Particolare di Dame al seguito - S. Vitale - Ravenna

 

CERIMONIALE E CARICHE

ALLA CORTE DI BISANZIO

 

 Michele E. Puglia

 

 

SOMMARIO: CERIMONIALE E FESTEGGIAMENTI: LA INCORONAZIONE; LE AMBASCERIE; IL GRAN PALAZZO (IN NOTA: IL COMPLESSO DEGLI EDIFICI DEL SACRO PALAZZO; IL LIBRO DELLE CERIMONIE);  GLI EUNUCHI; IL GINECEO; LE CARICHE IMPERIALI: CARICHE DI CORTE; CARICHE DEGLI UFFICI PUBBLICI; CARICHE MILITARI; LE CARICHE ECCLESIASTICHE.

AL PRESENTE ARTICOLO E’ COLLEGATA LA SCHEDA (in Schede S.) LA STORIA INSEGNA:  UNA NOTA DI ATTUALITA’ SUL BIZANTINISMO E APPARATO BUROCRATICO CORPORATIVO IN ITALIA.

 

 

CERIMONIALE E FESTEGGIAMENTI

 

 

L

'imperatore Costantino trasportando la capitale ai confini dell'Europa e dell'Asia, aveva creato una gerarchia di nuovi funzionari e adottando la religione cristiana aveva impresso alle cerimonie pubbliche e alla stessa politica un particolare carattere che si era trasmesso ai suoi successori, ognuno dei quali aveva ritenuto introdurre nuovi elementi, sì che quel cerimoniale, originariamente romano, divenuto greco-romano si era arricchito di elementi asiatico-orientali. 

Vediamo infatti che l'imperatore, con la fronte cinta da una corona di perle e ricoperto da una tiara  (o stola) ricoperta d'oro e di pietre preziose, si presenta come un monarca asiatico, circondato da eunuchi ricoperti di sete dai colori sgargianti.

I consoli, in ricordo della loro autorità del passato, conservano  le antiche insegne: la toga bianca, il laticlavio di porpora, i calzari bianchi, la sedia curule di avorio e il fascio littorio, ridotto a una verga d'argento.

Il capo di una tribù barbara, indossava il suo costume nazionale e le sue ricche pellicce e ornamenti. Il patriarca al massimo del suo splendore, accentua il contrasto con i monaci che seguendo la loro regola di povertà, indossano il loro povero saio.

La lingua non presenta minori diversità: da una parte gli imperatori si ostinano a mantenere la lingua latina  per giustificare il loro titolo romano, conservata  in alcune formule che Costantino Porfirogenito dovrà tradurre in  greco, mentre dall’altra parte la guardia imperiale fa echeggiare i suoi canti in lingua gotica e al mercato si sentono altre lingue che confermano la molteplicità delle etnie che nell’impero bizantino convivono pacificamente nel più perfetto equilibrio.

Tre sono i luoghi in cui si svolge il cerimoniale: la corte, la chiesa e il circo  un tempo sede di festeggiamenti pagani, divenuto il luogo in cui il popolo mostra le sue frenetiche passioni durante gli spettacoli, che si alternano alle manifestazioni politiche.

Il giorno delle corse, la giornata inizia con il suono delle “raganelle di legno” che parte dalle chiese e chiama i concorrenti che dopo essersi comunicati alla luce delle candele, si recano all’ippodromo fermandosi all’ingresso recitano un’ultima preghiera davanti alla statua della Vergine che decora il portico esterno; al grande ippodromo ( v. Bisanzio città d’oro) le guardie imperiali alla Veglia (v.) distribuiscono legumi, pesci e dolci.

Le date delle manifestazioni sono fissate in giorni determinati: Le corse annuali si svolgevano l’11 maggio; molte di esse portavano ancora nomi pagani come i lupercali e i brumali, che però furono aboliti da Romano Lecapéno col pretesto della pietà, ma certamente per avarizia in quanto estremamente costosi, in quanto, oltre alla distribuzione di alimenti per il pubblico, vi era la distribuzione di gratificazioni ai funzionari ma erano anche di lunga durata; furono ricostituite da Costantino Porfirogenito.

A settembre vi era la festa della vendemmia, durante la quale l’imperatore si recava nel suo palazzo estivo (Hereo) dove sotto un pergolato veniva allestito  un tavolo in marmo, su cui veniva posta una botte piena di grappoli; il patriarca ne  prendeva uno e dopo averlo benedetto lo offriva all’imperatore che a sua volta li distribuiva ai patrizi, ufficiali e senatori.

Durante la festa i rappresentanti degli Azzurri e Verdi (v. in  Articoli, Cap. III par. Azzurri e Verdi) che in tutte le feste bizantine rappresentavano il popolo, cantavano canti di circostanza e ricevevano ciascuno sei pezzi di moneta. Questa festa agreste per la vendemmia si prolungava per tutto il mese di settembre e rientrava nel cerimoniale bizantino a ricordo delle feste rurali pagane degli antichi romani.

La maggior parte delle cerimonie erano quelle religiose e le processioni alle quali gli imperatori partecipavano durante le numerose feste liturgiche, con il senso della loro pietà rappresentava tutta la magnificenza e la ricchezza dell’impero.

I brumali avevano inizio l’ultimo giorno del mese di novembre e si prolungavano per ventiquattro giorni designati con ognuna delle ventiquattro lettere dell’alfabeto. Il primo giorno iniziava con la prima lettera del nome dell’imperatore regnante che offriva un convito al quale invitava senato e dignitari di corte,  seguito da canti e danze, finiva con la distribuzione di oro e ricchi abiti.

Ogni membro della famiglia imperiale festeggiava alla stessa maniera il giorno che cadeva con l’iniziale del suo nome; l’imperatrice festeggiava al femminile, con le componenti del gineceo e tutte le dame di corte, alle quali donava abiti di seta e altri regali.  

 

LA INCORONAZIONE

 

E

ra però la incoronazione dell’imperatore e della imperatrice a costituire la cerimonia delle cerimonie.

La prima fase della elezione dell’imperatore era quella civile che richiamava  l’usanza romana della proclamazione da parte dell’esercito e della elevazione (sullo scudo) dell’imperatore. Nella elezione (facciamo riferimento alla elezione di Leone I), tutto il senato, i funzionari,il clero si riunivano nel Campo Marzio. Le milizie disposte in ordine, ponevano a terra i labari e le altre insegne; il popolo (rappresentato da Azzurri e Verdi) per tre volte gridava: “Dio ascoltaci; Viva Leone; Leone deve regnare; O Dio amico degli uomini, la repubblica chiede Leone come imperatore; l’armata chiede Leone; le leggi attendono Leone; è il voto del palazzo, il voto del senato, il voto dell’armata, il voto  del popolo”.

