LE LAMENTELE DEI CONTADINI FRANCESI E I PRIVILEGI PRIMA DELLA RIVOLUZIONE

DAI CAIHERS DE DOLEANCE (*)

 

…Voglia il cielo che il monarca prenda nelle proprie mani la difesa del miserabile contadino lapidato e tiranneggiato dagli agenti, dai signori, dalla giustizia e dal clero.
…Sire… Tutti quelli che venivano in vostro nome venivano sempre per chiedere danaro. Ci facevano illudere che sarebbe finita, ma ogni anno diventava sempre peggio non l'abbiamo con voi, tanto vi amiamo, ma con coloro che voi impiegate e che sanno fare i loro affari meglio dei vostri…Siamo oppressi da imposte di ogni specie, finora vi abbiamo dato parte del nostro pane, ma presto ci mancherà se le cose vanno così…Se vedeste le povere capanne dove abitiamo, il povero cibo che mangiamo, ne sareste commosso, ciò vi direbbe meglio delle nostre parole che non ne possiamo più e che bisogna alleviarci. La cosa che ci fa più male è che coloro i quali hanno di più, pagano di meno. Noi paghiamo per le taglie e per ogni specie d'imposta e gli ecclesiastici e i nobili che hanno tutti i beni più belli, non pagano nulla. Perché i ricchi devono pagare di meno e i poveri pagare di più? Non dovrebbe ciascuno pagare per quello che può?…Se osassimo, cominceremmo a piantare qualche vigna sui pendii, ma siamo così perseguitati dagli agenti che piuttosto preferiremmo strappare quelle che vi sono piantate. Tutto il vino che produrremmo sarebbe per loro e a noi non rimarrebbe che la fatica. Tutti questi sbirri sono un flagello e per salvarci preferiamo lasciare incolte le terre… Il più disastroso degli abusi è la feudalità, e i mali che essa causa superano di molto il fulmine e la grandine. …Impossibile sopravvivere se si continua a prelevare i tre quarti dei raccolti per diritti di champart, terrage, ecc (**). Il proprietario si prende la quarta parte, il ricevitore la dodicesima, la Chiesa la dodicesima, l'imposta la decima, senza contare dei danni di una selvaggina innumerevole che divora la campagna coltivata a verdura, all'infelice coltivatore non restano dunque che la fatica e il dolore…Non sta a noi pagare il deficit annuale, tocca ai vescovi, ai beneficiari; togliete ai principi della Chiesa i due terzi delle loro rendite.

* * *

>Sin dall'epoca di Luigi XIV le campagne in stato d'abbandono avevano un aspetto di miseria e desolazione; alcune strade per la sporcizia e il puzzo si potevano paragonare a sentieri aperti in un mucchio di letame, nelle locande di grossi borghi vi era ristrettezza, miseria, sporcizia e tenebre.
Sembra veramente strano che nel 1750, quando già un secolo prima erano stati scritti trattati di agricoltura, una gran quantità di terra era incolta e, quel che è peggio, abbandonata. Erano le conseguenze della politica di un secolo prima di Luigi XIV. Un quarto del suolo francese era ancora da dissodare. Le brughiere formavano pianure immense che avrebbero potuto essere coltivate. Le terre che erano coltivate avevano un bassissimo rendimento perché l'agricoltura era arretrata, era rimasta quella del medioevo, i campi restavano a maggese un anno su tre o un anno sì e uno no. Gli utensili erano rimasti all'aratro di Virgilio, nessuno usava ancora l'aratro di ferro come l'asse dei carri e i cerchi delle ruote che erano in legno e il più delle volte l'erpice è un pezzo di carretta.
Dopo ogni raccolto le provviste duravano da tre a quattro mesi e poi c'era la fame. Era stato scritto che accanto al vaiolo, causa di morte vi era un'altra malattia endemica altrettanto dominante e altrettanto mortale, la fame!
Il contadino conduceva una vita grama, la sua dieta era fatta di pane nero fatto con segale e orzo, o addirittura con avena integrale (nel senso che non veniva tolta la crusca), nero e pesante come il piombo e da bere aveva acqua colorata, cioè acqua versata sulle vinacce; quando c'era la zuppa, era condita con olio da lumi, vestivano con lana delle loro pecore e canapa che essi stessi coltivavano, e niente calze, scarpe o zoccoli.
Con questo tipo di alimentazione i contadini erano deboli e piccoli di statura con una bassa natalità e alta mortalità tra i bambini che non avevano nulla da poppare dal seno materno e, se arrivavano a un anno, gli facevano mangiare crusca bagnata e pane nero, sì che tutti avevano il ventre gonfio come quello di una donna incinta. Una donna di ventotto anni ne mostrava sessanta o settanta, tanto il suo corpo era irrigidito e indurito dal lavoro…soltanto la cortesia suggeriva di chiamare questi esseri donna, più che altro erano mucchi di letame ambulante. Era questo il popolo delle campagne fatto di poveri schiavi, bestie da tiro attaccate a un giogo, che camminano a colpi di frusta, non s'interessano né si preoccupano di niente, purché possano mangiare e dormire alle loro ore, che non si lamentano e non pensano nemmeno di lamentarsi, i loro mali gli sembrano una cosa naturale come l'inverno o la grandine.


