La popolazione degli Unni, quando si affacciò in
Europa, aveva alle spalle una storia millenaria e molto complessa
dal punto di vista etnico, per i molteplici incroci con altre
popolazioni.
Gli Unni, in epoca preistorica, avevano abitato la Siberia e successivamente
avevano rappresentato il maggior pericolo per la Cina, dove l'imperatore
della dinastia Ch'in, Shi Huang-ti intraprese la costruzione della
Grande Muraglia per fermarli, separando così la Cina dalle
steppe eurasiatiche.
Della Grande Muraglia, alcuni pezzi (iniziati nel 367 e 346 a.
C.) già esistevano e l'imperatore pensò di completarli
(246 a. C.) con un lavoro titanico. I lavori furono eseguiti di
giorno e di notte senza interruzione. Quando gli uomini non bastavano
si utilizzavano prigionieri di guerra e criminali. Le condizioni
erano molto dure perciò molti morivano e i cadaveri venivano
sepolti nel terrapieno della muraglia. Alla fine l'opera fu compiuta.
Era lunga seimila chilometri, l'altezza del muro andava da cinque
a dieci metri, le torri andavano da sessanta a cento metri l'una
dall'altra. Essa non serviva molto allo scopo, perché,
ponendo alle torri piccoli distaccamenti, questi sarebbero stati
annientati; distaccamenti più consistenti per ogni torre,
avrebbero lasciato gli intervalli sguarniti. Quest'opera titanica
in ogni caso non riuscì a fermare gli Unni (Xiongnu).
Cessato il pericolo ad oriente, dopo aver occupato le regioni
degli Altai, ai confini tra Russia, Mongolia e Cina, verso la
fine del II sec. (d.C.) gli Unni emigrarono spargendosi nelle
pianure del Volga e del Danubio. Occupando le sponde settentrionali
del mar Nero e mar Caspio, incalzarono Goti e Vandali che a loro
volta invasero le province romane. Nel V sec. si scissero in varie
tribù, di cui alcune andarono a stabilirsi a sud del mar
Nero, nella zona dell'odierna Bulgaria e in Macedonia, altre a
nord dell'Ungheria. Continuando nelle mescolanze etniche, lasciarono
il loro sangue in eredità agli ungheresi, bulgari, turchi
e altre popolazioni.
Nel periodo del loro arrivo in Europa erano considerati, con molta
esagerazione, tra i più barbari che fosse stato dato conoscere.
La tribù di Attila, il cui capo era uno zio, Rugilas, era
insediata entro i confini dell'Ungheria. Dal generale romano Ezio,
ebbero il possesso della Pannonia. Gli storici dell'epoca li descrivevano
con lo stesso terrore che essi incutevano ai nemici, raccontando
di abitudini che non corrispondevano esattamente alla realtà,
come quella loro attribuita, <di tagliare il viso ai bambini
sulle due guance in modo da non far crescere la barba>, e che
<le ferite che rimanevano per sempre oltre a non far crescere
la barba facevano venire le rughe anzitempo sì che il viso
rimaneva glabro e precocemente invecchiato>. Erano forti e
robusti di costituzione. Di corpo erano tozzi con collo taurino,
avevano le gambe curve e camminavano curvi. La loro bruttezza
e deformità li faceva somigliare ad animali bipedi.