Leone monta sulla tribuna, i due comandanti (Gran duca e Gran drungario)  mettono sulla sua testa la corona e lo cingono con la collana militare. Vengono alzati i labari e le insegne e la folla urla: “Leone augusto, vittorioso, pio; Dio ti ha elevato; egli veglierà su di te”. Le guardie designate formano  quindi con i loro scudi una volta sulla testa dell’imperatore che viene rivestito con le insegne imperiali ponendogli davanti le lance e gli scudi. Tutti i magistrati gli rendono omaggio e Leone indirizza alla folla, attraverso il suo libellario, l’allocuzione, spesso interrotta dalle acclamazioni. Tutti alla fine sono salutati con le parole: “Dio sia con voi”.

Segue successivamente nel giorno stabilito, la cerimonia religiosa in cui il senato, gli ufficiali delle guardie e tutti i grandi dignitari si presentano davanti al monarca che esce dall’Augusteo indossando il mantello militare  (scaramaggion) e un sajo (imperiale), accompagnato dai suoi cunicolari o ciambellani. Egli si ferma davanti alla sala denominata onopodion dove ha luogo  il primo ricevimento dei patrizi. Il maestro delle cerimonie pronuncia le parole “ai vostri ordini”  e tutti esclamano “per numerosi e felici anni”. Si forma quindi il corteo che si dirige verso il  gran concistorio dove sono riuniti i consoli e gli altri senatori. L’imperatore si siede sotto il baldacchino, i senatori e i patrizi si  prosternano davanti a lui e gli rivolgono i voti augurali per la sua conservazione.

Formatosi il corteo, l’imperatore su un maestoso cavallo bardato, si dirige verso la chiesa di santa Sofia (v. in Specchio dell’Epoca, Bisanzio città d’Oro) passando davanti alle guardie e la parte della città (che divide il Gran Palazzo dalla Chiesa che lo fronteggiava), dove i cittadini rivolgono acclamazioni.

L’imperatore è introdotto nel “mutatorio o diaconato” dove riveste le insegne denominate “divitisium” e “tzitzacium”; poi egli fa il suo ingresso con il patriarca; accende ceri alle porte d’argento; attraversa la navata e il coro e alla porta del santuario recita una preghiera e sale sull’ambone (tribuna); il patriarca recita una preghiera sulla clamide con cui il gran ciambellano riveste l’imperatore; poi benedice il mantello imperiale e cinge la fronte dell’eletto.

In questo momento il popolo grida per tre volte: “Santo, Santo Santo ; Gloria a Dio nel più alto dei cieli e  pace in terra al nostro grande imperatore  e autocratore al quale Dio conceda numerosi anni”. L’imperatore ritorna nel mutatorio dove siede sul trono e tutti i funzionari nel loro ordine gerarchico si prosternano davanti a lui e gli baciano le ginocchia.

Finita la cerimonia, la imperatrice con il suo seguito, si ritira; mentre dopo una pausa, presso l’imperatore inizia la discussione per le nomine delle alte cariche, iniziando dal praepositus, mentre la imperatrice fa conoscere il nome del silenziario (nel caso della elezione di Leone I che stiamo esaminando,  è nominato preposito, Urbicio, e silenziario Anastasio), e si procede quindi alla nomina del cesare, del nobilissimus (primo del patriziato), del presidente del senato ecc. .

 

LE AMBASCERIE

 

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opo la elezione del nuovo imperatore, assumevano grande importanza le ambascerie, con le quali si rinnovavano i trattati. Esse venivano ricevute dal nuovo imperatore secondo la importanza del sovrano rappresentato.

Quella dell’impero persiano fino a quando l’impero era esistito, era ricevuta nel più grande apparato.

L’imperatore inviava fino alla frontiera un illustre, un silenziario o qualche altro dignitario che si recavano di norma a Nisibis  e consegnavano all’ambasciatore una lettera dell’imperatore (scritta dall’addetto all’ufficio) con la quale gli venivano date indicazioni dei dignitari incaricati di accompagnarlo alla capitale. Nell’occasione, si presentava all’ambasciatore anche il governatore della provincia, con la guarnigione della frontiera (“ad evitare che i persiani sotto pretesto di scortare l’ambasceria,, non penetrassero nella regione per impossessarsene”!).

Il viaggio dell’ambasceria era calcolato nella durata di centotre giorni e tutte le provincie di percorrenza erano preparate al suo passaggio. Successivamente alla firma degli accordi (pacta), venivano offerti  in dono cinque cavalli da posta (veredi) e trenta cavalli o muli per il seguito e altri doni.

Nella capitale l’ambasciatore con tutto il seguito era ospitato in un palazzo arredato, normalmente nelle vicinanze dei bagni, a cura del prefetto della città e dei comes (intendenti del tesoro) e gli era assegnato anche un certo numero di servi.

All’arrivo egli trovava dei cavalli e degli scudieri dell’imperatore; lo ricevevano uno spataro e un assistente di campo e lo conducevano al palazzo che lo ospitava e gli annunciavano che il maestro degli uffici (maestro delle cerimonie) sarebbe venuto a visitarlo dopo il riposo (che sarebbe stato l’indomani o il giorno successivo). 

Il Prefetto poi gli chiedeva notizie sulla salute del suo sovrano, della famiglia reale e di tutta la corte; se aveva avuto qualche problema durante il viaggio; aggiungeva inoltre: “di aver avuto ordine dal sovrano di circondarlo di ogni cura; se quindi vi fosse stata qualche negligenza, non sarebbe stato  il caso di non riferirla e farla conoscere in modo da provvedere a ripararla immediatamente” .

Il giorno fissato, il Prefetto della Veglia controllava che tutto fosse nell’ordine per assicurare lo splendore del ricevimento; tutti gli arconti indossavano abiti di seta; le truppe e i portatori di labari disposti lungo il percorso; l’ambasciatore faceva il suo ingresso dalla porta reale e si arrestava  davanti alla sala di attesa del concistorio.

Il maestro delle cerimonie si informava sui doni per l’imperatore e ne riferiva allo stesso assiso sul trono nel gran concistorio, circondato dalla guardia imperiale e tutti i rappresentanti delle alte cariche disposti alla sua destra e sinistra e gli schiavi più belli.