Le case dei contadini erano fatte di paglia mescolata a fango, coperte di strame, senza finestre e il pavimento era fatto di terra battuta, in alcune località erano costruite su quattro forche, spesso erano stalle o fienili in cui si era fatto un camino con quattro bastoni e fango.
Era questo il popolo delle campagne, che aveva un quinto del territorio francese, ad essere oppresso dalle tasse, mentre i privilegiati, che n'erano esenti, possedevano gli altri quattro quinti, cioè un quinto apparteneva alla corona e ai comuni (demanio), un quinto alla nobiltà, un quinto al clero e un quinto al Terzo Stato.

Le città. Paragonate alle campagne sono sicuramente un rifugio, ma la miseria segue i poveri, perché da un lato esse sono oberate di debiti e dall'altro la casta, che le amministra, ne fa fare le spese agli indigenti. Oppresse dal fisco, esse opprimono il popolo e scaricano sulle sue spalle il peso che il re impone loro (1).

1) I PRIVILEGI. Delle cariche si faceva gran commercio. Un'infinità di posti e di funzioni pubbliche, amministrative o giudiziarie, oltre agli impieghi nella gabella, nelle dogane, nelle giurisdizioni signorili, nelle poste, nei balzelli e nelle régies esentavano il loro titolare dalla taglia personale e riducevano la capitazione a un quarantesimo del suo reddito. Inoltre, i mastri di posta erano esenti dal pagamento della taglia per tutti i beni posseduti, perfino per terreni dati in affitto fino alla concorrenza di cento iugeri. Erano esenti i signori delle elezioni, i presidenti e altri addetti allo spaccio di sale, tutti privati che possedevano grandi proprietà e pagavano solo un terzo o la metà delle imposte che avrebbero dovuto pagare. Alcuni notai erano esentati dalle corvée, dalla colletta, dall'alloggio di personale militare e i loro figli e i principali collaboratori erano esentati dal servizio militare.
Tutte le cariche erano normalmente acquistate a tempo indeterminato, ma Luigi XIV era ricorso al sistema di revocarle per rivenderle, il pagamento valeva anche per il diritto di nominare propri ufficiali municipali, e il balzello era a cascata nel senso di conseguenza venivano raddoppiati i dazi e chi li pagava a sua volta li faceva pagare, p. es. vi erano lamentele per l'eccessività di dazi sui prodotti più poveri come il fieno, la paglia, le granaglie, il sego, le candele, le uova, lo zucchero, il pesce, le fascine e la legna da ardere.
*) Si veda in Specchio dell'epoca: I diritti feudali ecc.
**) Hyppolite Taine: Le origini della Francia contemporanea. L'antico regime. Editore Adelphi.


FINE

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CARLOMAGNO E IL GIULLARE LONGOBARDO *)

 

Carlomagno, quando si apprestava a venire in Italia per combattere contro Desiderio re dei Longobardi, si era accampato presso l'abbazia di Novalesa. Qui un giullare longobardo si era fatto notare cantando un messaggio con cui chiedeva: <Che premio si darà all'individuo capace di guidare Carlo in Italia, per un itinerario dove nessun'asta si leverà contro di lui, né lo scudo troverà opposizione, né alcun danno verrà patito dai suoi?>
Il giullare fu portato da Carlo il quale gli promise che, dopo la vittoria, avrebbe esaudito ogni sua richiesta.
Carlo e i suoi soldati furono guidati dal giullare lungo gli strapiombi di un monte, attraverso una strada che in seguito venne chiamata la via dei Franchi. Una volta scesi essi si trovarono nella piana di Giaveno. Così mentre Desiderio pensava di prendere Carlo frontalmente, se lo trovò alle spalle. La battaglia si svolse presso la Chiusa di Susa (v. in Schegge: Il gineceo di Carlo), con la vittoria riportata da Carlo.
Il giullare si ripresentò da Carlo per ricordargli la promessa e Carlo gli chiese cosa desiderasse avere. Il giullare gli chiese dei territori; la estensione sarebbe stata quella raggiunta dal suono del suo corno. Carlo accettò e il giullare salito su una collina, dopo aver suonato il corno se ne andò per villaggi e campagne chiedendo ai contadini se avessero sentito il suono di un corno. A chi rispondeva affermativamente dava un pugno, dicendo che < sarebbe diventato un suo schiavo>.
Carlo mantenne la promessa, assegnando in feudo al giullare il territorio nel quale si poteva sentire il suono del corno, che da allora fu soprannominato dei Transcornati.


*) Questo racconto è stato scritto da un monaco anonimo vercellese, dell'Abbazia di Breme (Torino) nel Chronicon della Novalesa del XII sec. .
Questo Anonimo per aver scritto in maniera colorita avvenimenti popolari (che piacquero ai romantici dell'8oo, Manzoni compreso), era stato preso molto poco in considerazione dagli storici prestigiosi (oggi diremmo i baroni), che lo criticarono per aver scritto senz'ordine, senza cronologia e senza spirito critico.
Il monaco venne considerato un romanziere. E, allora! Sarebbe stato il primo romanziere italiano, di origine germanica (era stato precisato dai Germanici!).

FINE

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