Si raccontava che <Non usavano il fuoco. Si nutrivano di radici
e di carne cruda che riscaldavano tenendola tra la coscia e il
dorso del cavallo che non lasciavano mai, e quando scendevano
per dormire o mangiare gli rimanevano vicino stando appoggiati
al suo collo. Dormivano anche in questa posizione non avendo capanne
o posti dove ripararsi, all'infuori dei carri che trasportavano
donne e bambini. Vagavano continuamente tra boschi e montagne,
abituati sin dalla nascita a sopportare gelo, fame, sete e tutte
le avversità. I loro vestiti erano fatti con lino e avevano
tuniche fatte con pelli di topi selvatici che usavano fino a quando
non erano ridotti in brandelli>
C'era anche chi li riteneva <discendenti da streghe che erano
state scacciate dai Goti, che si erano accoppiate con gli immondi
spiriti dei deserti, dando origine a questa razza, la più
feroce di tutte. I primi esseri vagolavano tra le paludi, tetri,
gracili, quasi simili all'uomo, riconosciuti per qualcosa che
rassomigliava al linguaggio dell'uomo. Gli Unni riescono ad avere
ragione anche di quelli che sul campo, magari, sarebbero vinti
a stento, col terrore che ispirano. D'un nero orribile, l'aspetto;
non faccia, ma se così si può dire, come una massa
informe di carne, non occhi ma due buchi. E' quel loro terribile
sguardo a tradirne la proterva ferocia che li fa incrudelire persino
sui figli, dal primo giorno di vita, quando ai maschi tagliuzzano
le guance perché imparino a sopportare le ferite, già
prima del gusto del latte. Sono piccoli ma ben formati, agili
e adatti a cavalcare. Larghi di spalle, arco e frecce sottomano,
il loro portamento è fiero, la testa sempre orgogliosamente
alta. Ma sotto la figura d'uomini, vivono in una degradazione
come bestie >.
In combattimento attaccavano in schiere a forma di cuneo. Dopo
aver attaccato si disperdevano assalendo i nemici alla rinfusa
procurando tra loro gravi perdite. La tattica era quella di stancare
il nemico che cedeva appunto per stanchezza. Le loro armi erano
costituite da un arco potentissimo con frecce che riuscivano a
forare le corazze romane a cento metri di distanza, e il lazo.
Ricoprivano gli avversari di frecce e li afferravano col lazo
con cui gli toglievano la possibilità di camminare o cavalcare.
Arrivavano anche nell'accampamento nemico velocemente e senza
lasciarsi vedere e altrettanto rapidamente si ritiravano.
Alla morte di Rugilas gli successero i due nipoti, Attila e il
fratello Bleda che dovevano dividere il regno. Per Attila non
vi furono problemi perché uccise il fratello, impossessandosi
della sua parte.
Attila era figlio di Mundzuk e discendeva da quegli Unni che avevano
combattuto contro i monarchi cinesi. Aveva i caratteri somatici
del suo popolo, cioè testa grossa, carnagione olivastra,
occhi infossati, mobili e saettanti, naso camuso (schiacciato),
viso con pochi peli, corpo quadrato, piccolo di statura e di forza
nerboruta. Aveva la consapevolezza di essere un re e il suo incedere
e portamento erano alteri.
Attila aveva acume ed era stato uno dei primi ad usare armi psicologiche
per suscitare maggior terrore nei nemici. Per questo lo consideravano
flagello di Dio. Egli però in guerra si comportava ammazzando,
incendiando e distruggendo, né più né meno
come i capi delle altre tribù o degli altri eserciti, non
solo così detti barbari, ma anche cristiani (si legga del
saccheggio di Costantinopoli nell'articolo: Veneziani intraprendenti.
La prima e quarta crociata; e il saggio: Intrighi, complotti e
colpi di Stato alla Corte di Bisanzio; si rileverà con
quanta facilità presso quella Corte raffinata, si tagliavano
la lingua e il naso (1) o si strappavano gli occhi o si toglieva
la pelle alle persone, atrocità che Attila non commetteva).
Aveva trovato anche il modo di accrescere il suo ascendente sul
suo e sugli altri popoli, mostrandosi dotato di capacità
soprannaturali.
Si era verificato, infatti, che, sulla scorta della religiosità
degli Sciti che avevano come nume tutelare una scimitarra, un
pastore Unno aveva notato che una giovenca che pascolava in un
prato era ferita. Seguendo le tracce del sangue aveva trovato
nell'erba alta la punta di un'antica spada che estrasse dalla
terra e consegnò ad Attila. Il re accettò la spada
come un favore celeste, considerandosi legittimo possessore della
<spada di Marte> che gli dava il sostegno divino per regnare
su tutta la terra.