Quando veniva dato l’ordine di introdurre l’ambasciatore, si aprivano le porte, al comando “leva” si sollevavano le tende di seta e l’ambasciatore sulla soglia si prosternava una prima volta, poi una seconda e giunto davanti all’imperatore si prosternava per la terza volta baciandogli il piede  (in Cina si praticava lo stesso rito con il c’ow-t’ow, toccando però con la fronte per tre volte il pavimento), dopodiché presentava le credenziali e porgeva a voce i saluti del suo sovrano; l’imperatore chiedeva: Come sta nostro fratello, con l’aiuto di Dio; Siamo felici della sua buona salute e frasi dello stwesso tenore che l’imperatore preferiva aggiungere.

“Tuo fratello, diceva l’ambasciatore ti ha inviato dei doni che ti prega di accettare” e a un segno dell’imperatore l’ambasciatore si recava nella sala d’attesa da dove rientrava seguito dal suo personale, dei quali ciascuno portava un dono; se vi erano dei cavalli venivano aperte le tre porte del concistoro per farli passare davanti all’imperatore. I doni erano consegnati al silenziario che li portava al vestiario imperiale...dove veniva fatta una valutazione per riferirla all’imperatore che valutava l’opportunità della restituzione di alcuni di essi” (!).

Dopodiché l’ambasciatore era congedato con le parole :“Riposa qualche giorno e se abbiamo da discutere, discuteremo e poi ti rimanderemo con soddisfazione a nostro fratello”. L’ambasciatore si prosternava come al suo arrivo e si ritirava. Seguiva un gran banchetto in cui l’ambasciatore sedeva alla tavola dell’imperatore con alcuni dei primi funzionari di corte.

Questo era il cerimoniale pressoché per tutti gli ambasciatori a esclusione di quelli dell’Italia assoggettata all’impero d’Occidente, riconosciuto da Costantinopoli, che non era considerato, a dirla con termine attuale, “potenza straniera”. Essi non si presentavano armati come usavano fare le tribù dei barbari; se si trattava di un prefetto gli si mandava incontro un “prossimus admissionum” (addetto alla missione)  o un semplice usciere se aveva un rango inferiore. Ma se era un comes largitionum o un funzionario avente titolo di illustre egli era introdotto da un admissionalis.

Qualche volta l’imperatore ordinava ai suoi libellenses (stenografi)  di riferire le parole dell’ambasciatore: in ogni caso essi erano trattati con maggiore familiarità...ma se si dovesse far riferimento alla celebre ambasciata del vescovo di Cremona, Liutprando inviato dall’imperatore di Germania con tutti i maltrattamenti e le disavventure da lui subite, quanto a cerimoniale non si era andati troppo per il sottile e si era fuoriusciti da tutti i canoni da esso previsti (v. in Cap.VII P. 2 I Mille anni dell’Impero bizantino ecc.)!

 

 

IL SACRO PALAZZO

 

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a sede imperiale di Costantinopoli posta sulle colline digradanti che dalla piazza dell'Atmeid0n (Ippodromo) scendeva verso il mare (Propontide) con il porto imperiale privato (v. in Specchio dell’Epoca: Bisanzio la città d’oro), era dislocata in un’area di quaranta ettari con diverse costruzioni collegate tra loro da porticati, il tutto immerso in una vegetazione lussureggiante con fontane zampillanti, continuamente abbellita dai vari imperatori che avevano seguito gli sfarzi di Costantino e Giustiniano.

Costantino aveva costruito il palazzo di Calché e di Dafne, il Chàtisma e la Chiesa di Santo Stefano collegati al Palazzo di Dafne da un porticato a cui furono aggiunti il Grande Triclinio dei diciannove letti e la Magnaura: il Palazzo di Dafne terminava con il Triclinio di Lausiascos.

Del Triclinio dei diciannove letti  (Dekaenneacubita) restaurato da Costantino Porfirogenito, ne abbiamo avuta una descrizione: Così denominato per il numero delle mense, diciannove, mense che venivano apparecchiate il giorno della Natività (25 dicembre) in cui i convitati non erano seduti ma sdraiati. alla maniera romana,  sui triclini.  In questa sala  vi spiccava sotto il soffitto un meraviglioso pergolato scolpito dipinto al naturale da cui pendevano grappoli rossi che suscitavano grande ammirazione.

In quel giorno si serviva non come al solito con vasellame d’argento, ma d’oro. Dopo il cibo, la frutta (pomi) veniva servita in tre vasi d’oro  che per l’enorme peso non erano portati da uomini ma da “veicoli coperti di porpora” e arrivavano sulle mense dall’alto con “tre funi appese al soffitto a un argano e ricoperte di pelli  dorate con anelli d’oro posti alle anse, esse venivano alzate e abbassate da quattro uomini che li deponevano sulle mense”

Giustino II fece costruire il Crysotriclinium, sala del trono circondata da otto absidi e sormontata da una maestosa cupola. Basilio I aveva aggiunto un corpo considerevole denominato Cenurgion, decorato con grande magnificenza e destinato a sua abitazione personale. L’imperatore Teofilo aveva apportato modifiche considerevoli, separando il Sacro Palazzo dalle antiche costruzioni di Costantino. Dopo aver aperto la misteriosa Fiala della Triconca (conca era circolare o abside) per servire come atrio del Sacro Palazzo, ricostruì in parte il fabbricato rettangolare dove si trovavano, nella parte anteriore, gli appartamenti particolari degli imperatori; è lì che costruì il fastoso peristilio che prese il nome di Sigma, dalla forma che gli aveva dato l’architetto, con un vestibolo non meno ricco, vale a dire la Triconca. A destra e sinistra fece costruire  diversi triclini come abitazione personale.

Altri edifici (oltre al Cenurgion decorato con magnificenza) furono aggiunti da Basilio I la Chiesa Nuova a cinque cupole, il Pentacublucon, palazzo anch’esso a cinque cupole, il naos (nave-navata) di Elia Thesbite, l’Oratorio del Salvatore, come era stato scritto, “da considerare un’opera di oreficeria piuttosto che di architettura”, l’Aetòs (l’Aquila), il Gran bagno imperiale, il Tesoro e il Guardia-mobile e infine lo Tzycanisterion (dove gli imperatori si dedicavano agli esercizi ippici).

