiva giungendo alla chiesa di s. Sofia e all'ippodromo
con l'Augusteon o corte di palazzo, così detta perché
era dominata da una colonna di porfido con la statua della imperatrice
Elena, madre di Costantino, da lui nominata Augusta.
La chiesa di s. Sofia nei secoli successivi subirà due
distruzioni causati da incendio, verso la fine del IV sec. e nel
532, durante la rivolta di Nika (v. Intrighi, complotti ecc. P.
sec., sez. II). Fu ricostruita da Giustiniano (537) che, ad evitare
ulteriori incendi, fece sostituire tutto il legno, ad esclusione
delle sole porte, con pietre e marmi, rendendola ancora più
bella. Il suo splendore non aveva uguali.
L'edificio a croce greca iscritta in un quadrato ha una cupola
centrale sulla quale la mezzaluna, dal 1453 (caduta di Costantinopoli)
ha sostituito la croce latina. Essa è illuminata da ventiquattro
finestre e poggia su quattro massicci pilastri formati da grossi
blocchi di pietra quadrati e triangolari, stretti con cerchi di
ferro e cementati con piombo e calce viva. Il peso della cupola
fu alleggerito dall'uso di materiale come pomice e mattoni di
Rodi che erano cinque volte più leggeri dei mattoni normali.
Oltre alla grande cupola centrale, ve ne sono due maggiori e sei
minori. Le colonne, balaustre, pavimento furono fatti con preziosi
marmi policromi. La balaustra del coro, i capitelli delle colonne
e gli ornamenti delle gallerie furono fatti in bronzo dorato.
La tribuna conteneva quarantaduemila libbre (circa 450 gr. per
libbra) d'argento. I vasi e gli arredi sacri dell'altare erano
d'oro puro incastonati con gemnme preziose (per il saccheggio,
v. l'articolo Veneziani intraprendenti ecc.).
In questa chiesa avevano luogo le incoronazioni e tutte le più
importanti manifestazioni religiose. Annesso alla chiesa di s.
Sofia, era il palazzo del patriarca.
Dall'ippodromo partivano le mura di cinta della cittadella imperiale,
che era direttamente collegata con la tribuna o podio imperiale.
L'ippodromo, o circo, era di una bellezza incomparabile. Lungo
quattrocento passi e largo cento (cinquecento metri per centocinquanta),
poteva ospitare tremila persone ed era pieno di statue e obelischi.
Le vicine terme, abbellite da Costantino, erano state ornate da
colonne di marmo di vario colore e da oltre sessanta statue di
bronzo. Di bagni pubblici in città ve ne erano otto e di
privati centocinquanta. Statue e opere d'arte erano state fatte
portare da tutte le parti dell'impero. Le cave di marmo bianco
dell'isola di Proconneso davano lavoro a tutti gli artigiani e
operai disponibili. Poiché gli artigiani utilizzati non
bastavano a smaltire i lavori commissionati, Costantino ordinò
ai magistrati delle più lontane province di fondare scuole
e attirarvi, anche con premi, allievi, perché fossero istruiti
nell'arte scultorea e nell'architettura.
Sulle colline digradanti dalla piazza dell'Atmeidan (ippodromo)
verso il mar di Marmara, vi era il palazzo imperiale denominato
Boukoleon, in quanto Giustiniano nel suo appartamento aveva posto
una statua che rappresentava la lotta di un toro con un leone,
da bous (toro) kai (e) leon (leone). Il nome esteso a tutto il
complesso degli edifici era stato frainteso dai francesi e chiamato
bouche-de-lion (bocca di leone).
Il complesso della cittadella era un intrico di palazzi e numerosi
edifici, con il complesso delle vecchie caserme e delle prigioni
(ex bagni pubblici), uffici della burocrazia, scuderie, che nel
loro insieme costituivano il Grande Palazzo al quale si accedeva
attraverso la Porta Bronzea. Tra questi vi erano, il palazzo di
Khalkha e Magnaurion, il Tribunale dei Diciannove Letti, usato
per banchetti e a volte per le incoronazioni.
Vi era una sala, la Porphira, interamente rivestita di porpora
dove partorivano le imperatrici (dal che il nome di <porfirogenito-nato
nella porpora> preso da alcuni imperatori), il Crysatriclinum,
la Sala d'Oro, una sala per banchetti per 300 posti.