Il suo regno era vastissimo avendo sottomesso e acquisito i territori
dei Gepidi e degli Ostrogoti che comprendevano la Germania e la
Scizia, con i confini che si estendevano grossomodo dalla Germania
alle rive del mar Nero e mar Caspio.
In periodo di tregua Attila aveva posto il suo accampamento (in
effetti, era da considerare un grosso villaggio), nelle pianure
dell'Ungheria superiore, a occidente di Buda e del Danubio, nelle
vicinanze di Jaszbereny.
Le case erano in legno lavorato secondo il gusto dei proprietari,
disposte con un certo ordine e simmetria (ricordiamo che la maggior
parte delle costruzioni dell'epoca, castelli compresi era in legno).
Il suo palazzo, anch'esso in legno, superava tutti gli altri in
grandezza e occupava una grande area. Il recinto esterno era formato
da una palizzata fatta con assi di legno e intersecata da torri
che avevano più che altro funzione ornamentale.
Questa palizzata conteneva una grande quantità di case
di legno ad uso della corte. L'unica costruzione in pietra erano
i bagni. Una casa a parte era assegnata a ciascuna delle sue mogli.
La casa della regina favorita, di nome Cerca, era costruita in
legno spesso, con colonne rotonde, il tutto artisticamente lavorato,
lucidato, tornito e inciso. Cerca, utilizzava un letto morbido
e il pavimento era coperto da un tappeto.
La sua vita trascorreva con i familiari che formavano un cerchio
attorno a lei e ragazze della tribù sedute in terra intente
a eseguire ricami di vari colori che ornavano gli abiti dei guerrieri.
I finimenti dei cavalli, le loro spade e perfino le loro scarpe
erano guarnite d'oro e di pietre preziose razziati ai nemici (Attila
si faceva pagare solo ed esclusivamente in oro) e le loro tavole
erano riccamente imbandite con piatti, bicchieri e vasi d'oro
e d'argento, frutto delle loro vittorie.
Solo Attila era orgoglioso di restare sempre fedele alla sua semplicità.
Le vesti e i finimenti del suo cavallo erano semplici, senza ornamenti
e di un solo colore. La tavola reale non ammetteva che piatti
e bicchieri di legno. Egli mangiava solo carne e non si era mai
concesso il lusso del pane.
I banchetti di rappresentanza avvenivano in una sala spaziosa,
nel mezzo della quale si levavano su vari gradini la tavola e
il letto reale coperto di tappeti e fine biancheria. Due file
di piccole tavole per tre o quattro persone erano ordinate ai
due lati, la fila di destra era considerata la più onorevole.
Quando il coppiere versava il vino, l'ospite servito si alzava
per brindare alla salute del più distinto dei convitati
che alzatosi in piedi esprimeva allo stesso modo i suoi sinceri
e rispettosi voti. Questa cerimonia si compiva successivamente
per tutti i convitati o almeno per i più illustri, e si
protraeva per un tempo considerevole perché era ripetuta
tre volte per ogni portata.
Si è raccontato (nel saggio Intrighi, complotti ecc. alla
Corte di Bisanzio) che l'imperatore di Roma Valentiniano aveva
una sorella, Onoria che essendo stata scoperta tra le braccia
del suo maggiordomo (le condizioni in cui furono trovati non lasciavano
dubbi su ciò che stavano facendo), per punizione era stata
mandata alla Corte di Costantinopoli. Onoria, pur di uscire da
questa prigionia si era rivolta ad Attila mandandogli il suo anello
e chiedendogli di sposarla.
Attila aveva deciso di invadere la Gallia e l'Italia. Prima di
invadere la Gallia aveva chiesto a Valentiniano, che si era rifiutato,
di darle in sposa Onoria con la parte di patrimonio imperiale.