Si può dire che, nella seconda metà del decimo secolo (periodo di maggior splendore dell’arte bizantina), dopo i lavori eseguiti da Niceforo Focas, il Gran Palazzo  con le sue colonne di marmo che decoravano i peristili, i vestiboli e formavano i principali ornamenti dei saloni, delle gallerie e delle stesse camere da letto, con i marmi di diversi colori che decoravano pareti e soffitti, le finestre con vetrate decorate a mosaici, si poteva considerare una delle meraviglie dell’intero pianeta.

Quando i sovrani dovevano recarsi allo Stadio o alla Chiesa di Santa Sofia  o alla Sala del trono o in altre occasioni celebrative, essi si muovevano in processione in cui coloro che occupavano le varie e numerose cariche seguivano l’ordine riservato a ciascuna di esse, delle quali troviamo precise descrizioni nel Libro delle Cerimonie lasciato dall’imperatore Costantino VII Porfirogenito (**).

 

*) Il complesso degli edifici comprendeva sette peristili o vestibuli, otto percorsi interni e due “phiale” costituite dall’ atrium o entrate al Sacro Palazzo, quattro grandi chiese (Santo Stefano, del Signore, Santa Maria del Faro e la Chiesa Nuova) nove grandi cappelle o naos; nove oratori e un battistero, con un totale di ventitre edifici consacrati al culto; quattro sale di guardia; tre grandi gallerie di ricevimento; i Triclini di Giustiniano, Lausiasco e Augusteo; cinque sale del trono; i Lycnos, il Gran Concistorio, i Diciannove letti, il Triclinio della Magnaura e il Crysotriclino; dieci Triclini destinati alla abitazione personale degli imperatori e in cui si trovavano parecchi saloni, una biblioteca tre sale da pranzo, sette gallerie (diabatica) che servivano da passaggi per le differenti parti del palazzo; tre porticati aventi la stessa destinazione; tre terrazze a cielo aperto elevate al disopra di un piano rialzato; due bagni; al di fuori del Grande palazzo, otto palazzi o grandi edifici: la Magnaura (che con Fozio diventerà sede dell’Università), il Cathisma, il Bucoleon, la Porfira, il Pentacublucon, l’Aquila, Il Tesoro, la Guardia-mobile imperiale e quello  della Chiesa Nuova, infine un vasto spazio (carosello) e il porto sulla Propontide.

 

**) Il Libro delle Cerimonie (De caeremoniis aulae byzantinae) descrive il cerimoniale della Corte bizantina in tutti i minimi particolari (tanto da farlo definire (Rambaud) un’opera noiosa (*) che Costantino Porfirogenito  scrive a uso del figlio Romano II, al quale si rivolge con una epistola che serve da proemio.

L'opera, divisa in due tomi minutissima, nonostante l’’apprezzamento di Rambaud, ha un immenso valore per la storia della cultura bizantina, con le descrizioni delle incoronazioni degli imperatori e delle imperatrici, delle celebrazioni dei compleanni sovrani, dell'innalzamento alla dignità di Cesare, dell'investitura dei più alti dignitari dello Stato e altro.

A Bisanzio ciascuna uscita al di fuori della corte, da parte dei sovrani aveva il suo rituale; già la vita del principe neonato era regolata da disposizioni inviolabili, in cui avevano una parte determinata non solo dignitari e la servitù della Corte, ma tutto il popolo o, volta per volta, i rappresentanti delle varie classi sociali.

Questa eredità bizantina ha continuato a vivere, prima di tutto presso la Corte papale, ma anche presso le altre Corti europee, dell'Impero d'Occidente Germanico, imperiale russa, dei Sultani Ottomani e delle Corti di Francia, Spagna e di tutti i principati occidentali, fino alla loro estinzione.

L'imperatore, per le fonti dell’opera, risale a testi precedenti, usando, per esempio, largamente uno scritto di Pietro Patrizio (500-562), o desume l'ordine di precedenza dei dignitari e degli ospiti stranieri nei pranzi imperiali, da un'opera del protospataro Filoteo, (composta verso l'anno 900), oppure facendo tesoro della etichetta che si osservava alla corte di Giustiniano che d’altronde risaliva al periodo imperiale romano.

In essa è anche incorporato lo scritto dell'arcivescovo Epifanio di Cipro sulla precedenza dei patriarchi e metropolitani, e nella seconda parte del presente lavoro abbiamo riportato le maggiori cariche ecclesiastiche.

Inserito nella raccolta di Niebhur e Becker, è stata interamente tradotta solo in Francia (Edizione Les Belles Lettres) e in Italia la benemerita Sellerio  ha pubblicato il solo  I Libro, Delle Cerimonie, tradotto da Marcello Panascìa (1993).

 

 

GLI EUNUCHI

 

 

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ra la varie costruzioni del Gran Palazzo, alla famiglia imperiale era riservato il Sacro Palazzo  o “sacro kouboukleion (sacro cubicolo), complesso di cinquecento sale una parte delle quali adibita a gineceo  dove la vita era scandita dal via-vai di frotte di  eunuchi.

Erano stati ereditati da Roma (impero e papato), dalla Chiesa per la voce dolce, pura, angelica, con timbro femminile, perché non si ammettevano cantanti femminili: si voleva la contraffazione, il fac-simile e non l’originale, in quanto le donne non erano ammesse a cantare le lodi del Signore.

A Bisanzio oltre a cantare nelle chiese erano addetti, come Prepositi (dietari), alla persona dell’imperatore e della imperial consorte.

La loro numerosa schiera eccelleva negli intrighi come quello dell’eunuco Samona, Ciambellano di Leone VI (v. Cap. VII): Il malcontento Samona fece in modo che il suo servitore Costantino, nativo della Paflagonia, fosse assunto dalla imperatrice per poi riferire all'imperatore che l'imperatrice lo amava impudicamente. Leone preso da gelosia lo relegò immediatamente in un monastero, ma poi toltolo dal convento gli concesse un incarico pubblico e servendosi di lui più che in passato. Ciò era parso   insopportabile a Samona che lo fece legare e con un libello pieno di ingiurie e rimproveri fu lasciato dove doveva passare l'imperatore. L'imperatore avendo scoperto che l'autore del libello era stato Samona, assegnò a Costantino la carica di ciambellano ricoperta da Samona che relegò in un monastero.