Il palazzo della Dafne (prendeva il nome da una statua di Dafne,
portata da Roma), il Sacro palazzo, la dimora privata dell'imperatore
e della sua famiglia, che non era che un susseguirsi di sale sfarzose
(ve n'erano cinquecento) intercomunicanti, impreziosite da mosaici
aurei e una trentina di cappelle lastricate di marmo liscio come
cristallo. In esse si concentrava il massimo dello splendore,
vi era oro a profusione come il trono in oro massiccio, d'oro
era il soffitto delle sale private, arredate con preziosi tappeti
di seta, ornate di porpora e rivestite di tappezzeria di seta,
con i mobili (armadi e cassettoni) di ebano e madreperla incastonata,
i pavimenti erano in mosaici aurei. Porte d'avorio su guide d'argento
chiudevano gli appartamenti imperiali.
In tutto questo sfarzo si muovevano come ombre, centinaia di servi
ed eunuchi (qualunque distrazione, come far cadere un vassoio,
era punito con la decapitazione).
Il palazzo era collegato all'ippodromo da una galleria coperta.
In quei pressi vi era la Chiesa Nuova. Più a nord il campo
di polo.
Da Costantino in poi, non vi fu imperatore che non avesse abbellito
con qualche edificio nuovo il complesso imperiale con costruzioni
d'ogni genere.
Appartamenti fatti per i ricevimenti, padiglioni immersi nel verde
con piante di querce, platani e piante che spargevano un intenso
profumo narciso e di rosa, fontane con giochi meccanici che lasciavano
i visitatori pieni di stupore, laghetti, piscine e biblioteche.
D'oro era la carrozza dell'imperatore tirata da muli bianchi,
i cui finimenti erano tutti ricoperti d'oro. Di porpora con ricami
d'oro erano le vesti dell'imperatore che ornava la testa con un
diadema o con una corona d'oro con pietre preziose (*).
Il Bukoleon si affacciava sul piccolo porto del Boukoleon, riservato
al palazzo. A fianco vi era il porto di Sofia con magazzini, il
quale era circondato da mura anche dalla parte del mare. Ai porti,
tanto dal lato del Corno d'oro, quanto dalle rive della Propontide,
arrivavano navi da tutte le parti del mondo, dalla Germania e
Scizia arrivava legname, dall' Europa e dall' Asia manufatti,
dall'India gemme e spezie, dall'Egitto grano, con tutta una folla
cosmopolita
<era come se il mondo si fosse dato appuntamento
a Bisanzio> (1).
Non vi era luogo che non avesse lunghe gallerie (vi erano cinquantadue
portici) con terrazze, dalle quali la vista si stendeva sul Bosforo
e sul mar di Marmara. Scale, torri, giardini, palazzi (quattordici)
e case (4.388) che per la loro architettura si distinguevano da
quelle della plebe. Tutto disposto senza simmetria, senza un progetto
d'insieme, ma ricco d'incanto, fantasia e magnificenza.
La città era splendida, le ville dei nobili avevano bagni
di marmo e pavimenti pregiati.
La via Mese, il foro del Toro e il foro di Costantino, erano circondati
da porticati, con le botteghe disposte sotto i portici. Era il
bazar, con i tavoli dei cambiavalute coperti di monete, con i
droghieri che vendevano carni, pesci salati, farina, formaggi,
legumi, olio, burro, miele e i venditori di profumi. Lo spettacolo
era quello del folklore orientale che si respira oggi nella stessa
Istambul o al Cairo o a Tunisi (tolto il traffico caotico e inquinante!).
A Nord, sul versante orientale dell'Acropoli, vi era il complesso
dei Mangani che prendeva il nome dell'arsenale di macchine da
guerra, che comprendeva un palazzo, un ospedale e la chiesa di
s. Giorgio, costruiti da Costantino IX (1042-1055). Sulla punta
orientale del promontorio, affaccianti sul Corno d'oro, vi erano
il gran Serraglio e verso ovest il quartiere dei genovesi (subito
dopo il Serraglio), e, proseguendo, quello dei pisani e quello
dei veneziani.
Infine, nell'amgolo di Nord-est della città vi era il palazzo
imperiale delle Blacherne, addossato alle mura della città,
dove l'aria era più salubre e si dominava la campagna e
il Corno d'Oro. Quì si trasferì la Corte da Alessio
I dal 1118 in poi. Non molto lontano, fuori le mura era il Philopation,
la villa di campagna e ritrovo di caccia, circondata da boschi.
Gli imperatori si trasferiranno alle Blacherne e il Boukoleon
rimarrà come residenza di rappresentanza. Verrà
in seguito poco alla volta abbandonato, tanto che Mehemet II,
quando conquistò la città nel 1453, trovò
la città imperiale in rovina, e su quelle rovine recitò
i versi del poeta persiano Firdausi <il ragno nel palazzo tesse
la ragnatela e la civetta grida sulle torri>.