La campagna della Gallia si era chiusa con un insuccesso, ma la
primavera successiva Attila rifece a Valentiniano la proposta
di dargli Onoria e anche questa volta la richiesta gli fu rifiutata.
Attila quindi si accinse a venire in Italia. Dopo aver preso e
distrutto Aquileia, il re degli Unni proseguì nelle sue
distruzioni di Altino, Concordia, Padova e poi di Vicenza, Verona
e Bergamo. Milano e Pavia si salvarono dalla distruzione perché
si sottomisero senza resistenza e offrendo tutte le loro ricchezze.
Valentiniano prese finalmente la decisione di mandare un'ambasceria
affidata al nobile Avieno e al prefetto del pretorio d'Italia,
Trigezio che con il papa Leone raggiunsero Attila presso il Mincio
e riuscirono a firmare con lui un trattato.
Il fatto che Attila si convinse a firmare il trattato e tornarsene
sulle rive del Danubio è stato spesso riferito come un
miracolo compiuto da papa Leone. Certamente la figura carismatica
e l'aspetto del papa dotato di ottima eloquenza e presentatosi
in abito da cerimonia con mitra e pastorale, poterono impressionare
Attila. Ma egli fu convinto più concretamente dalle casse
di oro che gli furono offerte come dote di Onoria, e dal fatto
che il clima caldo e umido, e il cibo fatto di pane, carni cotte
con spezie, accompagnate dal robusto vino italico, tra i suoi
soldati, che non erano abituati a quel genere di alimentazione,
aveva diffuso malattie, particolarmente la dissenteria.
Attila quindi se ne tornò nella sua città di legno
non senza aver minacciato Valentiniano di ritornare se Onoria,
sua fidanzata, non gli fosse stata consegnata come previsto dal
trattato.
Non appena rientrato dall'Italia (455), Atttila pensò di
consolarsi dall' assenza di Onoria, aggiungendo un'altra moglie
al suo già numeroso <harem>, sposando una bella e
giovane fanciulla di nome Ildico. Il matrimonio fu fatto nel suo
palazzo di legno e festeggiato con un grande banchetto.
Dopo aver mangiato e bevuto abbondantemente a tarda ora Attila
si ritirò nella sua stanza nuziale. Il giorno seguente
i familiari non lo disturbarono per tutto il giorno, ma il suo
silenzio destò la loro preoccupazione e forzata la porta
lo trovarono morto in una pozza di sangue con la giovane sposa
che, accanto al letto aveva il volto coperto da un velo e piangeva.
Attila soffriva di perdite di sangue dal naso, quella volta gli
era stata fatale perché stando sul letto supino, tra i
fumi dell'alcol aveva avuto una delle sue perdite e il sangue
lo aveva soffocato. La sua gente si tagliò parte della
capigliatura deturpandosi il viso con profondi tagli (questa volta
sì che avevano tagliato il viso), e dopo averlo pianto,
lo seppellirono (così è stato tramandato), in tre
bare, la prima d'oro, la seconda d'argento la terza di ferro,
seppellendo con lui trofei di armi e gemme preziose. Quelli che
avevano proceduto all'interramento furono massacrati perché
non divulgassero il segreto del luogo della sepoltura.
I figli di Attila numerosi come una tribù, pensarono di
dividersi il regno ma non fecero altro che suscitare la rivolta
delle popolazioni sottomesse. Con la conseguenza che tutti i territori
conquistati dal grande condottiero andarono dispersi e occupati
dalle varie popolazioni, tra cui, i Gepidi che si insediarono
nella Dacia, gli Ostrogoti (2) in Pannonia, i Sarmati e alcune
tribù di Unni nell'Illirico, gli Sciri, Satagari e parte
degli Alani, nella piccola Scizia e bassa Mesia (cioè Dobrugia
e Bulgaria), mischiandosi con tribù locali e dando origine
alle nuove popolazioni che ora abitano in quei territori.