Oltre a occuparsi di ogni genere di vizi, le loro intrusioni si estendevano agli affari politici, che gli permettevano di raggiungere la ricchezza e brillanti e prestigiose carriere nei ginecei al servizio personale delle imperatrici. Qualcuna di esse perdeva la testa, come l’imperatrice Zoe nei confronti di Michele Paflagone (in Cap . VII/2) e degli imperatori, e proprio al servizio dell’imperatore Giovanni Zimisce (v. in Cap. VII, 2°  p.) troviamo l’eunuco Basilio che per un commento dell’imperatore sulle loro ricchezze (è per questi che combattiamo, è per costoro che versiamo il nostro sangue e  spendiamo i tesori del popolo?”), la sera stessa gli diede da bere una coppa avvelenata facendolo morire (976).

Essi spesso ricoprivano il soglio patriarcale come Nicetos figlio dell’imperatore Michele Rangabé che sostituì (846) il patriarca Metodio e Stefano figlio di Basilio I; Leone VI quando era morta la moglie Teofano, aveva fatto costruire a Topos una chiesa in onore di san Lazzaro che doveva servire per un monastero di eunuchi, e il giorno della benedizione della chiesa vi fece portare i corpi di san Lazzaro e di Maria Maddalena (!).

Si distinguevano anche in campo militare, come il generale Narsete che aveva gloriosamente combattuto in Italia contro gli ostrogoti e dopo averli vinti a Nocera (aveva conquistato Ravenna e ucciso Totila nel 542) divenne  governatore dei territori conquistati (divenuti esarcati).

Secondo Charles Diehl, “gli eunuchi bizantini, di norma erano crudeli, intriganti, ambiziosi, corrotti, criminali fino alla mostruosità,  sebbene, bisogna darne atto, ve ne fosse stato qualcuno virtuoso”. In avanzata età però molti di essi diventavano bigotti...nel pentimento dei peccati di gioventù, e passavano il loro tempo nella lettura di libri religiosi..preparandosi per la vita futura!

A proposito della pratica della castrazione che avveniva in maniera crudele, di norma ai ragazzi (detti karzimasi), mentre la castrazione agli uomini era prevista come punizione, e vi erano due sistemi: quello della completa escissione dei testicoli e del pene e l’altro che  eliminando i testicoli e lo scroto, lasciava intatto il membro.

Costoro erano chiamati “spadones” e venivano molto richiesti dalle dame romane, e poi bizantine, in quanto potevano soddisfare le loro pulsioni erotiche, senza il pericolo di nascite indesiderate.

Una terza categoria era rappresentata da coloro ai quali veniva lasciata una piccola porzione di pene, ma non venivano richiesti (qualcuno di questi aveva confessato di avvertire un costante e forte impulso sessuale che andava a sfogare nel lupanare).

Il massimo della carica che poteva essere raggiunte da un eunuco era quella di Parakoimomenoscolui che dorme accanto” all’imperatore, carica che Basilio I si era fatto assegnare da Michele III (v. Art. I Mille anni ecc., Cap. VII).  A capo degli Ostiari (portieri)  vi era il Gran portiere, il ciambellano eunuco di rango elevato che col titolo di Protospataro sovrintendeva alla classe dei Dietari; le funzioni erano quelle di Maestro delle cerimonie con il compito di annunciare, nei ricevimenti e cerimonie solenni, le entrate (vela-cortine) introducendo, secondo l’ordine di precedenza, le diverse classi di dignitari e funzionari di corte. Aveva ai suoi ordini i Silenziari, che erano giovani appartenenti all’alta nobiltà o figli di re vassalli, con il compito formale (ma lo scopo era quello di educarli alla vita di corte), di far rispettare il silenzio durante le cerimonie presenziate dai sovrani.

In uno dei giorni di cerimonia per la visita di ambasciatori, essi si recavano nella camera dell’imperatore che indossato il mantello e la corona, in processione, veniva accompagnato nella sala del trono dove, dopo essersi seduto, ricevute le acclamazioni faceva entrare gli ambasciatori che  si prosternavano per tre volte e gli baciavano il piede (a Roma si baciava il piede al papa e in Cina il k’ow-t’ow era fatto con tre inchini toccando il pavimento con la fronte).

 

IL GINECEO

 

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e imperatrici che di rado apparivano in pubblico, erano relegate come “eterne bambine e eterne recluse” (secondo i costumi dell’antica Grecia) nella parte riservata al gineceo, strettamente sorvegliate nelle anticamere, da una frotta  di eunuchi armati di spada - i quali ammettevano alla loro presenza solo donne, “uomini senza barba” e vecchi preti. 

L’imperatrice era la padrona assoluta del gineceo e padrona dei fedelissimi del suo seguito. Era l’imperatore a designare le persone che dovevano essere addette all’Augusta  e si riservava egli stesso il privilegio di mandare alla imperatrice le insegne della loro dignità e gli omaggi che le erano riservate dalle damigelle d’onore.

Costoro e tutto il personale del gineceo ricevevano a loro volta direttamente dalla imperatrice una investitura speciale  al fine di ben sapere chi dovessero servire e a chi essi dovevano appartenere!

Nel giorno della loro nomina le donne indossavano il costume ufficiale, vale a dire  la tunica dorata, il mantello bianco con l’alta pettinatura a forma di torre (la propoloma)  da cui pendeva un velo bianco; le donne della basilissa erano avvertite dai loro prepositi che dovevano avere sul cuore la croce del Signore e osservare una fedeltà sincera, una devozione assoluta nei confronti dell’imperatore e della Augusta...ma una volta entrate nel gineceo esse, ben presto, dimenticavano l’imperatore per dedicarsi esclusivamente alla loro sovrana!

Al servizio dell’imperatrice erano addetti il Gran maestro di camera che aveva autorità su tutti gli altri domestici-famigli costituiti da Referendari, Uscieri e Silenziari mentre gli Alabardieri o Protospastari vegliavano sulla sua persona.

Per il servizio di tavola, l’imperatrice aveva servizio proprio al quale era addetta la Gran maestra di palazzo decorata dell’alta dignità di patrizia alla cintura (zosté), la quale dirigeva con il concorso della Protovestiaria l’innumerevole corpo delle dame d’onore, delle dame di camera e delle dame di compagnia.

Quando si recavano all’ippodromo, le dame erano accompagnate da eunuchi; nelle chiese vie era la parte riservata alle donne dove gli uomini non avevano accesso (Gyneconito). In tutte queste occasioni di spostamenti, si formava sempre una processione, anche quando l’imperatrice si recava per il bagno al palazzo della Magnaura nei giardini del Sacro palazzo si formava una fila che si muoveva tra due ali di folla, preceduta dai servitori che portavano visibilmente accappatoi, barattoli di profumi, vasi e cofanetti, scortati da tre dame d’onore che avevano in mano, come simbolo d’amore, dei pomi rossi incastonati di perle; quando passava la basilissa, un organo meccanico suonava . il popolo applaudiva,   gli istrioni di corte raccontavano le loro facezie, e i dignitari di corte accompagnavano l’imperatrice fino all’entrata dei bagni e l’attendevano alla porta per riaccompagnarla in pompa ai suoi appartamenti.  

A rappresentare lo splendore e la preziosità delle decorazioni, era la camera da letto dell’imperatrice, con un pavimento in marmo che sembrava un prato ricoperto di fiori e le pareti ricoperte di marmo di rosso porfido intarsiato con il verde della Tessaglia e il bianco di Caria, offrivano una combinazione di colori così ben riusciti e rari da ricevere il nome di sala dei musici o dell’armonia. Era però nell’appartamento dell’Amore o in quello della Porpora (Prorphyra) che la tradizione voleva venissero al mondo i figli - porfirogeneti - della famiglia regnante.  Ciò che infine,  dava il tocco finale a tanta bellezza, erano le grandi porte d’argento o d’avorio, le porte di porpora incastonate in cornici d’argento e circondate da architravi di porfido (v. art. in Schegge: Bisanzio città d’oro); tappeti bordati d’oro o riproducenti figure di animali fantastici; grandi lampadari d’oro sospesi alla volta delle cupole;: mobili preziosi incrostati di avorio e madreperla.

 

LE CARICHE IMPERIALI

 

Le cariche  di norma non erano fisse in quanto spesso venivano variate dagli imperatori, o diversamente riportate dagli storici.

L’elenco, potrebbe non essere completo e presentare qualche lacuna o qualche errore di trascrizione di cui ce ne scusiamo con i lettori che invitiamo a segnalarceli.

Si tenga comunque presente che molte cariche erano state abolite fin dal Xmo secolo.

 

CARICHE DI CORTE

 

L

a dignità Sebastocrator, era stata creata dall’imperatore Alessio Comneno, in favore del fratello Isacco che si alternava con quella di Cesare, di norma primo dopo l’imperatore (Augusto) che Alessio Comneno aveva messo al secondo posto dopo il Sebastocrator, e successivamente, al terzo posto dopo il Despota e il Sebastocrator (*) Il prefisso stratos sta per comandante.

Il titolo di  Despota che significa “signore” anche con Alessio Comneno era stato assegnato ai figli maschi dell’imperatore.

Con la costituzione dell’impero latino quando l’impero si era ridotto al Despotato di Morea il titolo apparteneva all’imperatore (finalmente un gesto di modestia!), poi trasmesso a suoi  parenti o alleati e a stranieri

Lo stesso  Alessio Comneno aveva creato la dignità del Panhypersebaste per il genero Niceforo Briennio (marito della celebre Anna Comnena, che, come a suo tempo vedremo, non lo stimava troppo!), che sostituiva quella di Cesare e creando anche la carica di Potosebaste.

Il Protovestiario era primo dopo il Gran domestico, prima della creazione del Panhybersebaste e aveva la cura degli abiti, delle pietre preziose e tesoro dell’Imperatore e dormiva nella sua camera. Questa carica era in rapporto con quella del Gran maestro del guardaroba e non va confusa con i Vestiariti, personaggi più considerevoli del seguito dell’Imperatore.

Il Logoriaste, incaricato a rendere conto dei risparmi. Il Curoplate, era il Governatore o Capitano del Palazzo; gli era sottoposto il Gran papias   addetto alle chiavi del Palazzo e al controllo dei prigionieri nelle prigioni. Il Parakoimomene del bacile  addetto al bacile segreto dell’imperatore, in pratica addetto alla Camera imperiale come il Parakoimomene della camera, addetto di Camera, come lo era il cetonite, primo valletto il quale dormiva nella camera accanto a quella dell’imperatore, seguita dal Protovestiario che si occupava del guardaroba imperiale.

Teodoro Lascaris aveva istituito la dignità di Tatas della corte di cui non si conoscono le funzioni. Il Gran cartulario era addetto alla spedizione degli atti pubblici; ve n’erano diversi, secondo gli uffici dei diversi appartamenti; ve n’era uno sottoposto al Protostrator (proto, primo, stratos, comandante), addetto a tenere le redini al cavallo dell’Imperatore e lo aiutava a montarlo; la carica era elevata, come quella di un Maresciallo di Francia.

Il Gran primicerio (Primikerios-primo in Cera): primo in ciascun ordine: il Gran primicerio di corte regolava la disposizione delle file dei ranghi presso la Corte durante le cerimonie. Il Gran connestabile aveva il comando sui francesi al servizio dell’imperatore.

 La Prefetto del canikleo era addetto al calamaio, vale a dire al controllo dell’inchiostro (color porpora) usato dall’Imperatore per la firma di bolle, documenti e lettere ufficiali; era pari al Logotheta che aveva la funzione di Cancelliere o addetto al bacile per il lavaggio (spesso simbolico) delle mani dell’imperatore.

Primo dei filosofi era il consigliere culturale dell’imperatore, ovviamente esperto in filosofia come il Primo oratore dava suggerimenti per la  esposizione di un argomento; il Nomophylax era l’esperto nelle leggi, mentre il Dacrophilax dava suggerimenti quando l’imperatore rendeva giustizia.

Il Domestico della tavola era al disopra degli ufficiali del Palazzo dell’Imperatore e si occupava della sua  tavola. Il Protocinego era l’ intendente addetto alla caccia; il Protojeracario, addetto alle aquile e falchi pressappoco come Falconiere.

Come è stato detto a proposito dell’apparato burocratico (in Articoli I mille anni ecc. CAP.VII) nel periodo tra il IX-X sec., molte cariche erano state eliminate ed erano rimasti i titoli di diciotto gradi, dei quali i primi tre, Caesar (come detto con Alessio Comneno aveva preso il nome di Panhybersebastor), Nobilissimus e Kuroplates (questa carica corrispondeva a quella di maggiordomo ma senza che ad essa fosse collegata la funzione e come onorificenza veniva conferita anche a sovrani barbari), erano riservati normalmente a membri della famiglia imperiale ai quali si affiancava la più alta dignità femminile di corte Zoste patrika (prima del seguito dell’imperatrice); seguivano i titoli di Magistoi, Anthypatoi, Patrikoi, Protospatharioi, Dishypatoi, Spatharokandidatoi, Spatharioi, Hypatoi ed altri. Il titolo  di Rector era apparso alla corte macedone; importanti funzioni ricoprivano il  “Maestro delle cerimonie” (ò epì tes catastaséos), il Protostator, e il Capo-stalliere (comes tou stàblou) ed altri ancora.

 

*) Da Alessio I Comneno (1018-1081) per gli alti esponenti della burocrazia viene creata una serie infinita di titoli sempre più elevati, quali: sebastos, protosebastos, panhypersebastos; sebastohypertatos, protopansebastohypertaros, entimohypertatos, panentimohypertatos, protopanentimohertatòs; nobllissimos, protonobilissimos protonobilissimohypertatos, e cosi via.

La riforma del sistema dei titoli è un riflesso della profonda trasformazione che il sistema statale bizantino subisce a partire dall’XI secolo: con il rigido centralismo burocratico muore anche la rigida gerarchia nobiliare che aveva caratterizzato il periodo bizantino di mezzo (v. I mille anni ecc. Cap. VII P. 3).

 

 

CARICHE DEGLI UFFICI  PUBBLICI


I

l Gran Logoteta era il primo Magistrato; Il Logotheta del tesoro pubblico, era il ministro delle imposte; Il Logotheta del dromo era il Sovraintendente delle Poste e aveva il comando sui corrieri. il Logotheta dell’armata aveva il controllo sulle somme pagate ai militari; il Logotheta delle mandrie addetto alle mandrie di cavalli e stazioni di monta di stalloni e giumente. Sotto il Conte delle stalle (comes tou stàblou) vi erano i diversi direttori (arconti) delle scuderie imperiali degli di stalloni tra le quali quella famosa di Malagina.

L’Accolito comandava le guardie dei Varanghi o Inglesi che proteggevano l’Imperatore. Il Mistico, consigliere facente parte del servizio segreto dell’imperatore; come magistrato giudicava principalmente gli omicidi e i sacrilegi; il termine veniva usato anche per indicare il Confessore.

Del Gran tzauce (di cui non si conosce la funzione); i Proedri erano i Consiglieri di Stato e il Protoproedro era il primo Consigliere di Stato: erano stati creati da Niceforo Focas.

Il Protospataro comandava gli Spatari addetti alla guardia del corpo imperiale. L’Annumiaste era addetto alla sorveglianza degli uomini di guerra, mentre il Giudice dell’armata giudicava sui diverbi che insorgevano fra i suoi componenti. Il Protologator era addetto alla retroguardia e sorvegliava che i soldati non uscissero dai ranghi.

Il Gran logoteta dei Segreti (Sekreta) e Giudice del velo: conosciamo ambedue le cariche in quanto ricoperte dallo scrittore Niceta Coniata (1150/55-1217); la prima assegnatagli come capo dell’amministrazione centrale e sovraintendente a tutti gli uffici pubblici (diremmo ministro della funzione pubblica). La seconda ricoperta dallo stesso Niceta era tra le più alte della giurisdizione bizantina e di questi giudici Niceta ne parla spesso, denunciando la loro ignoranza e la disponibilità alla corruzione (come fa rilevare A. Kazdan nella prefazione a Grandezza e catastrofe di Bisanzio Vol. I  Fondaz. Valla, 1994). Il nome di Velo-Vela, pare sia stato tratto dalla tenda alzata davanti all’edificio del Tribunale supremo. Tra gli alti funzionari l’Eparca (Prefectus Urbis) sovraintendeva alla amministrazione e alle attività della polizia della capitale. Egli aveva il suo quartier generale sulla Mese, la principale arteria dell’industria e del commercio di Costantinopoli (v in cit. Bisanzio Città d’oro) e dipendeva direttamente dall’imperatore che gli assegnava le insegne delle sue funzioni. Rappresentante lo Stato anche di fronte ai numerosi gruppi etnici che popolavano la capitale e interveniva nel caso di infrazione alle leggi e regolamenti.

Lo Zupan (da zupa che significa popolo) era il Governatore della Provincia della Serbia o della Dalmazia.

 

LE  CARICHE MILITARI

 

I

l Gran duca aveva il comando delle truppe di mare; Il Gran drungario della flotta, comandava i vascelli sparsi per le Province; era sotto il Gran duca e al disotto dell’Ammiraglio secondo dopo il Gran duca.

Il Gran domestico  aveva il comando delle truppe di terra; ve ne era uno per l’Oriente e uno per l’Occidente; dava la parola d’ordine nell’assenza del Prefetto della veglia o vigilia  ( vale a dire “notturna” (*)).

Il Gran domestico delle scolae era il prefetto dei pretoriani. Il Gran eteriarca comandava le truppe straniere e confederate che servivano come guardia di Palazzo.

Il Gran drungario della vigilia (il termine drungario deriva da droungos che significa truppa di soldati), aveva il comando del corpo di cavalleria (detto anche Arithmos) che faceva la guardia pattugliando, durante la notte, la parte esterna al Palazzo. Il Gran stratopedarca decideva sui diverbi che nascevano tra i soldati. Il Gran myrtario comandava le guardie che avevano come insegna un ramo di mirto.

L’apparato militare era costituito dalle truppe divise in  “Tagmata” che costituivano il nerbo dell’esercito imperiale, residenti nella capitale e nei suoi dintorni di Tracia e Bitinia, e “Temata”.  

I “Tagmata erano  divisi in Scholae”, “Excubito res arithmoi” e “Icanati, ognuna con a capo un Domestikos; a capo delle Scholae vi era il comandante generale; ogni corpo formato da quattromila uomini, a cui, in caso di necessità si aggiungevano i mercenari stranieri (russi, scandinavi, normanni, inglesi).

Relativamente ai TEMI, la gerarchia militare prevedeva: 1. Lo stratega (conte delle tende), 2. I turmarchi (cartolario del tema), 3 i merarchi (domestico del tema); 4. il drungario; 5. i comites; 6. i centarchi e i drungarocomites;.

Se un Tema aveva la marina figuravano i protocarabi e naucleri delle galere.

Una legione era formata da 5 a 10mila uomini e aveva da due a cinque turmarchi; un turmarco di norma  comandava su 5000 uomini

E’ da dire che nelle armate bizantine si contavano un gran numero di ufficiali rispetto al numero dei soldati (alla spedizione di Creta parteciparono settecento soldati e duecento ufficiali), ciò portava a quadri delle legioni considerevoli, mentre il numero dei soldati che comunque si dovevano raccogliere quando se ne presentava la necessità, era pari a un ufficiale per due o tre soldati! (**).

Da aggiungere infine per i Temi, gli Ispettori quali il conte degli acquedotti, i commerciari, gli ispettori delle miniere, gli ispettori delle tenute (vale a dire delle divise militari), il Logoteta delle entrate, i Cartulari dei Temi, Il Logoteta dei militari  organizzava per le truppe in marcia i viveri e gli alloggiamenti.

 

 

*) La “vigilia” o “veglia” si svolgeva di notte ed era divisa in quattro parti, iniziando dalla mezzanotte: Conticinum; Intempestum (in cui non si lavora) Gallicinum (al canto del gallo); Antelucanum (prima della luce del giorno). Altri ne consideravano sette; partendo dal Crepusculum (dopo il tramonto), il Vesperum (la sera), Intempestum, Matutinum (principio del giorno) e Diluculum (alba o aurora).

 

**) La paga durante una spedizione prevedeva 36 nomisma a un turmarco, 20 a un conte della tenda o cartulario o domestico,da 20 a 12 al drungario 5 o 6 a un conte e 4 o 3 al soldato semplice o marinaio.

 

LE CARICHE ECCLESIASTICHE

 

L

a grande Chiesa di Costantinopoli ricostruita da Giustiniano  (nel 537 v. in Schede, Bisanzio città d’oro), era dedicata divina sapienza (sofìa), quindi al Verbo divino e non come erroneamente si ritiene a Santa Sofia: l’uso di dare alle chiese il nome dei santi venne dopo. Essa rappresentava tutta la maestà divina dell’imperatore che come abbiamo visto, (Cap.V) Giustiniano riteneva essere il rappresentante di Dio sulla Terra, mentre le funzioni del Patriarca erano preordinate allo svolgimento delle funzioni religiose.

La pompa portata al massimo della sua espressione, tra musica, canti, profumi e nubi d’incenso, era  preordinata a per dare l’impressione di essere in Paradiso ...fino al punto, da aver determinato la conversione dei barbari.

Abbiamo visto che ciò era avvenuto con gli ambasciatori mandati da Vladimiro, principe di Russia che doveva scegliere una religione per il suo popolo  (v. in Schede: I Riti delle Chiese Ortodosse). I suoi ambasciatori si erano recati  a Roma, dove avevano assistito a una funzione religiosa di rito latino; poi erano stati a Costantinopoli dove avevano assistito a una funzione religiosa in Santa Sofia... e al loro principe avevano riferito che  “si erano trovati di fronte a tanta bellezza come in un concerto con gli angeli, che non sapevano se erano in Cielo o in Terra”.... e Vladimiro scelse per la Russia il rito ortodosso!

Synkellos (sincello): era il consigliere del Patriarca e primo dopo di lui, designato come suo successore (v. Cap.VII Stefano (sedicenne) fratello di Leone VI); Eraclio li aveva ridotti a due.. L’ Esarca faceva parte del seguito del Patriarca.

Al Grande economo era affidata la cura per il buon andamento degli affari della Chiesa; al tempo degli ultimi imperatori era sufficiente fosse solo diacono, mentre i precedenza occorreva essere prete. Curava che tutto ciò che veniva offerto e tutte le spese fossero riportati nell’apposito registro tenuto dal Cartulario che dipendeva da lui, rendendone poi conto per quattro volte all’anno al Patriarca. Assisteva il Patriarca quando officiava, presso l’altare al suo fianco. Quando il Patriarca conferiva gli Ordini, gli presentava i chierici che li dovevano ricevere. Quando il Patriarca giudicava, era seduto alla sua destra; quando moriva egli riceveva i visitatori fino alla elezione del successore.

Il Gran sacellario: aveva la cura dei monasteri maschili e femminili; li visitava e controllava ciò che veniva a essi donato e tutte le spese, rendendone conto due volte all’anno al Patriarca. In alcune Chiese il Tesoriere svolgeva  le stesse funzioni. Scenophylax o Guardia dei vasi era addetto al controllo di tutti gli ornamenti della chiesa. Si poneva davanti alla porta della sacrestia durante l’Ufficio del Patriarca per porgergli il libro, i ceri e gli altri ornamenti. Controllava l’accesso dei visitatori della Chiesa e provvedeva alla distribuzione dei posti occupati dal clero (nell’XI sec. Èp al terzo posto dopo il patriarca e segue il Sincello).

Il Carthophilax o Guardia delle carte era addetto al controllo dei diritti spettanti al Patriarca; lo presentava durante l’incoronazione e lo assisteva durante l’Ufficio; controllava il registro dei matrimoni. Il Protecdice: controllava gli affari della Chiesa con dodici assessori. Occupava nella Chiesa di Costantinopoli pressappoco lo stesso posto occupato in Roma dal Difensore (Defensor) di cui spesso si parla nelle epistole di Gregorio Magno. Il Protonotario: assisteva il Patriarca quando esercitava l’Ufficio; lo aiutava al momento della elevazione; teneva il cero; scriveva in nome del Patriarca e gli faceva rapporto quando sopravvenivano difficoltà nei testamenti e nei contratti. Il Logotheta era l’esperto della contabilità del Patriarca; lo assisteva anche nelle scrittura di lettere o nei giuramenti. Il Referendario: costituiva una delle più alte cariche della Chiesa in quanto era il rappresentante del Patriarca presso i grandi personaggi e il suo rango era pari a quello dei giudici della Chiesa; quando svolgeva la funzione di rappresentanza presso l’imperatore, era detto “Palatino”.

Hierommon era il custode dei libri, seguiva i lettori e  sorvegliava la chiesa durante l’assenza del vescovo. Il Maestro delle cerimonie (diverso da quello di Corte): sorvegliava la pulizia della chiesa e controllava l’ordine degli ecclesiastici. Il Dottore del vangelo, era addetto alla spiegazione del vangelo. Il Dottore dell’apostolo: spiegava le lettere di s. Paolo. Il Dottore dei salmi illustrava e spiegava i salmi. Il Catechista istruiva e preparava a ricevere il battesimo per coloro che rientravano nella Chiesa dalla eresia, mentre il Periodeute, istruiva  quelli che dovevano ricevere il battesimo. Il Protopsalto dava inizio al canto liturgico. Il Laofinacte, seguiva l’ordine dei diaconi e del popolo. Infine l’Hypomnimatografo...era addetto all’inginocchiatoio del Patriarca.

 

FINE